Legge Levi – Perché troppo sconto ai libri fa male

Pila di libri e racconti

La legge Levi del 2011 limita gli sconti applicabili sui libri. Lo scopo è di aiutare le piccole editorie: ma non tutti sono d’accordo [1]

Uno dei sistemi principali per promuovere un prodotto – oltre naturalmente al marketing vero e proprio – è offrirlo ai clienti a prezzi scontati. Si tratta di un mezzo senz’altro efficacie dal punto di vista psicologico: vedendo lo sconto, il cliente è più portato ad acquistare persino prodotti che, normalmente, avrebbe evitato.

I libri non fanno eccezioni, come è ben saputo. Ma forse non tutti sono consapevoli che lo sconto del libro è limitato dalla legge. Per la precisione, la Legge Levi (Legge n. 128 del 27 luglio 2011 firmata da Ricardo Franco Levi) lo limita a un massimo del 15% sul prezzo di copertina.

Il limite imposto ha portato a diverse polemiche: per alcuni lo sconto è sin troppo elevato, per altri limita il mercato.
Per altri ancora, è equo: limita i margini di guadagno, che sono però simili per tutti i venditori, e inoltre permette di diffondere anche libri di nuovi autori (che altrimenti sarebbero poco presi in considerazione per motivi economici).
Vediamole nel dettaglio.

Le critiche: sconto troppo elevato ed eccezione ingiustificata

Lo scopo della legge era quello di tutelare i piccoli editori e i piccoli venditori di libri. Se non vi fosse un limite allo sconto, infatti, i grandi editori potrebbero spingere su scontistiche alte, perché tanto ne guadagnerebbero sul grande numero di vendite; i piccoli editori (che vendono un numero ridotto di copie) si ritroverebbero così ad offrire libri a prezzi più alti e rischierebbero di perdere la loro clientela.

Il buon senso, quindi, sarebbe a favore di un limite nello sconto dei libri. Secondo varie opinioni, però, il limite del 15% è ancora troppo elevato per poter garantire ai piccoli editori di restare competitivi. Andrebbe abbassato ulteriormente.

Un altro contrasto alla Legge Levi arriva dal fronte opposto. La critica è semplice: «Siamo in uno Stato di libera concorrenza. Il libro è un prodotto come qualsiasi altro. Perché dovrebbe esserci un limite allo sconto da poterci applicare?».

La domanda è lecita, a meno che non consideriamo il libro come “cultura”. In questo caso smette di essere un prodotto qualsiasi, diventa un bene utile e va trattato di conseguenza con delle leggi personalizzate che lo tutelano.
Il problema è che sul mercato esiste una marea di libri spazzatura, che non possono essere considerati “cultura”. Chiunque può scrivere un libro; non tutti possono scrivere un «libro utile».

Infine, c’è chi afferma – non troppo velatamente – che la legge è nata soprattutto per bloccare lo “stra-potere” di Amazon, che poteva permettersi sconti addirittura del 40%, arrecando inevitabilmente danno ai piccoli librai ed editori.
Inutile dire che i lettori che compravano da Amazon sono stati tra i primi a lamentarsi del limite dello sconto – anche se numerosi acquirenti hanno espresso il loro appoggio alla legge, appunto per tutelare i piccoli librai.

Cosa succederebbe senza un limite allo sconto?

Immaginiamo uno scenario in cui gli editori sono liberi di applicare uno sconto a piacere sui libri venduti.
Alcuni esperti, come Markus Gerlach nel suo Proteggere il libro, spiegano che alla lunga si arriva a una situazione insostenibile:

1. I librai sono i primi a rimetterci, perché non possono applicare le stesse strategie economiche dei negozi. Di conseguenza, le librerie andrebbero lentamente a scomparire in favore della vendita al dettaglio.

2. I negozi applicano prezzi più bassi perché possono permetterselo. Gli editori devono quindi sottostare ai loro prezzi; ma essendo obbligati a selezionare la merce, si concentrebbero solo sui titoli più venduti. La conseguenza è che sul mercato sarebbero presenti per lo più libri selezionati (con grande pace per gli autori emergenti).

In definitiva: i negozi guadagnerebbero a discapito dei librai e sul mercato ci sarebbe soltanto merce selezionata. Come dire che chi non ha abbastanza soldi (o conoscenze) per farsi pubblicità sarà messo da parte, che abbia talento o meno.

Alcuni potrebbero dire che si tratta di situazioni già presenti sul mercato moderno: chi ha denaro o agganci, ha più possibilità di “mettersi in mostra” e quindi di vendere. Vero. Ma Markus Gerlach ha studiato il mercato estero e porta dati concreti: nei Paesi dove lo sconto è basso (per esempio in Francia, dove lo sconto massimo permesso sui libri è del 5%) i prezzi vanno a uniformarsi su tutti i venditori; negli Stati dove invece non c’è uno sconto prefissato, il prezzo dei libri tende a salire rapidamente.

Stando ai dati statistici, quindi, lo sconto massimo imposto per i libri sembra portare più benifici che danni. Ma le opinioni sono ancora discordi e c’è chi chiede a gran voce l’abolizione della Legge Levi.

E voi, cosa ne pensate?

 


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