La teoria della relatività (ristretta). Perché si parla di tempo relativo?

24 Gennaio 2011 | Fisica e chimica

Introduzione

Alla fine del XIX secolo si viveva nella convinzione che lo spazio fosse attraversato dall’etere, una sorta di mezzo di trasporto per radiazioni luminose e segnali radio che permetteva loro di viaggiare liberamente. In questo etere però alcuni dati davano un risultato anomalo: gli osservatori vedevano la luce viaggiare alla stessa velocità indipendentemente che si muovessero o meno. Intuitivamente un soggetto in moto avrebbe dovuto invece annotare un velocità inferiore.

Per spiegare il fenomeno, Hendrik Lorentz e George FitzGerald ipotizzarono che i corpi solidi si contraessero mentre si muovevano nell’etere e che gli orologi rallentassero. Questo significava che un soggetto non poteva rendersi conto di essere in quiete o in moto.

Il tempo diventa relativo

Albert Einstein non era d’accordo. Poiché non era possibile capire se ci si muoveva o meno nello spazio, che utilità aveva l’etere? Nel 1905 avanzò l’idea che la velocità della luce non dipendesse dal moto e fosse sempre la stessa. Era il tempo a diventare relativo: due soggetti misuravano il tempo allo stesso modo se erano fermi, ma la loro misurazione cambiava se uno di loro si muoveva rispetto all’altro. In definitiva, il tempo smetteva di essere una costante.

La teoria è stata dimostrata da esperimenti concreti. Su due aerei sono stati collocati degli orologi estremamente precisi e che segnavano lo stesso orario. Partiti assieme, il primo circumnavigò il mondo da ovest a est e il secondo nella direzione contraria, da est a ovest. Quando arrivarono a destinazione, i loro orologi erano leggermente diversi (si parla di cifre decimali, ma pur sempre significative). Perché questa differenza? Viaggiando verso est, la velocità dell’aereo si aggiunge a quella della Terra e di conseguenza si arriva prima a destinazione. Il che dimostra che il tempo cambia a seconda di come ci si muove.

Naturalmente le parole di Einstein furono molto contestate dagli scienziati, perché cadeva un caposaldo della fisica. Il sistema classico prevedeva infatti che il tempo fosse misurabile, costante, fisso, e che la velocità fosse una variabile. Con la relatività ristretta (o particolare, o speciale) è tutto l’opposto: si è dimostrato che è la velocità della luce a essere una costante e che il tempo può variare.

Il paradosso dei gemelli

L’esempio più emblematico è rappresentato dal paradosso dei gemelli. Angelo e Bruno hanno la stessa età. Nell’anno 2000 Bruno viene inviato in missione nello spazio, con una navicella capace di viaggiare a una velocità prossima a quella della luce. Il fratello invece rimane a terra ad aspettarlo.

In un giorno dell’anno 2020, Angelo vede la navicella fare ritorno a casa. Bruno scende con un sorriso sulle labbra per abbracciarlo. Angelo, sconcertato, scopre allora che il gemello è più giovane di lui di 8 anni. L’orologio di Bruno segna infatti l’anno 2012. Mentre per Bruno sono passati dodici anni, per il gemello a terra ne sono passati venti.

Il paradosso risiede nel fatto che entrambi hanno ragione. Effettivamente sono trascorsi venti anni dalla partenza della navicella, ma Bruno ha impiegato solo dodici anni per percorrerli.

Einstein spiega chiaramente che le leggi della fisica sono simmetriche per sistemi inerziali, cioè in quei sistemi dove il corpo preserva il suo stato di quiete o di moto rettilineo perché non è soggetto a forze esterne. Angelo in questo caso fa parte di un sistema inerziale. Non così per Bruno. Con la sua navicella ha continuato ad accelerare e decelerare. Per questo motivo la simmetria delle leggi (viste da Angelo e da Bruno) non è più valida. La relatività ristretta non può sbrogliare questo paradosso.

I limiti della Relatività Speciale

Einstein si rendeva conto che la relatività ristretta aveva dei limiti, perché poteva essere applicata solo a elementi che si muovevano a velocità costante e in linea retta. Con oggetti in moto accelerato o curvilineo non poteva essere applicata. Fu questo dubbio a portarlo a postulare, qualche anno dopo, la teoria della relatività generale.

Ma l’argomento è tanto interessante, per le sue conseguenze, da meritare un articolo a sé stante.

Fonti principali
Stephen Hawking, «L'universo in un guscio di noce»
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