I tabù nella cultura degli eschimesi

23 Febbraio 2017 | Cultura e società

«Tabù» è un termine di origine polinesiana, la storpiatura della parola «tapu» che indica qualcosa di sacro, contaminato.

Il significato preciso a volte ci sfugge, perché non si tratta di un divieto imposto dagli uomini: più che altro è una proibizione magica e religiosa. Se infrangiamo una legge finiamo in galera, ma se rompiamo un tabù nessuno ci mette in manette, perché la punizione è invisibile e potrebbe arrivarci addosso quanto meno ce lo aspettiamo, inaspettata e crudele. Potremmo essere affetti da una grave malattia, oppure essere perseguitati dalla sfortuna.

Tra le varie popolazioni, ce ne sono alcune in cui i tabù formano una parte importante della vita. In genere (ma non sempre) si tratta di individui non del tutto integrati con la modernità e la globalizzazione. Un esempio tra tutti sono gli eschimesi.

L’esistenza degli eschimesi dipende profondamente dai giochi della natura e basta una bufera inaspettata, un animale particolarmente feroce o una caccia andata a male per mettere a rischio la loro vita.

La propria capacità non è sufficiente, serve fortuna e un intervento soprannaturale che lo aiuti a sopravvivere al freddo e al ghiaccio. Come sappiamo bene, quando l’uomo si rende conto dei suoi limiti si affida spesso alle divinità o agli spiriti per ottenere la protezione che manca.

La conseguenza di questo modo di pensare è un atteggiamento all’interno della società che a noi risulta un po’ incomprensibile. Quando un maschio eschimese porta a casa una foca da scuoiare, le donne allungano dell’acqua alla carcassa dell’animale perché la beva; lo scopo è di placare il suo spirito, che di sicuro non è molto soddisfatto del trattamento che dovrà ricevere. E non si deve mai mischiare la carne di pesce e di animali terrestri: vanno rigorosamente conservate e mangiate separatamente. D’altra parte, il tabù prevede che la pelle delle renne uccise possano essere conciate soltanto dopo la fine della stagione di caccia.

Un po’ più legata alla religione è la concezione dell’anima. Un eschimese possiede due anime. Dopo la morte una delle anime va nell’al di là, mentre la seconda rimane accanto alla famiglia per assicurarsi che le leggi del lutto siano rispettate.

La violazione di un tabù porta a una terribile punizione

Cosa succede se un eschimese viola un tabù?

La punizione è terribile. L’uomo sarà circondato da una nuvola nera visibile e percepibile soltanto agli animali, e non agli umani, che rifiuteranno di lasciarsi cacciare. In altre parole, chi ha violato il tabù è condannato a morire di fame, a meno che non dichiari pubblicamente di aver infranto le regole attirandosi il disappunto della famiglia.

Può anche capitare che l’eschimese non si renda conto di aver violato il tabù: in questi casi sarà lo sciamano (chiamato «angakut») a richiamare le arti magiche in modo che il condannato si renda conto del misfatto e possa fare ammenda.

Il tabù può sembrare una credenza primitiva, retrograda, eppure ce lo siamo portati dietro anche nelle civiltà “moderne”. Le chiamiamo superstizioni: non passare sotto una scala, evitare la strada percorsa da un gatto, mettersi al collo un ferro di cavallo. Sono azioni irrazionali e ben radicate.

A quanto pare, i tabù sono insiti nella natura dell’essere umano almeno quanto lo è la religione.

Fonti principali
«Usi e costumi dei popoli», articolo di Barbara Narici apparso sul n. 112 di «Enigmistica divertente», anno 2015
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