Una questione di rispetto?

La specie umana possiede alcune doti che la rendono unica al mondo. Per esempio il ragionamento logico, la capacità di costruire opere maestose o l’abilità di mettere ordine nel disordine – o disordine nell’ordine, un’impresa che ci riesce meglio di qualsiasi altra creatura istintiva.

C’è una caratteristica, però, che ci fa risaltare in modo particolare: la mancanza di rispetto verso le altre specie viventi, animali o vegetali che siano. Per aumentare il nostro confort siamo disposti a sradicare miglia di foreste. Preferiamo alcune specie animali ad altre, dimenticando che non esiste granché differenza tra una vita e un’altra (trattereste un rospo in via di estinzione con la stessa cura del vostro cane o del vostro gatto?).

Ci preoccupiamo di spendere migliaia di euro per la cura di uno solo dei nostri animali domestici e non di salvaguardare le api, ormai in stato di seria minaccia, che sono il fulcro della proliferazione dei fiori e di tutto quello che ne comporta, noi compresi.

Se lo ritenete un pensiero cinico, troppo tirato o troppo diretto, è probabile che non vi siate mai informati in profondità sul rapporto tra uomo e ambiente. Abbiamo già visto i disastrosi effetti della luce artificiale o le ancora più terribili conseguenze della plastica negli oceani.

Restando nel regno animale, comunque, non dovete allontanarvi troppo da casa vostra. Vi basta alzare gli occhi al cielo e notare quanti pochi uccelli volino sopra le vostre teste. Quel cielo sgombro si può definire con una parola: avicidio. Detto in altri termini, lo sterminio dei pennuti che perdura da almeno due secoli.
Alan Weisman ha compiuto una meticolosa ricerca a riguardo e ha riportato dei dati precisi nel suo famoso libro Il mondo senza di noi.

La colomba migratrice: uno sterminio di massa

Il più famoso è il dodo, scomparso dalle isole Mauritius a causa dei coloni olandesi e portoghesi che lo cucinarono per circa un secolo. Il grassoccio volatile era troppo goffo e fiducioso per fuggire dalle bastonate. Ma potremmo citare anche l’alca impenne, estinta dai cacciatori del Nord America, o il moa-nalo (simile a un’anatra gigante), scomparso dalle Hawaii sempre per una caccia esasperata.

Il caso più orribile riguarda però la colomba migratrice americana. Si stima che nel 1700 fosse l’uccello più abbondante sulla Terra e che passasse in stormi lunghi 500 km (!), denso di miliardi di elementi. Doveva essere uno spettacolo straordinario, capace di oscurare letteralmente il cielo mentre passavano per ore. Poi arrivò l’essere umano. Il primo passo fu tagliare le foreste e quindi togliere le ghiande e le bacche che nutriva questa folta schiera mentre migrava. Il secondo passo furono le armi da fuoco, che miravano nel gruppo di passaggio e abbattevano migliaia di individui in breve tempo.

Lo sterminio iniziò nel secolo ‘800, favorito dal disbocamento e dal clima avverso. Quando i cacciatori si resero conto che il loro numero era diminuito di molto, il loro pensiero non andò alla possibile estinzione, ma alla paura che la loro fonte di guadagno scomparisse. Così la caccia si fece ancora più serrata: si sparava più in fretta prima che lo facessero gli altri. Si inventarono addirittura dei sistemi crudeli per attirare gli stormi, come accecare dei piccioni per richiamare gli altri.

In breve rimase qualche colombo migratore soltanto negli zoo. Nel 1914, l’ultimo esemplare di colomba migratrice morì senza una discendenza.

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Ogni secolo storico ha il suo momento di buio, un avvenimento tanto cupo da lasciare una memoria incancellabile nei posteri. Lo abbiamo vissuto nel ‘900 con il nazismo, nell’800 con la tratta degli schiavi, nel ‘500 con i conquistadores in America.

Ma uno dei periodi peggiori della storia durò addirittura per cinque secoli e mezzo. Ebbe inizio nell’anno 1213, quando il papato decise di istituire l’Inquisizione per combattere l’eresia, e terminò soltanto nel 1782, anno in cui si ebbe l’ultima condanna in Svizzera.

Stiamo parlando della «caccia alle streghe», un termine infelice che mise in risalto il lato più crudele e ingenuo dell’essere umano. All’interno di questa lunga epoca, infatti, troviamo le azioni più vergognose di cui la specie umana abbia mai potuto macchiarsi: abusi di potere, torture, accuse ingiuste, fanatismi religiosi e omicidi a sangue freddo.

Vediamo di capire cosa fu effettivamente la «caccia alle streghe», quali furono le sue cause e conseguenze e chi ne trasse vantaggio.

Quanto durò la caccia alle streghe e chi ne beneficiò?

Nel Medioevo non era difficile imporre un’idea. L’ignoranza del popolo era alta e per i potenti era facile instillare in loro il terrore. La Chiesa, l’impero più influente di sempre, spinse il fenomeno al punto tale che persino una grandinata o un cattivo raccolto portava alla cerca serrata di un responsabile – che tre volte su quattro erano di sesso femminile.

In realtà la situazione è peggio di quanto si immagini. Se il papato usava l’Inquisizione come mezzo per mantenere il controllo (vedi più sotto), c’è da dire che vari esponenti ecclesiastici credevano davvero che il demonio prendesse posto tra i mortali; e ricordiamo che gli ecclesiastici avevano uno solida base culturale. Per cui, da strumento di controllo della Chiesa, la caccia alle streghe si trasformò presto in un fenomeno incontrollato.

Quello che lascia più sconcertati, però, è che il fenomeno andò ben oltre il Medioevo e si concluse soltanto in pieno Illumismo, dopo che la ragione si era affermata da tempo. Al contrario, i maggiori roghi si verificarono nel ‘500 e nel ‘600.

Come funzionava l’Inquisizione?

In via non ufficiale, l’Inquisizione era stata ideata dal Concilio di Verona già nel 1184, anche se come abbiamo visto prese piede dopo il 1200. Il suo scopo era di ricondurre sulla retta via i cristiani accusati di eresia.

Ed ecco il controsenso: l’obiettivo non era condannare, ma redimire a ogni costo. Per farlo era ammessa la tortura, resa legale da papa Innocenzo IV nel 1252, che continuava incessantemente fino a quando il condannato non si pentiva.

Naturalmente, chiunque sotto tortura presto o tardi si converte, anche quando non ha la fede necessaria. La confessione – che non poteva più essere revocata – era vista come la prova della stregoneria e di condanna. Sono registrati episodi in cui all’imputato veniva legata la lingua con uno strumento per impedire che parlasse e si difendesse al processo.

Ma lo scopo della Chiesa era anche pecuniario: la bolla Ad extirpanda del 1252 stabiliva che i beni confiscati andassero per un terzo all’autorità civile, per un terzo all’ufficio dell’Inquisizione e per l’ultima parte agli inquisitori. Ed ecco spiegato il motivo di tanto zelo da parte degli inquisitori.

Ci si potrebbe chiedere perché nessuno si fosse ribellato contro tanta ingiustizia, ma dobbiamo considerare il contesto storico. Il medioevo è stato uno dei periodi con minore libertà di espressione e con il minimo livello di educazione scolastica, per cui non ci furono mai veri episodi di ribellione contro l’autorità da parte del popolo.

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Nei libri di fantapolitica si parla spesso di tecniche segrete usate dal governo per alterare i ricordi dei soldati, tipico esempio di “mistero” legato al dopoguerra e alla Guerra Fredda. Nella fantascienza, poi, troviamo ovunque dei dispositivi impiantati nella testa per cancellare i ricordi scomodi e aggiungerne di nuovi.

Ma a che punto siamo nella realtà per quanto riguarda la manipolazione dei ricordi?

Alterare i ricordi non è sempre un male. Pensate a chi ha subito dei traumi violenti, che non riesce a togliersi dalla testa se non con anni di costose terapie psicologiche, al punto da rappresentare un pericolo per se stesso e per la società. Terapie, puntualizziamo, che a volte si rivelano infruttuose o portano a delle ricadute. Entrare nella psicologia dell’uomo è complicato, perché è personale e il problema va trattato in modo diverso a seconda del soggetto.

Ma se esistesse un modo sicuro e definitivo per cancellare un ricordo orribile, per esempio distruggendo le connessioni nei neuroni che recuperano le informazioni? Alcuni lo troverebbero un metodo immorale, altri invasivo e pericoloso (pensate se finasse in mano a dei criminali), altri ancora farebbero la fila per sottoporsi al trattamento.

Per scrivere l’articolo sono partito da un ottimo riassunto di aprile 2017 realizzato da Valentina Daelli (trovate il link a fondo pagina), dottoranda in neuroscienze cognitive, e ho poi allargato gli orizzonti con delle ricerche personali. I risultati sono stupefacenti.

La mente non è un computer e come agisce è ancora un mistero

Lo sappiamo bene, il nostro cervello è ancora un enigma. Persino un’attività ricorrente come il sogno è in buona parte un mistero incomprensibile, anche se si stanno facendo dei passi avanti sulla ricerca. [se siete interessati, qua trovate un articolo su come controllare i propri sogni].

Abbiamo un’idea abbastanza chiara dei meccanismi chimici che si attivano durante il pensiero e, grazie alle scansioni cerebrali, delle aree coinvolte nello svolgere specifiche azioni. Ma ancora non sappiamo di preciso come funzioni realmente il trasporto delle informazioni, dove i ricordi sono immagazzinati e perché alcuni li dimentichiamo per riportarli alla memoria solo quando ci fa comodo.

Ci hanno provato in molti a sbrogliare il mistero: medici, scienziati, psicologi, teofisici, complottisti, scrittori di fantascienza. Con lo studio sulla fisica quantistica, c’è chi ha ipotizzato che le connessioni tra i neuroni fondino le radici su meccanismi quantistici, motivo per cui per adesso ne sappiamo ben poco (visto che si tratta di una branca giovane della fisica). Alcune idee sono davvero interessanti ma restano, per l’appunto, idee.

Tra le altre cose, sono nati dispositivi che promettono di migliorare la memoria usando una stimolazione magnetica e che possiamo comprare nei negozi: se volete dettagli, vi basta cercare «tDCS» su un motore di ricerca. Prima di dedicarvi allo shopping, però, tenete presente che non è chiara la validità del tDCS e ancora non sappiamo se può avere effetti collaterali nel lungo termine.

Dal lato medico, le tecniche di ipnosi e i trattamenti psicologici in apparenza sembrano poter aiutare il recupero di alcuni ricordi repressi. Tuttavia non esistono controprove, cioè non possiamo sapere con certezza se il ricordo recuperato sia falso o autentico senza ombra di dubbio.

Se c’è una cosa che sappiamo, è che la mente è brava a inventare falsi ricordi e a spacciarli per veri persino agli occhi del proprietario. Diversi esperimenti hanno dimostrato come bastino degli odori per piazzare degli elementi fasulli nella nostra memoria; il cervello poi li elabora, li imprime e ci dà la sicurezza che siano davvero esistiti.

Se capissimo realmente come funziona, potremmo entrare nel cervello, modificarlo e copiare i dati su un supporto fisico, per esempio un hard disk, in modo da recuperare i ricordi a piacere. Magari installarli su un robot per permetterci di vivere oltre i nostri anni, di “risorgere” in un nuovo corpo. Ma non possiamo ancora farlo.

Qualcosa però sta bollendo in pentola e già da diversi anni.

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Ballano i bambini appena imparano a camminare. Danzano i giovani nelle discoteche. Volteggiano i professionisti sul palco, attirando l’attenzione di migliaia di spettatori. Abbiamo la musica nel sangue sin dalla nascita e ci facciamo trascinare dal ritmo imposto dagli altri, spesso anche quando la canzone non ci dice molto oppure ha una cadenza poco ballabile.

Non importa quale sia la nostra cultura, la nostra razza o il nostro sesso: la musica ha un’attrazione che fa ribollire il sangue, in alcuni più degli altri, e prima o poi perfino il più introverso sente il desiderio di muoversi – anche se magari rifiuta di farlo per una questione di immagine o di carattere.

Ma perché l’essere umano è così attratto dalla danza?

Un bisogno universale promosso dall’evoluzione

Il bisogno di ballare esiste da sempre ed è radicato nei geni dell’essere umano. Si sono ritrovate pitture a Magura (Bulgaria) risalenti all’Età del Bronzo che ritraevano una danza della fertilità. Di generazione in generazione, questi geni si sono tramandati fino a noi, al punto che persino un bambino con due giorni di vita impara a riconoscere il senso del ritmo. Lo ha dimostrato una ricerca nel 2009, che ha evidenziato come la perdita di un ritmo sentito provochi una risposta nell’attività cerebrale dei neonati.

Se l’evoluzione ha spinto tanto sulla danza, c’è da chiedersi perché sia tanto importante per mantenere viva la nostra civiltà. Lo scopo è senz’altro di natura sociale, ma entrando nello specifico notiamo che non serve soltanto ad avvicinare le persone e a riunirle in un «branco» di soggetti con gli stessi interessi.

La danza infatti ha uno sfondo sia ludico che mistico: è usata nelle cerimonie religiose e nei riti, durante le feste e persino come terapia personale. Non si esclude che agli inizi possa essere stata una forma di linguaggio interno alle tribù.

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Premessa: questo articolo potrebbe urtare la sensibilità di alcuni, visto che tratta argomenti di omicidi e di disturbi mentali. Se siete impressionabili, consiglio di evitare la lettura.

Erzsébet (o Elisabeth) Báthory nacque nel 1560 in Ungheria da una nobile famiglia e fu cresciuta in Transilvania, l’odierna Romania. Il padre era un aristocratico e la madre nientemeno che la sorella del re di Polonia. Tra l’altro, la famiglia vantava un albero genealogico di tutto rispetto, che contava degli eroi di guerra.

Da una famiglia di questo stampo ci si aspetterebbe un futuro radioso, tra gli agi e una schiera di servitori pronti a soddisfare ogni pretesa eccentrica, ma come spesso succedeva, e succede tutt’ora, il rischio che la fortuna finisse da un momento all’altro era sempre presente. E infatti, a metà del ‘500 la famiglia Bathory non se la passava molto bene. Gli indizi si notavano chiaramente dagli individui che entravano a far parte della casata: alcolizzati, assassini, stupratori, satanisti e omosessuali (a quel tempo considerati dei depravati da condannare).

In questa atmosfera, forse non stupisce più di tanto che una bambina di 6 anni abbia potuto assistere a una tra le esecuzioni più atroci del periodo: uno zingaro fu arrestato per aver venduto alcuni figli ai turchi e fu condannato a essere cucito vivo nella pancia svuotata di un cavallo.

L’evento fu di sicuro un trauma, ma non è sufficiente per spiegare il carattere spietato che nel corso degli anni segnò la vita di Elisabeth. Più probabilmente, la bambina cominciava già a manifestare delle turbe mentali ereditarie, dovute alle unioni tra consanguigni (per esempio il padre sposò una cugina). Nella linea ereditaria infatti non mancavano problemi di schizofrenia, epilessia e disturbi mentali.

Una terribile adolescente

L’aspetto di Elisabeth ci arriva da alcuni dipinti e sembra esaltato da un’espressione che – possiamo immaginare – fosse piuttosto fredda e cinica. Quando la piccola Bathory crebbe, fu introdotta al piacere della tortura e ai riti satanici.

All’età di 13 anni il suo animo perverso venne alla risalta: ordinò che a una cinquantina di ribelli fossero tagliati orecchie e naso. Il motivo? Dimostrare che poteva essere spietata nonostante la giovane età.

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Introduzione

Tra le quattro forze fondamentali, quella di gravità è senz’altro la più sfuggente, nonostante siamo abituati ad avvertirla di continuo. Nei secoli siamo riusciti a definire delle formule matematiche per descrivere il suo funzionamento, eppure buona parte delle proprietà non ci sono ancora del tutto chiare.

La legge di gravitazione universale di Newton

Partiamo dalle informazioni che conosciamo. Quando si parla di gravità, la prima cosa che dovrebbe saltare alla testa è la «legge di gravitazione universale» elaborata da Isaac Newton. Vediamo un attimo la formula e quindi la spiegazione a parole:

F = G * M * m / r^2

dove:
M e m sono le due masse (i due corpi) espresse in kg
r è la distanza in metri tra i centri delle due masse
G è la costante di gravitazione universale, che vale circa 6,674*10^11 N m2/kg2

La formula ci spiega due proprietà fondamentali:
– due corpi si attirano con una forza che dipende dalle loro masse; corpi più massicci esercitano un’attrazione maggiore [ovvero: due corpi si attirano in modo direttamente proporzionale alle loro masse]. Per la precisione, ogni punto materiale di un corpo esercita un’attrazione gravitazionale.
– l’attrazione si riduce di molto con l’aumentare della distanza tra le due masse [ovvero: due corpi si attirano in modo inversamente proporzionale alla loro distanza elevata al quadrato].

Quanto è “forte” la gravità?

La gravità diventa apprezzabile solo se almeno uno dei due corpi è molto massiccio. Tra gli oggetti celesti – pianeti, sistemi stellari, galassie – è bene visibile e tiene in piedi le orbite che conosciamo. La Luna ruota attorno alla Terra perché è attratta dalla sua forza gravitazionale e, allo stesso tempo, la Luna attrae la Terra verso di sé (causando gli effetti delle maree).

Al contrario, se consideriamo due persone vicine tra loro non notiamo nessuna forza ad attirarli: l’attrazione esiste, ma è così scarsa da non essere percepita.

La proprietà appena descritta l’avvertiamo ogni giorno, anche se non ci facciamo più caso: è proprio per questo che noi esseri umani (massa piccola) siamo ancorati alla Terra (massa grande). Nello specifico, il corpo umano è attratto verso il centro della Terra con un’accelerazione che a livello del mare è di circa 9,80 m/s2 (un valore abbreviato con «g»).

Scendendo ancora nel più piccolo, anche le particelle come gli atomi esercitano gravità tra loro. Tuttavia le masse sono davvero infime e la forza di gravità viene messa da parte, sovrastata da un’altra forza predominante: quella elettromagnetica. La forza elettromagnetica è molto più forte della forza gravitazionale.

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Nel 1997 il capitano Charles Moore di Long Beach, California, salpò con il suo catamarano e raggiunse il Pacifico occidentale. Il tratto di oceano in cui navigò era compreso tra le Hawaii e la California, aveva le dimensioni del Texas (qualcosa come 700 mila chilometri quadrati) ed era chiamato ufficialmente «Vortice subtropicale del Nordpacifico», perché qua si trovava un vortice ad alta pressione che attirava il vento e non lo rilasciava più.

Oggi quella zona è diventata tristemente famosa. Gli oceanografi le hanno attribuito un altro nome: «Grande chiazza di immondizia del Pacifico». Il nomignolo spiega molto bene cosa succede: proprio per il vortice equatoriale, è qua che finisce buona parte dei rifiuti che l’essere umano getta negli oceani. Una gigantesca discarica che lasciò Moore esterrefatto e continua a dar da pensare ai futuristi, ambientalisti o meno che siano. Al suo interno si trovano tappi di bottiglia, reti da pesca, lenze, polistirolo, lattine, pellicole per alimenti e un’infinità di sacchetti di plastica.

La plastica dalle flotte e dalle coste

Per il capitano Moore fu l’inizio di una questione personale. Fondò l’attuale Algalita Marine Research Foundation e cominciò a studiare la Grande chiazza, composta per il 90% di plastica. Tra le varie cose scoprì che le imbarcazioni mondiali scaricavano ogni anno in acqua ben 5 milioni di chili di plastica, sbarazzandosi senza troppi problemi di 639 mila contenitori ogni giorno; e questo valore risale al 1975.

Se pensate che la quantità di plastica scaricata dalle navi sia un numero spaventoso, avete ragione; ma non è niente rispetto alla plastica che proveniva dalle coste. Moore si accorse che l’80% dei rifiuti galleggianti nell’oceano arrivavano proprio dalle coste. Finivano nelle acqua attraverso le fogne o i fiumi, trascinati dal vento e trasportati dalle correnti fino alla zona della Grande chiazza, da dove poi non uscivano più.

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Immaginate che una specie di extraterrestri arrivi in visita sulla Terra e si metta a studiare da lontano le forme di vita che abitano il pianeta. Vedrebbe costruzioni artificiali imponenti, i segni del progresso tecnologico un po’ ovunque (compreso nel clima) e più di 7 miliardi di creature intelligenti vestite con abiti sgargianti che hanno conquistato buona parte del mondo.

Il suo pensiero sarebbe senz’altro che la Terra sia dominata dagli esseri umani, giusto? Probabilmente no. O almeno non la penserebbe in questo modo se avesse la capacità di analizzare anche i piccoli animaletti del micromondo.

I tardigradi appartengono al regno Animalia, lo stesso a cui apparteniamo noi, ma le loro dimensioni non superano i 1,5 millimetri e spesso stanno sotto il decimo di millimetro: così minuscoli da essere invisibili al nostro occhio. Nel mondo ne esistono miliardi, nell’ordine di almeno un miliardo per ogni essere umano esistente. E si annidano praticamente ovunque, perché la loro particolarità principale – la caratteristica che li rende più “in gamba” di noi agli occhi degli extraterrestri – è la capacità di sopravvivere in ambienti estremi.

Minuscoli ma coriacei come nessun altro

Chiamati anche «orsi d’acqua», i tardigradi assomigliano a insetti tozzi e piuttosto bizzarri, con quattro paia di zampe e una pelle che assume vari colori a seconda della specie presa in esame: grigia, gialla, verde, nera. Sono invertebrati detti «poli-estremofili», cioè in grado di sopravvivere in quasi ogni ambiente in cui si trovano, e non soltanto sulla Terra: persino lo spazio può diventare la loro casa temporanea.

Un tardigrado può vivere fino a 100 anni in condizioni di forte disidratazione (uno stato chiamato anidrobiosi), possono sopportare un arco di temperature tra -273° C e i 150° C e pressioni che vanno da quelle presenti nello spazio a 75 mila volte la pressione atmosferica.

Tutte situazioni in cui l’essere umano morirebbe in pochi minuti: tanto per farvi un’idea di cosa significano le temperature appena citate, potete leggervi l’articolo dedicato agli effetti della temperatura, tenendo presente che la temperatura più bassa raggiungibile (lo zero assoluto) è pari a -273,15° C.

E per quanto riguarda le radiazioni? I tardigradi sono capaci di sopportare una quantità di raggi X mille volte superiori a quella letale per l’essere umano. Questo significa che se li mettete nel vuoto dello spazio, sono capaci di sopravvivere per almeno 10 giorni, come ha dimostrato un esperimento del settembre 2008 effettuato da ricercatori svedesi e tedeschi.

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«Tabù» è un termine di origine polinesiana, la storpiatura della parola «tapu» che indica qualcosa di sacro, contaminato.

Il significato preciso a volte ci sfugge, perché non si tratta di un divieto imposto dagli uomini: più che altro è una proibizione magica e religiosa. Se infrangiamo una legge finiamo in galera, ma se rompiamo un tabù nessuno ci mette in manette, perché la punizione è invisibile e potrebbe arrivarci addosso quanto meno ce lo aspettiamo, inaspettata e crudele. Potremmo essere affetti da una grave malattia, oppure essere perseguitati dalla sfortuna.

Tra le varie popolazioni, ce ne sono alcune in cui i tabù formano una parte importante della vita. In genere (ma non sempre) si tratta di individui non del tutto integrati con la modernità e la globalizzazione. Un esempio tra tutti sono gli eschimesi.

L’esistenza degli eschimesi dipende profondamente dai giochi della natura e basta una bufera inaspettata, un animale particolarmente feroce o una caccia andata a male per mettere a rischio la loro vita.

La propria capacità non è sufficiente, serve fortuna e un intervento soprannaturale che lo aiuti a sopravvivere al freddo e al ghiaccio. Come sappiamo bene, quando l’uomo si rende conto dei suoi limiti si affida spesso alle divinità o agli spiriti per ottenere la protezione che manca.

La conseguenza di questo modo di pensare è un atteggiamento all’interno della società che a noi risulta un po’ incomprensibile. Quando un maschio eschimese porta a casa una foca da scuoiare, le donne allungano dell’acqua alla carcassa dell’animale perché la beva; lo scopo è di placare il suo spirito, che di sicuro non è molto soddisfatto del trattamento che dovrà ricevere. E non si deve mai mischiare la carne di pesce e di animali terrestri: vanno rigorosamente conservate e mangiate separatamente. D’altra parte, il tabù prevede che la pelle delle renne uccise possano essere conciate soltanto dopo la fine della stagione di caccia.

Un po’ più legata alla religione è la concezione dell’anima. Un eschimese possiede due anime. Dopo la morte una delle anime va nell’al di là, mentre la seconda rimane accanto alla famiglia per assicurarsi che le leggi del lutto siano rispettate.

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Gli smartphone ci hanno semplificato la vita, senza dubbio. Qualsiasi sia il calcolo da eseguire, ci basta estrarre il telefonino, far partire la sua calcolatrice e abbiamo subito la risposta.

Proprio per il fatto che è così semplice avere a disposizione uno strumento di calcolo, è normale che la nostra mente si dimentichi alcune procedure di base. Se non lavorate in settori dove sono richiesti di continuo dei calcoli da eseguire, per esempio in campo economico, la mente tenderà a dimenticare persino le operazioni più elementari.

È una cosa naturale: il cervello cerca di mettere da parte quello che non serve per concentrarsi su elementi più utili (ed ecco perché è utile tenerlo in allenamento continuo).

Ci sono però dei “trucchetti” che possiamo adottare per semplificarci i calcoli al volo, senza bisogno di estrarre la calcolatrice e senza formule complicate. Il risultato è assicurato e potrà anche farvi fare bella figura con gli amici. Ve ne propongo alcuni tra i più diffusi.

Moltiplicare per 5 oppure 25 oppure 125

Esempi: moltiplicare per 5

18*5 = (18*10)/2 = 180/2 = 90

443*5 = (443*10)/2 = 4430/2 = 2215

5096*5 = (5096*10)/2 = 50960/2 = 25480

Esempi: moltiplicare per 25

24*25 = (24*100)/4 = 2400/4 = 600

789*25 = (789*100)/4 = 78900/4 = 19725

1002*25 = (1002*100)/4 = 100200/4 = 25050

Esempi: moltiplicare per 125

36*125 = (36*1000)/8 = 36000/8 = 4500

173*125 = (173*1000)/8 = 173000/8 = 21625

8976*125 = (8976*1000)/8 = 8976000/8 = 1122000

Spiegazione

Moltiplicare per 5 significa moltiplicare per 10 e poi dividere per 2 (perché 10/2=5).
Moltiplicare per 25 significa moltiplicare per 100 e poi dividere per 4 (infatti 100/4=25).
Moltiplicare per 125 significa moltiplicare per 1000 e poi dividere per 8 (infatti 1000/8=125).

Dividere per 2 o per i suoi multipli (4, 8) è molto più semplice e veloce che moltiplicare per 5 o 25 o 125.
Teniamo poi presente che se stiamo moltiplicando per 25 o 125, possiamo ridurre ulteriormente il risultato: basta dimezzare il valore sia a destra che a sinistra. Prendiamo l’ultimo degli esempi visti sopra per capire meglio cosa intendo:
8976*125 = (8976*1000)/8 = 8976000/8
la divisione per 8 è complicata da eseguire, quindi meglio semplificarla dividendo per 2 e poi ancora per 2:
8976*125 = (8976*1000)/8 = 8976000/8 = 4488000/4 = 2244000/2 = 1122000
[notare che la divisione per 2 deve essere fatta in entrambi i membri]

Scritto con una formula generale:
N*5 = N*10/2
N*25 = N*100/4 = (N/2)*100/2
N*125 = N*1000/8 = (N/2/2)*1000/2

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