Capire Israele – La guerra dei sei giorni e il (non) riconoscimento dello Stato ebraico

8 Novembre 2017 | Storia

Il 5 giugno 1967 Israele dà il via all’Operazione Focus. I suoi caccia si alzano in volo e in pochi giorni sottomettono le principali potenze arabe: prima l’Egitto, poi la Giordania e infine la Siria.
La breve battaglia, conosciuta come «Guerra dei sei giorni», avrebbe dovuto portare un equilibrio duraturo in una zona che da decenni era sul punto di scoppiare. Al contrario però ebbe l’esito di inasprire i dissapori tra Israele e il Medio Oriente.

Il ritorno degli ebrei in Palestina

La storia della persecuzione ebraica dura da secoli. La diaspora iniziò nel II secolo d.C., quando l’imperatore romano Adriano vietò loro di rimanere in Palestina dopo l’ennesima rivolta ebraica. Nel 1492 la cosa peggiorò, perché la Spagna li scacciò senza mezzi termini dalla loro patria.
A fine ‘800 si era arrivati alla conclusione che questa oppressione potesse finire creando una Nazione ebraica: Israele per l’appunto, nato nel 1948. Ma per arrivare a questo punto se n’è dovuta fare di strada.

Il movimento sionista nacque per riunire gli ebrei dei vari Paesi sotto un unico Stato. Aveva finanziato a suo tempo delle terre disabitate in Palestina, che gli arabi vendettero con piacere, e lì gli ebrei si rifugiarono come immigrati. All’inizio la questione sembrava sul punto di risolversi, ma ben presto gli ebrei crebbero di numero e si trovarono con la necessità di ottenere nuove terre fertili e acqua per sopravvivere. Se nel 1914 gli ebrei erano soltanto 60 mila, negli anni ’30 raggiunsero le 400 mila unità.

Il conflitto fu inevitabile. La Palestina fu contesa tra ebrei e arabi, e gli inglesi che la gestivano sin dalla Prima Guerra mondiale non fecero niente per smorzare gli animi. Nel 1936 la «grande rivolta araba» cercò di bloccare l’avanzata degli ebrei e gli inglesi questa volta reagirono, uccidendo 6 mila arabi nel tentativo di contenerli e varando una legge per limitare l’immigrazione ebrea.
Gli ebrei, da parte loro, reagirono al soffocamento. Guidati dai sionisti formarono delle sorte di milizie militari, che finirono per attaccare anche obiettivi inglesi.

La nascita di Israele

La Seconda Guerra mondiale fu un evento tragico per gli ebrei, come sappiamo, e aumentò l’idea che la Palestina fosse la «terra promessa» da ottenere. Nel 1947 l’ONU intervenne e decise di dividere la Palestina in due parti, una ebraica e l’altra araba; Gerusalemme divenne una gestione internazionale.

Inutile dire che nessuna delle due parti fu contenta della spartizione. Le guerre interne ripresero subito, fino a quando il leader sionista Ben Gurion dichiarò la nascita dello Stato di Israele, senza il consenso esterno.
Gli inglesi si ritirarono in fretta. Nel frattempo Israele fu messa sotto assedio dagli arabi uniti: Siria, Giordania, Egitto, Arabia Saudita e Iraq.

Sembrerebbe una lotta impari, ma mentre Israele contava su degli eserciti militari equilibrati, gli arabi erano disorganizzati. Il risultato fu l’espansione di Israele e la fuga di ben 700 mila arabi, costretti a lasciare la loro terra e a trasformarsi in profughi.

La Guerra dei sei giorni e l’Operazione Lenzuolo Rosso

Israele - Guerra dei sei giorni
In bianco/giallo Israele prima della guerra dei sei giorni, in arancione chiaro i territori acquisiti dopo la guerra dei sei giorni. In rosso il territorio occupato dall’Egitto dopo la Guerra del Kippur, in grigio il territorio occupato da Israele dopo la Guerra del Kippur [01]

Nel 1956 Gamal Nasser salì al comando dell’Egitto e occupò il Canale di Suez, che prima era in mano a Inghilterra e Francia. Inglesi e francesi reagirono, per la soddisfazione di Israele che decise di appoggiarli; ma i colossi Usa e Urss si fecero avanti e fermarono il conflitto con la diplomazia.

A questo punto comparve sulla scena Yitzhak Rabin, capo di Stato dell’esercito di Israele, che organizzò un attacco aereo serrato. L’Egitto perse quasi tutti i suoi 400 caccia, seguiti da buona parte degli aerei di Siria e di Giordania.

Seguì l’«Operazione Lenzuolo Rosso»: a partire dal 5 giugno 1967 l’Israele diede inizio a una vera e propria carneficina nei confronti dei tre Stati, che si concluse con la morte di oltre 20 mila arabi e di circa 700 israeliani.

L’Onu chiese la fine delle ostilità il 10 giugno.

La guerra continua

La Guerra dei sei giorni non mise a tacere la questione. Israele finì per controllare la Palestina storica e aveva conquistato due luoghi simbolo, la Città Vecchia di Gerusalemme e il Muro del pianto; ma doveva fare i conti con circa un milione di arabi palestinesi rimasti nella zona.

L’Olp («Organizzazione per la liberazione della Palestina») affermò che gli arabi avrebbero potuto riottenere la loro terra soltanto con la guerra. E così Israele si trovò a riprendere la battaglia, questa volta in casa propria.
La pace con l’Egitto arrivò solo nel 1978, dopo un altro breve conflitto nel 1973 (la Guerra del Kippur). Gli accordi di Camp David ridiedero il Sinai all’Egitto e, in cambio, gli egiziani riconobbero l’esistenza dello Stato di Israele.

Israele smise dunque di essere assediata dall’esterno. Ma dall’interno, la guerra diventava ogni giorno più aspra.

Fonti principali
Focus Storia n. 128, giugno 2017
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