Cosa succede a un corpo umano disperso nello spazio?

9 Dicembre 2011 | Fisica e chimica

Introduzione

Pensate a un astronauta che, a causa di una grave avaria alla navicella dove stava, si ritrova improvvisamente a vagare nel vuoto siderale. La sua tuta protettiva è danneggiata e presto diventa inutilizzabile.

Le conseguenze in campo fisico sono immediate e provocano un collasso rapido e violento. La speranza di vita dell’astronauta, purtroppo, non supera il minuto e mezzo, un tempo insufficiente persino perché eventuali compagni possano portargli soccorso.

Cosa è successo al nostro astronauta? Paradossalmente, non è la temperatura gelida ad averlo ucciso: nello spazio non esistono particelle con cui il corpo dell’astronauta può scambiare calore e quindi i tessuti non possono “congelare”. Il freddo sopraggiunge per un altro motivo, come vedremo tra poco. Nel complesso, sono gli stessi elementi che compongono il suo corpo a tradirlo, uniti alle particolari condizioni fisiche dello spazio.

Gli effetti sul corpo

I gas e la pressione

Il primo effetto che un corpo umano subisce quando è esposto al vuoto assoluto è dovuto alla differenza tra la sua pressione interna e quella esterna: i gas si espandono, gonfiando gli organi interni, specialmente i polmoni. Presto l’aria va a invadere anche le vene, dove il sangue viene trasportato, causando in breve un arresto cardiaco.

Nel nostro corpo è presente per il 3% un particolare tipo di gas, l’azoto. Alle alte pressioni (come quelle presenti nello spazio oppure a grandi profondità marine), l’azoto non viene eliminato e diventa una trappola mortale: forma bolle d’aria nei nostri tessuti, fino a portare all’asfissia. Il fenomeno, ben conosciuto da chi fa immersione, è conosciuto come malattia da decompressione.

L’acqua, il nostro nemico nello spazio

In secondo luogo, è l’acqua a causarci dei problemi. Come ben sappiamo, il corpo umano è composto per il 60-70% d’acqua. La differenza di pressione con l’esterno sarebbe così alta da portarla a evaporare, passando attraverso qualsiasi pertugio libero e già umido: occhi, bocca, narici. Inoltre, dobbiamo fare i conti con la radiazione ultravioletta.

A questo punto, in realtà, la morte non è istantanea: i nostri organi e tessuti sono abbastanza elastici da permetterci di sopravvivere per un certo tempo. Fino a quando il cuore continuerà a battere, il sangue non andrà in ebollizione. Alla fine la pelle si raffredderà per effetto dell’evaporazione dell’acqua e diventerà di un colore bluastro: non congelerà, come invece si nota in genere nei film di fantascienza.

Niente ossigeno

A ogni modo, le conseguenze più gravi avranno luogo quando l’astronauta sarà già incosciente. La perdita di coscienza avviene entro 9-11 secondi dall’inizio dell’esposizione (già nella nostra atmosfera, oltre i 15km di altezza, la capacità di restare coscienti si aggira al massimo sui 12 secondi). Dopo questo periodo, seguiranno paralisi e convulsioni. Trascorsi dai 30 ai 60 secondi ne risentono le arterie e le vene, incaricate di trasportare il sangue.

Dopo un minuto e mezzo, la mancanza di ossigeno in gran parte dei casi recherà gravi danni al cervello e, se anche l’astronauta fosse recuperato, vivrebbe con un corpo ancora intatto ma in una stato di vita vegetale.

Fonti principali
«Bioastronautics Data Book»
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