Chi è Bruno Serato

Bruno Serato è uno chef italiano che vive in California. Il suo lavoro si svolge a New York, nel ristorante Anaheim White House, ed è particolarmente richiesto da personaggi noti nella sfera della politica e tra le star.

La buona cucina italiana ha raggiunto gli angoli più remoti del pianeta e forse può non sembrare una novità che uno chef attiri tanto l’attenzione. Ma Bruno Serato non è soltanto un cuoco: di notte la sua divisa prende un’altra forma e diventa un punto di riferimento per i bambini del Boys and girls club, una sede pubblica per l’infanzia.

Una cucina per beneficenza

Al Boys and girls club i bambini vengono accolti in stanze poco costose, dove sono a contatto con una realtà non proprio adatta alla loro giovinezza: prostitute, drogati e alcolisti li circondano da ogni direzione, come capita spesso negli ambienti più poveri. Quando ha scoperto questa precaria situazione, e che i genitori dei piccoli non avevano nemmeno il denaro per nutrirli, Caterina, la madre di Bruno, è rimasta sconcertata e ha chiesto al figlio di «preparargli un piatto di pasta».

Da quel giorno sono trascorsi sei anni e Bruno non ha mai smesso, durante la sera, di preparare dei piatti per i bambini del club: «tra 150 e 200 ragazzi, 7 giorni a settimana». Fino a ora ha servito ben 250 mila pietanze.

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Introduzione

Da bambino ero affascinato dalla musica insolita, quella che non era prodotta dai comuni strumenti a corda, a fiato o a percussione. In particolare, mi meravigliavo nel vedere come dei calici messi in fila e riempiti con diverse dosi di acqua potevano produrre dei suoni armonici al tocco delle dita. Ancora di più mi stupiva il controllo che i musicisti avevano sulle note che ne uscivano.

È un esperimento che non sono mai riuscito a replicare alla perfezione, ma soltanto perché non avevo a disposizione gli strumenti e la conoscenza per farlo. Con il tempo e l’esperienza, si può arrivare a comporre interi spartiti musicali, come dimostra il video qui sotto, che replica il famoso Inno alla gioia di Beethoven:

Cosa rende possibile questo miracolo musicale? Come sempre, è la fisica a venirci in soccorso e a darci una spiegazione.

Come far suonare i bicchieri canterini

I bicchieri canterini (così viene chiamato questo strumento) erano studiati già al tempo di Galileo. Un dito bagnato sfregato sul bordo del bicchiere, opportunamente riempito d’acqua, è capace di causare delle vibrazioni lungo la parete che saranno poi trasmesse all’aria interna. La “quantità” di cavità lasciata nel bicchiere decide la diversità di suono. È lo stesso principio della cassa di risonanza degli strumenti musicali.

In realtà, sono molti i fattori a determinare il suono diverso, a cominciare dal materiale del bicchiere sulle quali le onde si spargeranno.

Se non abbiamo a disposizione dei calici, possiamo comunque creare uno strumento simile con delle bottiglie di vetro (meglio sarebbero dei contenitore cilindrici, per un suono meno dispersivo). Andrea Frova, nel suo libro La scienza di tutti i giorni, propone di usare almeno otto bottiglie, per comporre le note fondamentali: do, re, mi, fa, sol, la si, do’.

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Introduzione

Quante volte ci siamo interrogati sull’esistenza di un filo conduttore nella nostra vita, un percorso già prestabilito e da cui nessuno può uscire? Il destino si limita a questo, dopotutto: un binario già creato che l’uomo deve per forza seguire, perché non ha altra strada da scegliere.

Non parlerò della questione complessa (e poco chiara) della religione cattolica. Non entrerò neanche nel campo della fisica, non ce n’è bisogno: serve soltanto chiarire un concetto abbastanza semplice. L’idea che voglio usare può essere capita con la logica e un esempio.

Il tempo è una fila di istanti?

Come sappiamo i nostri occhi vedono un oggetto in tre dimensioni (altezza, lunghezza e profondità). Se il tempo non esistesse, l’oggetto sarebbe sempre immobile. Anzi, probabilmente non ci accorgeremmo nemmeno della sua esistenza, perché saremmo immobili anche noi. È proprio il tempo a darci la sensazione di continuità: un cane si muove perché si sposta da un punto A a un punto B nel giro di qualche secondo.

Il tempo e lo spazio sono quindi un’unica cosa. Un oggetto ha in sé quattro valori: altezza, lunghezza, profondità e istante. Mentre le prime tre possono rimanere le stesse, l’istante cambia continuamente. Una roccia può rimanere ferma in un certo posto per mille anni, ma dopo mille anni sarà stata erosa dal vento.

Se provate a pensarci, possiamo vedere il tempo come una serie infinita di istanti. Mettiamo il caso che l’istante corrisponda a un secondo. Per formare un minuto servono 60 istanti vicini tra loro, cioè 60 punti ognuno dei quali ha in sé i quattro valori appena visti: le tre coordinate spaziali e quella che corrisponde all’istante (nel nostro esempio, quest’ultima sarà 1 secondo).

Riducendolo all’osso, un minuto sarà formato da 60 punti ravvicinati, messi uno dopo l’altro secondo un certo ordine. I punti vicini formano la linea del tempo così come la vediamo.

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Sin dal 1996

Dal 1996 l’Unione Europea ha imposto agli Stati membri l’adozione dell’ora legale, cioè l’avanzamento di un’ora durante l’ultima domenica di marzo, che sarà ripristinata nell’ultima domenica di ottobre, quando appunto si riporterà l’orologio indietro di un’ora (ora solare).

Si tratta di una legge non condivisa da ogni partecipante e che all’estero non sempre è usata (si veda per esempio il Giappone). Nell’emisfero australe, naturalmente, l’ora legale è invertita: in Australia, per esempio, va da ottobre ad aprile.

Perché è nata l’ora legale?

In Italia il suo primo uso risale al 3 giugno 1916, dopo che nello stesso anno era stata adottata dalla Gran Bretagna. Tra le terre inglesi, infatti, Benjamin Franklin aveva avanzato l’idea già nel 1784 di utilizzarla.

Perché è nato questo improvviso desiderio di spostare le lancette in avanti? La sua introduzione è dovuta esclusivamente a motivi di risparmio economico. Lo spostamento in avanti di un’ora a partire dalla primavera ci permette di prolungare la luce durante il giorno, a discapito del mattino, che si vede invece sottrarre un’ora. Questo significa minore consumo per l’illuminazione.

Con questo stratagemma, l’Italia ha risparmiato oltre 2,5 miliardi di kWh tra il 2004 e il 2007 (circa 300 milioni di euro). Nel 1970 gli Stati Uniti calcolarono un risparmio dell’1% sui consumi rispetto all’uso dell’ora solare.

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La fine del mondo

Le voci, vere o false che siano, dell’imminente fine del mondo annunciata dai Maya secoli fa sono ormai diventate un fenomeno di massa. Si parla del 21 dicembre 2012 come data ultima, dopo la quale ci sarà un cambiamento per l’intera umanità.

Sulla data si è molto disquisito e anche sul significato di “cambiamento” (che vuol dire tutto e niente), ma rimane il fatto che un numero spropositato di persone ha iniziato a crederci o comunque a considerare la catastrofe di livello mondiale come una possibilità concreta.

Una fortezza per l’apocalisse

È il caso di alcuni nostri connazionali. Trentotto famiglie italiane si sono ritirate nello Yucatàn, nello Xul, hanno preso cittadinanza messicana e hanno costruito una cittadella grazie all’aiuto degli abitanti del luogo, una vera fortezza che è giustamente chiamata Las de los Aguilas (“il rifugio delle aquile”).

La piccola città è visibile solo dall’alto, perché ovunque spiccano cartelli che vietano l’accesso e proibiscono addirittura la caccia.

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Destino e caso a confronto

Immagino sia capitato a tutti di chiedersi, dopo un fatto, se il risultato sarebbe stato diverso cambiando alcune nostre azioni del passato. Avrei incontrato quell’attore famoso se non avessi perso il treno e fossi stato costretto a prendere il taxi? Sarei riuscito a superare l’esame se il giorno prima fossi andato a letto presto?

In definitiva, esiste il destino o siamo governati dal caso?

Nella filmografia abbiamo qualche esempio che ci porta a riflettere. In Matrix, per esempio, il protagonista Neo va a trovare l’Oracolo, un’anziana capace di leggere nel futuro. Non appena entra nella stanza, la donna gli dice di non preoccuparsi per il vaso. Neo, non capendo a cosa alludesse, volta le spalle e urta un vaso vicino, mandandolo in mille pezzi. Avrebbe rotto il vaso lo stesso se la donna non avesse parlato?

Will Hunting: una deviazione e tutto cambia

In Will Hunting, come si capisce dalla traduzione italiana del titolo («Genio ribelle»), il protagonista – interpretato da un ottimo Matt Damon – è un genio incompreso e anticonformista. A un certo punto gli viene proposto di lavorare per la NSA, ma tergiversa e quindi il datore di lavoro gli chiede: «La domanda è […] perché non dovresti lavorare per l’NSA?». La risposta gli arriva come una frustata.

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Origine dell’inno

In occasione del 150° anniversario della nascita dell’Italia, il primo simbolo che mi appare alla mente, dopo la bandiera tricolore, è senz’altro il nostro inno di Mameli. Quante cose sappiamo sul motivetto nazionale italiano e quante invece ne ignoriamo?

Il nome “ufficiale” è Il Canto degli Italiani: il nome inno di Mameli si rifà al suo creatore, Goffredo Mameli, un liberale e repubblicano che nel lontano 1847 partecipò come attivista alle manifestazioni per le riforme. In seguito proseguì nella carriera di soldato patriottico: partecipò alle cinque giornate di Milano e, insieme a Garibaldi, vide la proclamazione della Repubblica nel 1849. Ma Mameli fu anche poeta e dobbiamo alla sua vena artistica la creazione dell’inno. A Michele Novaro, musicista e patriota genovese, dobbiamo invece l’arrangiamento della colonna musicale.

Ufficiale solo dal 2005

Per quanto possa sembrare strano, in verità la legge ha eletto Il Canto degli Italiani come il nostro inno nazionale solo nel 2005. Più volte rischiò di essere soppiantato da altre canzoni: al principio era spesso cantata Giovinezza al suo posto; dopo l’armistizio del 1943 fu adottata provvisoriamente La canzone del Piave. Nel 1946 ritornò l’inno di Mameli, ma non fu stabilito sotto forma di legge.

Un passo molto importante è stato fatto nel 2010: la SIAE eliminò la riscossione dei diritti d’autore legati all’inno, che è di proprietà della casa editrice Sonzogno. Come dire, una piccola spinta verso la dovuta nazionalità.

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Introduzione

È difficile immaginare che un fungo abbia la coscienza (o l’istinto) per aggredire un insetto e insinuarsi nella sua mente, fino a prenderne il controllo. Potrebbe sembrare uno scenario da film di fantascienza, ma è proprio in questo modo che si comporta la specie Ophiocordyceps camponoti, scoperta nella foresta pluviale del Brasile dall’entomologo David Hughes.

Funghi parassiti

Si contano in realtà quattro tipi di funghi con questo comportamento: si attaccano all’insetto, penetrano nella loro mente e, non appena raggiungono un lungo ideale alla loro crescita, lo uccidono.

David Hughes ha scattato numerose foto in cui il fenomeno si vede chiaramente: appendici che spuntano dalla testa di formiche, vespe con filamenti che escono dal suo corpo, grilli soffocati dai germogli. La parte più inquietante è che, nel corpo ospite, a volte il fungo rilascia delle spore capaci di infettare altri insetti sani che si avvicinano. Una sorta di “zombificazione” vegetale.

Una volta infettato il corpo ospite, il fungo arriva al cervello e lo spinge ad ancorarsi verso luoghi stabili dove può crescere e moltiplicarsi. Gli impulsi sono potenti e irresistibili: in una delle foto si vede una formica aggrapparsi a uno stelo con tutte le sue forze, rimanendo anche a testa in giù.

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Il futuro

Nell’inserto di Nòva de Il Sole 24 ore (n. 261) il sociologo Domenico De Masi racconta della sua ricerca nei confronti di imprenditori, manager e studenti svolta due anni fa per rispondere a un’interessante domanda: come sarà il mondo nel 2020?

La risposta non è banale. L’Unione Europea sta infatti delineando un’Agenda Digitale contenente cento punti chiave da seguire per “arginare” i problemi di cui tanto si parla, tra i quali rientrano l’abbassamento del consumo, l’aumento dell’istruzione e della sicurezza informatica e la diffusione della banda larga per permettere a tutti di navigare su internet con una discreta velocità.

L’indagine di De Masi aiuta a capire lo stato d’animo del popolo e a considerare gli aspetti principali sui quali agire. Gli argomenti sono divisi in dieci categorie, che vi sintetizzo qui sotto.

Alla luce delle risposte, comunque, un dato è risaltato con chiarezza: i Paesi in crescita economica (come la Cina) hanno una visione ottimistica del futuro, mentre le Nazioni già stabili (come la nostra) vedono il futuro con occhi grigi.

Dieci categorie

Salute

– La popolazione mondiale sarà un miliardo più di oggi e vivrà più a lungo, di un rapporto 7 a 8,5. Di conseguenza aumenterà la popolazione anziana.
– Malattie diffuse e pericolose come AIDS e cancro scompariranno, ma diventerà cosa comune la fecondazione artificiale e la clonazione umana.
– L’inquinamento sarà contenuto.
– Il problema maggiore sarà dato dagli obesi e dai malati di Alzheimer, con conseguente aumento delle spese in campo medico negli ultimi anni di vita.

Tecnologia

– Le automobili andranno in gran parte a idrogeno.
– I chip saranno piccoli come dei neuroni umani, ma la loro potenza sarà pari a un miliardo di transistor.
– Un unico mezzo, probabilmente il cellulare, conterrà musica, film, libri e quant’altro.

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Fonte di energia necessaria

In un articolo  della Repubblica del 3 marzo si riportava un’interessante intervista rivolta a Umberto Veronesi, medico e oncologo che ha da poco dismesso la sua carica di Senatore per entrare, quale presidente, nell’Agenzia per la sicurezza nucleare.

La sua nuova carica lascia immaginare il tema dell’intervista: il nucleare è indispensabile per l’Italia? La risposta del medico inizia con un tono preoccupante:

«Senza il nucleare l’Italia muore. Tra 50 anni finirà il petrolio, tra 80-100 il carbone, seguito poi dal gas. Altre fonti non saranno sufficienti a fornire l’energia di cui abbiamo bisogno».

Le conseguenze di un esaurimento di questa fonte di energia (in mancanza di altre forme di energia rinnovabili) sarebbero naturalmente disastrose, in un tempo in cui la tecnologia occupa ogni momento della nostra vita e ha bisogno di una continua alimentazione.

Umberto Veronesi, per quanto ho avuto modo di conoscerlo attraverso i giornali e la tv, è un uomo con la testa sulle spalle e non pubblica affermazioni simili con leggerezza. Subito dopo, infatti, spiega nel dettaglio le sue ragioni e assicura che il nucleare può essere usato in sicurezza se ci saranno un controllo e una formazione adeguati.

Il nucleare? Sì, ma serve controllo e formazione

Tre sono i problemi da superare:

1. Garantire la sicurezza nel funzionamento dei reattori nucleari. Con le tecnologie a disposizione, è ormai più una questione di attenzione che di errori da risolvere.

2. Lo smaltimento delle scorie. Gli scarti del nucleare perdurano per migliaia di anni ed è necessario trovare un posto adatto dove “nasconderli”, in modo che le loro radiazioni siano ridotte al minimo.

3. Il fattore umano. I disastri nucleari sono avvenuti in passato per negligenza da parte dei dipendenti e dei responsabili ai lavori, che hanno sempre sottovalutato la questione. Come oncologo, Veronesi è sensibile all’argomento, ma è anche consapevole che persino i peggiori disastri nella storia (primo fra tutti quello di Chernobyl) sono frutto della trascuratezza e dell’ignoranza. Chiaro che il primo passo da fare è quindi formare il personale, azzerando così l’errore umano. Teniamo poi conto che nel tempo le misure di sicurezza si sono intensificate e sono diventate più efficienti.

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