La vita è ingiusta perché pensiamo che sia così

2 Marzo 2016 | Mente e corpo umano

La vita è davvero ingiusta?

La domanda può sembrare banale. Ovunque giriamo la testa, vediamo uomini e donne che hanno qualcosa che noi non abbiamo. Ci accorgiamo che i nostri obiettivi sono lontani perché ci sono ostacoli che ci mettono i bastoni tra le ruote. Ci rendiamo conto che se fossimo nati in una famiglia più ricca o in una posizione più privilegiata, avremmo avuto una vita più facile.

Una domanda più precisa, che potrebbe aiutarci a rispondere, è questa: se tutti crediamo che la vita sia ingiusta nei nostri confronti, com’è possibile che gli altri siano “baciati dalla fortuna”?

Voglio condividere con voi un articolo scritto da Oliver Emberton, dal titolo The problem isn’t that life is unfair – it’s your broken idea of fairness («Il problema non è che la vita è ingiusta – è la vostra idea di equità a essere sbagliata»). Trovate il link diretto in fondo alla pagina.

Riprendo in mano l’articolo e lo sintetizzo, in modo che possiate ragionarci sopra. Il concetto principale è questo: se non stiamo vincendo, gran parte della nostra vita ci sembra terribilmente ingiusta.

Se volete, condividete il vostro pensiero nei commenti. Entrare nella testa degli altri non è mai semplice e sarebbe utile capire se effettivamente l’intuizione di Oliver si adatta alla maggioranza delle persone, e cioè se fa parte effettivamente della natura umana.

Regola 1 – La vita è competizione

La vita è una lotta continua verso gli altri. Al lavoro c’è sempre chi cerca di soverchiarci; la ragazza che cerchiamo di conquistare è contesa da un altro che cerca di strapparcela via; quell’unico vestito in saldo al negozio è preso d’assalto dalla folla; la foto della nostra amica prende più apprezzamenti di noi su Facebook.

Il punto è che nel momento in cui interagiamo con gli altri, la competizione nasce per forza e il più delle volte non ci accorgiamo che noi stessi entriamo in questo gioco di “dominio” e cerchiamo di vincere sugli altri. La vita È competizione: senza una sfida, non ci sarebbero obiettivi da raggiungere. È chiaro che in una contesa o si vince o si perde, e se uno vince l’altro deve necessariamente perdere in qualche modo.

Come uscire, allora, da questo circolo vizioso in cui ognuno lotta con l’altro? Innanzitutto, non negate l’esistenza della competizione: c’è quasi sempre.

In secondo luogo, viviamo in un tempo di abbondanza (sì, nonostante la crisi, anche perché non stiamo parlando solo di economia) e le opportunità a disposizione sono così tante che, se anche ne perdiamo qualcuna, ne troveremo un’altra da poter ricercare; e non sempre raggiungere un obiettivo richiede di calpestare i sogni degli altri (e quindi competere fino a vincere).

Ma avrete davvero la stessa soddisfazione, se raggiungete l’obiettivo senza lottare?

Regola 2 – Sei giudicato per quello che fai, non per quello che pensi

Ecco uno degli errori più diffusi: immaginare che gli altri ci vedano per le opinioni che esprimiamo. In realtà, con pochissime eccezioni formate dai conoscenti molto intimi, chiunque ci giudica in base alle azioni che facciamo.

Un uomo che si tuffa nel fiume per salvare qualcuno è un eroe e la frase «anch’io l’avrei fatto al suo posto» non ha nessun valore: se non l’avete fatto, non siete eroi. Affermazioni quali «sono una persona buona» o «sono meglio di così» sono polvere al vento se non lo dimostrate. Potete avere il più saldo senso di giustizia, il più ferreo senso dell’onore, ma per gli altri non siete niente di speciale finché non lo rendete pubblico con un gesto.

Può sembrare anti-etico, ma il nostro talento non riceve quasi mai il dovuto compenso e non è sufficiente a farci raggiungere un obiettivo se non lo usiamo pubblicamente. Il peggiore codardo della storia può essere considerato per sempre un eroe se lo dimostra al pubblico con un unico gesto, anche se in tutte le altre occasioni preferisce scappare; il fatto che noi siamo più coraggiosi di lui per natura non ha nessuna importanza, perché quell’unico gesto non l’abbiamo compiuto.

Siete dei ricercatori che passano la vita cercando una cura per il cancro? Davvero lodevole (sul serio), ma se non trovate la cura la vostra visibilità non sarà niente a confronto con un supermodello, che avrà fama e denaro a palate.

Questo, naturalmente, ci sembra ingiusto, perché dal nostro punto di vista siamo migliori di quel codardo o siamo più talentuosi di un modello che è stato baciato alla nascita da Madre Natura.

Qualche altro esempio ce lo offre Oliver, che afferma:

Scrivi un libro senza pubblicarlo e non sarai nessuno. Scrivi Harry Potter e il mondo vorrà conoscerti. Salva una vita e sei l’eroe di una piccola città, cura il cancro e diventerai una leggenda. […] Mettiti nudo per una persona e potrai farla ridere, mettiti nudo per 50 milioni di persone e potrai essere qualcuno come Kim Kardashian.

La domanda da porci è: «quanta gente abbiamo conquistato con le nostre azioni?». Se la risposta è «nessuna, perché agire in quel modo è contro la mia morale», potete vantarvi di avere un animo nobile ma vi troverete davanti a una vita incredibilmente ingiusta. In una società, che sia giusto o meno, non si vive di buone intenzioni ma di azioni concrete.

Regola 3 – La nostra idea di equità è valida soltanto perché è nel nostro interesse

L’essere umano è capace di azioni altruistiche e c’è chi afferma che il suo senso di bontà e di giustizia sia innato. In ogni caso, agli uomini piace inventare delle regole morali per rendere noto a tutti il loro piano di giustizia (e obbligare gli altri a seguirlo). Ecco quindi che nasce un magnifico luogo comune: «se ti impegni a fondo, sarai sicuramente premiato».

Sappiamo bene che la realtà è ben diversa. Impegnarsi di sicuro aiuta, ma tante volte non è sufficiente. Si studia molto, eppure all’esame si viene bocciati; si lavora fino a sacrificare la famiglia, ma non si ottiene la promozione; si ama una persona con ogni fibra, però questa non ricambia minimamente.

Peggio: capita spesso che i risultati siano raggiunti meglio da chi non si è impegnato affatto, e questo fa crollare il nostro mondo di equità e di giustizia. Pensiamo ai politici in Italia, che il popolo cita sempre come esempio classico di iniquità: il compenso ricevuto è a dir poco spropositato rispetto ai sacrifici che hanno dovuto sopportare per arrivarci. Vogliamo confrontarli con gli sforzi messi in atto ogni giorno da un operaio, che nonostante questo a fine mese fatica a campare?

In questo caso capire il meccanismo non è tanto semplice, perché dipende da come è stata forgiata nel tempo la persona (o le persone) “responsabile del nostro destino”. Ami la ragazza e non ricambia? Forse il suo ideale di uomo è del tutto diverso da come sei e quindi il rifiuto non è dovuto a un tuo sbaglio. Lavori fino allo stremo? Può essere che il datore di lavoro punti più al carattere del dipendente che all’impegno dimostrato; o, semplicemente, che tu non possieda i giusti agganci.

L’errore è di credere che le nostre emozioni siano condivise dal prossimo. Spesso non è così: ambienti diversi formano caratteri e ideali diversi, con un obiettivi e priorità differenti.

Il fatto che le loro azioni siano contrarie alle nostre (che blocchino i nostri obiettivi) non è una questione di ingiustizia: è soltanto un fatto di diversità.

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