Un report dell’Istat risalente al 2014 ha messo in luce una verità inquietante: la violenza contro le donne è fenomeno così ampio da essere quasi incontrollabile. Nonostante i progressi che si sono fatti e la consapevolezza che si tratta di un sintomo da debellare, ci sono situazioni che non accennano a diminuire.

Stiamo parlando di ben 6.788.000 donne italiane che nel corso della vita hanno subito un qualche tipo di violenza (fisica o sessuale); e si tratta soltanto di coloro che hanno deciso di dichiararlo apertamente, per cui è probabile che il totale sia più alto. Per cui anche considerando il fatto che alcune denunce potrebbero essere “esagerate”, il fenomeno resta preoccupante e pericoloso.

Nelle fonti a fondo pagina trovate il link al report originale. Nell’articolo mi limito a riassumere le parti principali.

Qualche numero

Elenchiamo qualche dato preciso. Precisiamo che per «violenza sessuale» si intende un tipo di maltrattamento più generico di «stupro»: include per esempio lo stalking, le “palpatine”, le persecuzioni.

Nel rapporto ci sono dei dati positivi, segno che qualcosa sta cambiando: si abbassano le violenze psicologiche dei partner (dal 42,3% al 26,4% rispetto al 2006), le donne abusate denunciano di più il reato e sembrano essere più soddisfatte del lavoro fatto dalle forze dell’ordine (dal 9,9% al 28,5%).

Il problema è che gli elementi negativi continuano a pesare e che alcuni dati non danno segno di voler diminuire. In particolare gli stupri e i tentati stupri sono rimasti della stessa percentuale del 2006, e il 10% delle donne subisce una più generica violenza sessuale prima dei 16 anni.
Sono 652 mila le donne che hanno subito degli stupri e 746 mila dei tentati stupri.

La violenza sessuale non è l’unico movente che porta al maltrattamento: spesso la donna subisce delle violenze fisiche che non hanno niente a che fare con il sesso. Non importa se la donna sia straniera o italiana, perché la percentuale di maltrattate è simile: ma verso le straniere gli stupri e i tentati stupri sono molto più frequenti, mentre le violenze sessuali sono soprattutto una piaga per le italiane. Nemmeno le disabili o le donne in gravidanza vengono risparmiate.

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Che cos’hanno in comune l’autunno, la Luna piena e il monte Fuji? La risposta si trova nella tradizione giapponese: il mito di Kaguya-Hime.
La favola è una delle tante meraviglie nascoste nella terra del Sol Levante, ma altrettanto particolare è la stagione O-Tsukimi, in cui gli abitanti celebrano la Luna piena con una festa in piena regola.

Il racconto originale è datato attorno al X secolo ed è conosciuto con due nomi: Taketori monogatari («Il racconto di un tagliabambù») e Kaguya-hime no monogatari («Il racconto della principessa splendente»).

La ragazza splendente

La leggenda racconta di un vecchio tagliabambù che, passeggiando in un boschetto, si imbattè in un uno stelo di bambù splendente nella notte. Quando lo spaccò a metà, però, al suo interno trovò una ragazza così minuscola che poteva stare sul palmo di una mano.

Il vecchio immaginò che fosse un dono degli dei: infatti lui e la moglie erano vecchi e non avevano potuto avere figli. Decise quindi di portarla a casa e di crescerla. Tra le altre cose, da quel momento ogni volta che il vecchio tagliava una canna di bambù, all’interno ci trovava sempre una moneta d’oro, che gli permise di arricchirsi in breve.

La ragazza fu chiamata Kaguya-hime o, per la precisione, Nayotake no Kaguya-hime («principessa splendente del bambù flessuoso»). Crescendo acquistò una straordinaria bellezza, al punto che le si presentarono alla porta cinque principi pretendenti.

Come condizione per accettare la proposta di matrimonio, lei stabilì per ognuno di loro di recuperare un tesoro impossibile da trovare: la sacra ciotola del Buddha, un ramo di un albero dal tronco d’oro e dalle foglie d’argento, la pelle di un topo di fuoco della Cina, il gioiello multicolore sulla testa di un drago e la conchiglia nascosta nella pancia di una rondine.
Nessuno portò mai a compimento l’impresa, nemmeno con l’imbroglio, e anzi uno dei principi perse la vita nel tentativo. La ragazza rifiutò persino la corte dell’imperatore in persona.

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Leggi e bufale

Il tema delle vaccinazioni rese obbligatorie per legge ha sollevato uno spolverone durante l’estate. I genitori, comprensibilmente, sono preoccupati per la salute dei figli e gli esperti, altrettanto comprensibilmente, cercano di spiegare perché tanto allarmismo è fuori luogo.

Per capire fino a dove arriva la verità e dove iniziano le fantasie, ho dovuto informarmi a fondo leggendo articoli di settore e guardandomi documentari a tema. La questione non è così semplice da sbrogliare, perché spesso anche gli esperti non sono del tutto d’accordo su certi argomenti; e le bufale su internet si sprecano.

Riassumendo

I dati che troverete nell’articolo sono un riassunto delle informazioni che sono riuscito a recuperare; in fondo trovate alcune delle fonti da leggere per intero. Diversamente dal solito farò subito un riassunto ed entrerò in seguito nei dettagli.

L’idea che mi sono fatto è riassumibile in questi punti:
– i vaccini sono necessari e ci hanno già protetto in passato da probabili epidemie: auguriamoci di non dover mai sperimentare una vera epidemia come accade in altre zone del mondo, dove la medicina è inaccessibile, perché in quel caso anche il più riluttante tra noi cambierebbe idea sull’argomento.
– i vaccini non sono un miracolo: riducono di molto la possibilità di contrarre la malattia, ma la percentuale non scende a 0.
– le complicazioni possono esistere, ma sono rare e in genere legate a particolari caratteristiche dell’individuo.
– nel dubbio sarebbe preferibile che i vaccini fossero fatti separati e non tutti in una volta; questa introduzione forzata rischia di diminuire l’efficacia della prevenzione. Non abbiamo prove certe che i vaccini multipli abbiano la stessa efficacia di quando li si somministra uno alla volta in tempi separati.

Ma soprattutto mi sono reso conto che gran parte dei cittadini contrari (non tutti) protesta senza essersi prima informata: si limita a copiare un sentito dire e soltanto perché avverte una naturale paura a riguardo. Questa tendenza è anche alimentata dal «piacere del complotto», che accompagna le società dall’alba dei tempi.

Dobbiamo renderci conto che quando un esperto parla lo fa, appunto, da esperto sull’argomento: ne sa senz’altro più di noi. Possiamo non essere d’accordo, ma in tal caso dobbiamo dimostrare le nostre ipotesi portando dei validi esempi. Stiamo parlando di medicina, non di filosofia: servono prove scientifiche ripetute per rendere valida un’affermazione.

Dopotutto c’è un motivo se l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha incluso il rifiuto dei vaccini come una tra le più grandi minacce alla salute globale

L’efficacia dei vaccini

I vaccini servono davvero? Le malattie non possono scomparire da sole?

A prima vista il nostro corpo riesce ad affrontare tutte le malattie e a uscirne senza danni o al massimo con qualche cicatrice. Non è così. I virus sono l’arma naturale più letale sul pianeta Terra: il nostro sistema immunitario riesce a far fronte a gran parte di essi, ma basta una malattia particolarmente resistente perché si diffonda e si trasformi in epidemia.

Prendiamo qualche numero. Senza andare troppo indietro nella storia (nel medioevo le epidemie di peste causavano milioni di vittime), basta che guardiamo i fatti recenti: l’Ebola sta mettendo in ginocchio tre Stati dell’Africa occidentale, l’AIDS ha causato circa 39 milioni di vittime dal 1960, l’influenza spagnola del 1918 ne ha causati 20 milioni e dal 2011 in Haiti sono morte oltre 6 mila persone per il colera. La meningite ha ucciso più di mille persone in Africa occidentale e il morbillo oltre 4500 in Congo.

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Periodo di riferimento: 26 agosto 2017

Indirizzo: Prato San Pietro, 23813 Cortenova (LC)

Come arrivare: provenendo da Milano prendete la Strada Statale 36 (SS36) che attraversa il ramo sud-est del lago di Como. Se invece provenite da est, prendete l’Autostrada A4 e imboccate l’uscita di Capriate, che immette alla SP170 e prosegue fino ad agganciarsi alla SS36.
In entrambi i casi, dalla SS36 dovete svoltare per la SP62 e proseguire in direzione di Cortenova, fino alla destinazione (Prato San Pietro).

Percorso generale: da Prato San Pietro proseguite a piedi verso il sentiero che porta alla Valle dei Mulini. La grotta dei Darden è raggiungibile con una piccola deviazione.

Difficoltà del percorso: il tratto fino alla grotta dei Darden è un itinerario alla portata dei bambini, ma tenete presente che non è adatto ai passeggini: ci sono infatti dei rari punti stretti che potrebbero richiedere di aggrapparsi alle corde già presenti sul posto e che potrebbero dare un po’ fastidio a chi soffre di acrofobia (paura dell’altezza). Inoltre, per essere puntigliosi, i lievi dislivelli possono essere un po’ faticosi da percorrere per chi non è allenato. Sono comunque delle difficoltà facili da superare con un po’ di sopportazione.
Alcuni tratti sono umidi, per cui si consigliano cautela e scarpe da montagna.

Il sentiero iniziale che porta alla Valle dei Mulini, in Valsassina, è un percorso fattibile per gran parte dei turisti occasionali e vi porta in mezzo al verde, ai torrenti e all’aria montana. È l’ideale per trascorrere una mattinata tranquilla con voi stessi e immersi in quel silenzio tipico della natura, dimenticando per un paio d’ore la vita frenetica delle città.

Nell’articolo mi occuperò soltanto del tratto che porta alla grotta dei Darden, raggiungibile in un’ora (o un’ora e mezza, se ve la prendete comoda) con una piccola deviazione dal sentiero. Non c’è rischio di perdersi, visto che il sentiero è lineare e ben segnalato.
Chi è più avventuroso può proseguire oltre, verso la Valle dei Mulini: in quest’ultimo caso il percorso diventa più complicato, le segnalazioni si fanno meno evidenti e il tragitto dura per almeno tre ore e mezza, superando un dislivello di 1316 metri; per cui la seconda parte è adatta soltanto a chi ha esperienza di percorsi montani.

Nell’articolo troverete due video dedicati, che potete recuperare anche dal canale Youtube di One Mind.

Da Prato San Pietro al rifugio La Strachinera

Un tratto del sentiero che porta a Valle dei Mulini. Il sentiero parte da Prato San Pietro (in comune di Cortenova), costeggia un torrente e prosegue fino alla grotta dei Darden.
[durata: 23s]

Parcheggiate l’auto a Prato San Pietro, una frazione di Cortenova. Il paesino è davvero piccolo e conta una chiesa, una trattoria e un paio di bar. Da qui proseguite a piedi lungo la strada che porta all’inizio del sentiero: lo riconoscerete perché l’asfalto si trasformerà in ghiaia e per i classici cartelli che indicano il percorso per la Valle dei Mulini.

Il sentiero inizia subito salendo, con un’inclinazione lieve. In breve vi ritroverete il torrente Pioverna sulla destra, un corso d’acqua alimentato dalle piogge, che vi terrà compagnia per l’intero percorso.
Per assicurarvi di essere nel posto giusto, poco dopo aver attraversato un piccolo ponte di pietra dovreste trovare il rifugio La Strachinera, sulla sinistra un po’ nascosto dalla vegetazione.

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Ha plasmato la civiltà umana, facendola progredire. Ci dà conforto contro le tenebre, ci permette di leggere e di istruirci. Grazie a lei sappiamo che la nostra galassia è solo una tra miliardi in un immenso universo.
Dimenticarci dell’importanza della luce è normale, perché l’abbiamo intorno in ogni momento e ci affidiamo a lei per qualsiasi nostra attività. Ma se vi fermate un attimo a riflettere sorge spontanea una domanda la cui risposta non è così banale: che cos’è la luce?

Ci sono stati numerosi filosofi e scienziati che hanno cercato una risposta, a partire dal filosofo cinese Mozì e passando per Albert Einstein che usò proprio la velocità della luce come limite per la sua famosa equazione.

Ho diviso l’articolo in tre parti per raggruppare gli argomenti.
Vediamo innanzitutto cos’è la luce dal punto di vista della fisica: come si forma, le sue proprietà, i suoi limiti. Nella seconda parte mostrerò l’importanza della luce per farci capire la composizione chimica dell’universo. Infine, in fondo troverete un breve excursus sulla storia che ci ha permesso di allargare i nostri orizzonti visivi.

Le proprietà uniche della luce

Il fotone, la particella che compone la luce

Le particelle che compongono la luce si chiamano «fotoni». Il fotone è una particella priva di massa, indivisibile, che ha delle proprietà uniche. Come ogni oggetto quantistico possiede le proprietà sia di una particella sia di un’onda.
[In questo articolo non serve entrare nel dettaglio, ma chi fosse interessato può leggere l’articolo sulla meccanica quantistica spiegata in parole semplici]

Ci sono diversi modi in cui un fotone può essere prodotto:
– quando una particella incontra una sua antiparticella: i due oggetti si annichiliscono e vengono prodotti due fotoni.
– attraverso il fenomeno chiamato «radiazione di frenamento», che si verifica quando una particella carica (in genere un elettrone) viene rallentata perché deviata da un’altra particella carica (il nucleo atomico: è il suo campo elettrico a deviare l’elettrone). In questo caso viene prodotto un solo fotone.

Lo spettro visibile: perché vediamo?

La luce visibile è un’onda elettromagnetica.
Un’onda elettromagnetica si crea quando i campi elettrici e magnetici oscillano. A seconda dell’energia presente, si hanno lunghezze d’onda diversi: più l’energia è alta, più la lunghezza d’onda è breve. È la lunghezza d’onda a determinare la forma che assume la radiazione magnetica: nell’ordine abbiamo raggi gamma, raggi X, raggi ultravioletti, luce visibile, raggi infrarossi, microonde e onde radio.

La luce visibile è appunto un’onda elettromagnetica, che ha una lunghezza d’onda che va all’incirca dai 390 ai 700 nanometri, ovvero dal rosso al violetto. I colori che vediamo ricadono tutti all’interno di questa lunghezza d’onda.

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Introduzione

Parto con un’opinione personale.

Le sale che permettono il gioco d’azzardo a mio avviso dovrebbe essere chiuse o comunque non incentivate dallo Stato. Sono infatti uno dei tanti modi con cui lo Stato guadagna attraverso mezzi inappropriati, sfruttando una debolezza psicologica (il gioco d’azzardo diventa facilmente una droga) a proprio vantaggio; anche perché i giocatori in genere non si rendono conto che le probabilità di vincita sono inferiori a quelle di perdita – il che è ovvio considerando che i gestori devono guadagnarci. Lo stesso discorso lo si potrebbe fare con i pacchetti delle sigarette, dove i messaggi di avvertimento presenti sulle confezioni suonano più come una beffa che come un consiglio; oppure con le multe studiate “ad hoc” per acquisire denaro quando invece il loro scopo originale sarebbe di correzione o di prevenzione.

Che il mercato delle slot machines sia un autentico business in crescita lo si nota dal loro rapido proliferare: persino nei paesini di periferia se ne trovano a decine. Trovo un paradosso che il ministero della salute si impunti su certe questioni quando il governo intero spinge nel senso opposto; e visto che il guadagno cresce di anno in anno, è chiaro che il fenomeno non è destinato a rallentare.

Fin qui la mia opinione, che quindi potrebbe non essere condivisa. Quello che invece è certo, dati alla mano, è che le VLT («Video Lottery Terminal») sono anche un ottimo sistema per il riciclaggio di denaro sporco.
Nelle fonti trovate il link all’articolo che ne parla in dettaglio, qua mi limito a riassumere i punti principali.

Premi dati senza i controlli necessari

Le slot machines pagano in base a quanto incassa la macchina stessa, ma le VLT distribuiscono dei premi stabiliti dal concessionario (il «payout»): si riceve un ticket, da cambiare alla cassa sottoforma di contanti fino a 3 mila euro e con bonifico bancario per cifre superiori. Puntualizziamo che per legge il premio minimo deve essere l’85% di quanto si butta nella macchina. In pratica, se buttate dentro mille euro, ne ricevete almeno 850.

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Sono passati decenni da quando Kim Eric Drexler coniò il termine di «nanotecnologia» nel suo libro del 1986, che tra l’altro era già stato accennato da Richard Feynman nel 1959. Drexler aveva introdotto per la prima volta il concetto di autoreplicazione.

Dalla teoria alla pratica sono dovuti trascorrere un bel po’ di anni, ma finalmente ci siamo: la nanotecnologia è una realtà. Non è più un concetto legato alla fantascienza, è un termine che identifica una tecnologia che si sta sviluppando nel presente e che promette meraviglie in un futuro molto vicino.

Da appassionato di futurismo e scrittore di libri di fantascienza, è un tema su cui mi informo da anni e sono rimasto piuttosto sorpreso dal salto evolutivo che ha fatto il settore ingegneristico di recente.
Prima di vedere quali (importanti) applicazioni avrà nel nostro futuro e in quello dei nostri figli, e quali rischi potrebbe portare se non viene regolamentata, diamo una breve descrizione.

Cos’è la nanotecnologia

La nanotecnologia è un ramo della scienza che, come dice il nome, si occupa di manipolare la materia su scala molto piccola: un miliardesimo di metro (0,000000001 o detto in altri termini 10^-9). Nel sistema internazionale questa misura minuscola viene indicata con il prefisso «nano». Per essere più precisi, la nanotecnologia include qualsiasi controllo della materia a livello delle molecole e degli atomi.
[se vi interessa sapere quanto è piccolo un atomo rispetto a noi, date un’occhiata a questo articolo]

Tra poco vedremo quali enormi utilità possono avere delle macchine tanto piccole. Qua però vale la pena di accennare a una proprietà che si nota spesso nei libri di fantascienza: l’autoreplicazione. I nanobot possono creare delle proprie copie in modo indipendente, replicandosi e autoriparandosi. Di conseguenza i costi da sostenere sono quelli del primo nanobot: i successivi si creeranno da soli, con costi aggiuntivi sopportabili. Già così potete farvi un’idea delle enormi potenzialità (e anche dei rischi possibili in caso di perdita del controllo).

Una precisazione: alcuni futuristi, come Ray Kurzweil, ipotizzano che in futuro scenderemo ancora oltre e creeremo tecnologie più piccole di un atomo (picotecnologie: parliamo di grandezze sui 10^-12). Kurzweil non è il primo arrivato, lavora nell’informatica da anni e si è concentrato sulle tecnologie che permettono di leggere un testo e di tradurlo a voce; però le sue previsioni si basano su dati statistici e non dà idee dettagliate su come sia possibile ridurre le tecnologie fino a renderle più piccole di un atomo.
Al momento risulta difficile credere di poter scendere tanto in dettaglio nel creare una tecnologia: la dimensione dell’atomo sembra essere il nostro limite attuale.

Materiali resistenti, alimenti artificiali e sicurezza nei controlli

La ricerca di materiali in scala ridottissima permette di sfruttare alcune qualità della materia che non sarebbero state possibili fino a qualche anno fa. Si parla di nanomateriali antigraffio, autopulenti e super-resistenti.
Allo stesso modo, potremo creare degli alimenti artificiali partendo da materiali diversi, più economici e meno inquinanti, con proprietà alimentari più sane.

Sul campo della sicurezza si hanno vantaggio un po’ in tutti i settori. Pensate per esempio a come sarà facile tracciare le banconote e distinguerle da quelle false, grazie a minuscole etichettature interne; oppure immaginate delle videocamere invisibili a registrare gli interni della casa o di una banca.

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Nel costruire delle nuove tecnologie spesso facciamo affidamento a fenomeni che la natura ci mette a disposizione e ci mostra ogni giorno. Per l’equilibrio e il movimento dei robot, per esempio, gli ingegneri si sono affidati soprattutto alla postura e alla struttura scheletro-muscolare degli animali.
Il concetto è sempre lo stesso: prendere un fenomeno fisico esistente e replicarlo a nostro uso, multiplicandolo il più possibile.

Con l’evoluzione delle nanotecnologie abbiamo a disposizione degli strumenti capaci di farci avvicinare alla fantascienza e, a volte, di superarla.
Avete presente Spiderman, il supereroe della Marvel che – basandosi sulle capacità dei ragni – è capace di arrampicarsi lungo i muri e di restare sospeso per ore? Il guanto che emula il suo “potere” sarà presto realtà, perché di fatto la tecnologia per realizzarlo è già presente.

Gechi, creature straordinarie con una potente forza di adesione

Il fisico Nicola Pugno del Politecnico di Torino (Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Edile e Geotecnica) ha creato un articolo nel 2008 dove spiega come, emulando le caratteristiche dei ragni e dei gechi, sia possibile ottenere un guanto altamente adesivo. Trovate il link diretto al pdf tra le fonti.

L’articolo è tecnico e completo di formule fisiche, ma senza entrare nei dettagli dimostra che le attuali nanotecnologie in carbonio sarebbero in grado di esercitare una forza di aderenza pari a 200 volte quella impressa dai gechi. Questo renderebbe il guanto in grado di sostenere una massa di oltre mille kg.
Il primo prototipo di guanto, tra l’altro, è rivestito di un materiale lavabile in acqua a 30° C e capace di sopportare temperature tra i -70° C e i 250° C.

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Introduzione

Prima di entrare nel merito dei lati negativi, iniziamo con il puntualizzare che i social network non sono da demonizzare. Sono strumenti, e come ogni strumento è l’uso che se ne fa a renderli utili o rischiosi, o entrambe le cose.

Tra i lati positivi, ricordiamo che i social ci mettono in comunicazione con aziende, persone e società in ogni angolo del mondo, permettendoci di diffondere informazioni e notizie che altrimenti non arriverebbero alle orecchie del cittadino medio. Se avete perso di vista un amico dell’infanzia, potreste ritrovarlo con una rapida ricerca.
Inoltre, i social sono molto utili per combattere situazioni di timidezza cronica (che, paradossalmente, la tecnologia contribuisce ad aumentare): ci sono ragazzi che per carattere tendevano a rinchiudersi prima dell’avvento di internet, per cui non possiamo addossare la colpa soltanto all’evolversi del web, che anzi in questo caso rappresenta un valido supporto.

Fin qui i lati positivi. Purtroppo, la psicologia e l’evoluzione dell’essere umano ci insegnano che i social hanno più punti negativi rispetto a quelli positivi, e che la colpa è proprio dell’uso (in gran parte istintivo) dell’utente medio. Entriamo un attimo nel dettaglio.

Il nostro cervello è nato per essere pigro e per ricevere gratificazione

Il cervello umano si è sviluppato per interagire con gli altri, per collaborare con la comunità. Non possiamo farne a meno. Rispondere in fretta a domande come «a chi dovrei dare la mia fiducia?» oppure «è meglio insultare quest’uomo o tenerlo come amico?» sono alla base della sopravvivenza che ha accompagnato la specie umana. Questo tipo di risposte, però, richiede di processare un bel po’ di informazioni: è il motivo per cui abbia una cervello di grandi dimensioni.

Il rovescio della medaglia è che l’interazione sociale richiede fatica e dispendio di energia, proprio perché dobbiamo assumere di continuo delle decisioni. Quando le interazioni sono troppe, ecco che scatta il meccanismo opposto: la socialità acquista più effetti negativi che positivi, ed è in simili momenti che abbiamo bisogno della nostra “privacy”.

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Periodi di riferimento: 10 giugno 2017

Indirizzo lago di Tenno: Lago di Tenno, 38060 Tenno (TN)
Indirizzo Canale di Tenno: Via Sant’ Antonio, 38060 Tenno (TN)

Come arrivare: il lago e il borgo si trovano a pochi minuti di distanza tra loro; il borgo si può addirittura raggiungere a piedi a partire da una vietta del lago. Per arrivarci a partire da Riva del Garda (estremo paese a nord del Lago di Garda), avete due alternative:
– se volete iniziare la visita dal lago, la via più rapida è prendere la Strada Provinciale SP37 che vi porta nei pressi del lago.
– se volete iniziare la visita dal borgo, prendete la Strada Statale SS421.

Percorso generale: Lago di Tenno – Canale di Tenno

I verdi scenari del Lago di Tenno

Il nord Italia è una zona ricca di bacini lacustri. Il più famoso è naturalmente il Lago di Garda, viste le dimensioni e la quantità di paesi che permette di visitare lungo le sue coste, ma risalendo verso il Trentino si trovano dei laghetti spettacolari e, in qualche modo, dotati di un fascino particolare.

È il caso del lago di Tenno (in tedesco «Tennosee» o «Thennersee»), un gioiello naturale a 20 minuti dal Lago di Garda e dalle splendide acque color verde smeraldo. Il lago è piuttosto piccolo: 0,3 km quadrati, con una profondità media di 20 metri e una massima di 47 metri. Nonostante le dimensioni, ha delle caratteristiche che lo rendono un lago unico tra quelli che finora ho avuto modo di visitare: acque cristalline, un panorama verde che lo circonda lungo la costa, alcune spiagge (ghiaiose) per stendersi e pesci che nuotano fino a pochi centimetri dalla riva.

Potrei cercare di esprimere a parole la bellezza del posto, ma quando si parla di luoghi naturali è più facile mostrare delle foto, che trovate di seguito; e per apprezzare in pieno l’atmosfera che si respira, l’invito è di visitare di persona la zona. Tra le immagini trovate alcune descrizioni utili per la visita.

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