Il labirinto fa parte della storia dell’uomo da millenni e non ha mai smesso di affascinare.

La sua struttura ricorda in buona parte la mente umana, il percorso di evoluzione per raggiungere la maturazione (un obiettivo) passando attraverso delle vie sconosciute (l’inesperienza), con il rischio di perdersi inevitabilmente in se stessi senza più uscirne. Una metafora usata spesso nella psicologia e su cui sono stati scritti un’infinità di libri.

Il più famoso è senz’altro il Labirinto di Cnosso, frutto della mitologia greca, fatto costruire dal re Minosse per rinchiudere il Minotauro. Ma i labirinti sono arrivati fino a noi sotto varie forme: per citare alcune opere televisive lo troviamo nell’intramontabile Labyrinth, dove la protagonista affronta le sue paure per raggiungere il centro del labirinto, e nel più recente Harry Potter e il calice di fuoco, un evidente percorso di crescita per il piccolo mago ancora in fase di studio.

Ma esiste un sistema per uscire da un labirinto o per raggiungere il suo centro senza perdersi?

Il metodo per i labirinti più comuni

Come insegna il mito del Minotauro, il sistema più semplice per non perdersi in un labirinto è di tenere traccia del proprio percorso. Quando Teseo entrò nel Labirinto di Cnosso per uccidere il mostro, usò uno stratagemma infallibile: si fece tenere un gomitolo rosso dalla giovane Arianna e proseguì srotolando un’estremità, in modo da poter tornare sui propri passi.

Il sistema, però, funziona soltanto se avete un filo (o qualcosa di simile) abbastanza lungo da portarvi dietro e se il vostro scopo è di entrare nel dedalo per raggiungere il centro e poi ritornare. Cosa fare quando il vostro scopo è di partire dal centro per raggiungere un’uscita?

Un sistema ingegnoso ce lo fornisce un altro racconto, diventato un film cult: Il nome della rosa. Se l’ingresso è uno solo, basta muoversi tenendo sempre la stessa mano (per esempio la destra) appoggiata alla parete, senza mai staccarla. In questo modo, anche trovando un vicolo cieco, la vostra mano si muoverà verso la parete che vi blocca la via e passerà alla parete opposta a dove eravate in precedenza, permettendovi di tornare indietro fino all’ultimo incrocio, dove la vostra mano proseguirà su una nuova parete.

A un certo punto è chiaro che arriverete all’uscita, pure nel caso sfortunato in cui dovreste passare l’intero labirinto.

Tuttavia, anche in questo sistema ingegnoso ha i suoi limiti. Può funzionare alla perfezione se il labirinto è lineare, ma nel caso in cui contenga delle isole interne (quadrati o cerchi isolati, tanto per intenderci) può continuare a farci girare in tondo senza arrivare alla soluzione.

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Una tecnologia che popola spesso l’immaginario nella fantascienza è il teletrasporto. Uno strumento capace di prendere un oggetto, scomporlo e ricomporlo nel punto voluto rappresenterebbe una rivoluzione.

Immaginatevi le conseguenze se un’azienda spiegasse di essere riuscita a realizzarlo: niente auto o mezzi pubblici per spostarsi, crollo del mercato del petrolio e del carbone, abbassamento dell’inquinamento, vacanze in posti esotici per tutti. Per andare al lavoro basterebbe alzarsi dieci minuti prima, entrare in una cabina e sedersi alla scrivania. Il nostro tempo libero, l’economia e la società ne sarebbero stravolti, in positivo e in negativo.

Ma è davvero possibile il teletrasporto? È realizzabile in tempi vicini?

Mi sono posto la stessa domanda e la risposta breve a cui sono arrivato è questa: con le conoscenze e i mezzi che abbiamo a disposizione, creare una macchina per teletrasportare una persona è impossibile. Anzi, la sensazione è che non sarà possibile farlo per diversi secoli e forse mai, a meno di scoprire qualche nuova legge fisica.

La delusione è normale, quindi vediamo di capire se la conclusione è effettivamente così brutale o se esiste qualche scappatoia. Ho deciso di scendere nei dettagli, per cui l’articolo sarà un po’ lungo, ma è l’unico modo per spiegare bene alcuni concetti. Se non avete la pazienza di leggere tutto, potete limitarvi a guardare i titoli.

Teletrasporto quantistico e teletrasporto umano

Ho fatto ricerche da varie fonti sull’argomento, scoprendo per esempio che nel 2016 si è riusciti effettivamente a teletrasportare un fotone (la particella che compone la luce). Leggete l’articolo per dettagli, ma riassumendo si specifica di essere riusciti a trasferire l’informazione di un fotone dalla Cina al Canada in modo istantaneo. In pratica, si è teletrasportata l’informazione di un fotone.

La notizia è sensazionale, perché apre strade utili su vari settori, ed è stata confermata con due esperimenti. Infatti Frédéric Grosshans dell’Université Paris-Saclay ha commentato: «Questi due esperimenti combinati dimostrano chiaramente che il teletrasporto su distanze metropolitane e tecnologicamente possibile, e senza dubbio molti esperimenti d’informazione quantistica in futuro potranno basarsi su questi lavori».

È tempo di esultare, quindi, il teletrasporto è vicino? È tempo di organizzarci e di pensare a quale luogo dei Caraibi visitare il venerdì sera?

Ovviamente, no, altrimenti sui giornali sarebbero già usciti titoli a caratteri cubitali. L’esperimento visto sopra coinvolge un fenomeno della fisica quantistica chiamato «entanglement». Non si tratta di un teletrasporto vero e proprio, ma di scambio di informazioni tra due particelle: in pratica cambiando le informazioni del fotone in Cina istantaneamente si sono modifiche le stesse informazioni di un fotone in Canada che era legato al primo (appunto, in entanglement con il primo). E anche se si trattasse di vero teletrasporto, l’entanglement si verifica soltanto a livello di particelle più piccole dell’atomo, per cui non potrebbe essere usato per teletrasportare un oggetto, né tantomeno una persona.

Sull’entanglement non vado oltre, ma se siete interessati trovate informazioni dettagli in un altro articolo: Cos’è la fisica quantistica (in parole semplici).

Niente di fatto, dunque. Altre ricerche sull’argomento sono state per lo più infruttuose, anche se interessanti, perché erano legate a teorie ancora da dimostrare. Per esempio si accennava al fatto che se esistessero universi paralleli, sarebbe possibile muoversi nello spazio-tempo passando da uno all’altro. Non proprio quello che cercavo.

Alla fine, mi è capitato tra le mani il libro “La fisica di Star Trek” che avevo messo da parte da tempo, un ottimo manuale per chi è appassionato di fisica e di fantascienza (ancora di più, immagino, per chi ha seguito la saga di Star Trek, che non ho ancora avuto il piacere di guardare). L’autore ha preso le varie tecnologie della saga e ha cercato di dimostrare quanto sono realistiche. All’interno ho trovato le informazioni chiare che cercavo sul teletrasporto.

I tipi di teletrasporto possibili

Esistono due tipi di teletrasporto possibili:
1. Si copiano le informazioni del soggetto e, usando queste, a destinazione si usa materia “grezza” per fare una copia dell’originale.
2. Si trasferisce effettivamente il soggetto, cioè sia le informazioni che la materia.

Il primo caso è quello con meno problematiche. L’ostacolo principale è distruggere il corpo del soggetto iniziale: infatti mantenere l’originale e la copia causerebbe una serie di difficoltà etiche che non è il caso di approfondire. L’originale va distrutto.

Il secondo caso non crea problemi etici, perché il corpo originale non viene distrutto: viene disgregato e poi ricomposto a destinazione.

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Il metodo CRISPR («Clustered Regularly Interspaced Short PalindromicRepeats») è una tecnica innovativa che consiste nel prendere un segmento di DNA e di correggerlo, cioè di sostituirlo con un codice migliorato o di eliminare le parti volute. La tecnica è nata nel 2012, era già stata testata su batteri e alcuni mammiferi, e nel 2016 è stato dato il via alla sperimentazione sull’essere umano. Di recente la Cina ha usato il metodo per trattare un malato di cancro, battendo sul tempo gli americani.

Come funziona di preciso il metodo CRISPR? Il DNA possiede quelle che vengono chiamate «brevi sequenze ripetute», ovvero una sequenza che si ripete e che non viene trascritta in RNA (o comunque viene eliminata prima che l’RNA messaggero le trasformi in proteine): apparentemente quindi non hanno una funzione precisa, anche se ci sono delle critiche a riguardo. In ogni caso, queste sequenze sono separate tra loro da brevi frammenti «distanziatori». Il metodo CRISPR sfrutta i distanziatori per riconoscere la parte da sostituire: dopodiché taglia, elimina o modifica la sequenza di geni voluti.

Stiamo parlando di ingegneria genetica avanzata. Non solo usa strumenti relativamente economici, ma è anche una tecnica molto precisa, che permette di tagliare il genoma dell’essere umano in un qualsiasi punto (quasi) senza errori. Anzi Emmanuelle Charpentier, una delle inventrici del metodo, spiega che anche uno studente universitario potrebbe farlo: mentre prima erano necessari migliaia di tentativi, adesso sono sufficienti 4-5 prove per colpire il gene da modificare.

Il potenziale del metodo CRISPR è enorme e i vantaggi medici sono numerosi. Tanto per fare un breve elenco, se un giorno inizierà a diffondersi:
– può essere usato per correggere malattie genetiche
– può curare il corpo dall’HIV e dal cancro (due tra le malattie più gravi del nostro secolo).
– può sistemare i difetti nelle cellule staminali
– la sua semplicità permette di ridurre i tempi di attesa nelle operazioni, perché si può agire su più geni contemporaneamente.
– permette di modificare i maiali in modo che i loro organi non siano rigettati dal nostro corpo.
– permette di studiare le malattie umane sugli animali e capire come guarirle. Il ricercatore Danilo Maddalo, per esempio, sta studiando le alterazioni dei cromosomi nelle leucemie che sono state indotte sugli animali.

Riporto un esempio descritto sul sito di Le Scienze, che spiega il procedimento per agire contro il cancro:

Usando CRISPR i ricercatori apporteranno tre modifiche al genoma dei linfociti. La prima consiste nell’inserimento di un gene che codifica per una proteina che permette al linfocita di riconoscere più facilmente le cellule tumorali, la seconda consiste nella rimozione o nel silenziamento del gene per proteina (normalmente presente nelle cellule T) che potrebbe interferire con questo processo, mentre la terza bloccherà la produzione di una proteina che permette alle cellule tumorali di riconoscere li linfociti T e disattivarli. I ricercatori torneranno a infondere le cellule modificate nei pazienti donatori.

La Cina ha usato il metodo su 10 pazienti, che riceveranno fino a quattro iniezioni di cellule ogm per sei mesi. Saranno naturalmente tenuti sotto controllo per monitorare eventuali effetti collaterali. A breve quindi sapremo se effettivamente darà il successo sperato.

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Balene emergono dal pavimento della palestra, sistemi solari possono essere tenuti sul palmo della tua mano, e puoi condividere il tuo mondo in un modo completamente nuovo.
[…] Siamo capaci di generare immagini indistinguibili dagli oggetti reali e di piazzarle in mezzo al mondo reale.

È con queste parole che l’azienda Magic Leap sta presentando una delle tecnologie che promettono di rivoluzionare il nostro futuro: una realtà virtuale indistinguibile dal mondo reale e perfettamente integrata con questo.
La tecnologia della realtà virtuale attraverso l’uso di occhiali è già stata sviluppata ed è in continuo progredire. Per adesso, però, la risoluzione degli oggetti animati è piuttosto bassa e si nota immediatamente la differenza tra illusione e realtà.

La realtà aumentata di Magic Leap, invece, è estremamente reale. Fa uso di una tecnologia da loro chiamata Dynamic Digitised Lightfield Signal, la cui struttura è tenuta gelosamente segreta. Quello che sappiamo è che l’immagine viene proiettata direttamente sulla retina. Inoltre, sembra che non saranno usati gli occhiali come filtro di passaggio, ma una comoda lente chiamata «Photonics Chip» che il CEO Rony Abovitz ha così definito:

Usa un wafer a 3 dimensioni come componente interno che ha strutture molto piccole. Queste strutture manipolano il flusso di fotoni (nda: particelle della luce) e generano un’immagine luminosa.

Occhiali o lenti che siano, il risultato è che lo strumento sarà in grado di ingannare il nostro cervello, spingendolo a credere che le immagini ottenute siano reali. Dopotutto, per il nostro occhio si tratta di veri segnali di luce che attraversano la retina.

L’impatto sul nostro futuro

Magic Leap è stata sostenuta da aziende del calibro di Google e Qualcomm e ha raggiunto un budget di 1 miliardo di dollari attraverso il crowdfunding (un sistema per raccogliere donazioni dal pubblico in cambio di futuri regali). Nonostante la scarsezza di dettagli rivelati al pubblico – probabilmente per evitare la trafugazione della loro proprietà intellettuale e di essere così anticipati sul tempo -, la fiducia data dai colossi citati è un motivo di speranza: la tecnologia potrebbe essere veramente realizzata. Quando, non lo sappiamo ancora.

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La mente è quello che siamo, è la nostra personalità e il nostro senso del reale. Tutto lo scibile che conosciamo e l’intelligenza di cui andiamo tanto fieri nasce da un piccolo organo che pesa circa 1,5 kg e ha un volume che non supera i 1300 cm cubi: il cervello.

Senza il cervello non ci sarebbe la mente e senza la mente noi non avremmo concezione della realtà. Semplicemente, noi non saremo.

Ecco quindi che è essenziale spendere del tempo ogni giorno per mantenere la nostra mente attiva, in salute e in continuo cambiamento: perché la routine uccide i nostri neuroni, letteralmente. La neurobica è un termine coniato proprio per identificare

la ginnastica della mente finalizzata a mantenere agile l’attività cerebrale e a preservare le capacità mnemoniche anche in età avanzata.

Nel corso degli anni ho stilato una serie di appunti sul tema della neurobica, raccolti da varie fonti, che vi presento qui sotto suddivisi in categorie. A mano a mano che acquisirò nuovi dati utili farò in modo di integrare dove opportuno.

Tenete presente che i meccanismi della mente sono ancora poco conosciuti. I dati sotto proposti si basano su analisi sul campo, ma potrebbero essere soggetti a modifiche nel tempo. In particolare, la parte riguardante il ruolo dell’alimentazione è in continuo cambiamento.

Sport e movimento

L’attività fisica dà ossigeno alle circonvoluzioni cerebrali e promuove la crescita di nuovi neuroni. Chi fa sport è più bravo nelle prove mnemoniche: infatti porta a generare nuove cellule nell’ippocampo. Nell’ippocampo si elaborano le nuove conoscenze e le si trasmettono in modo permanente alla corteccia frontale: quindi lo sport non influisce direttamente sull’intelligenza pura, ma permette di immagazzinare più informazioni (e quindi a ottenere maggiori dati di conoscenza).

Tra le attività fisiche il nuoto è il più completo. Buono anche lo jogging (già a partire da una decina di minuti al giorno). Utile, in generale, è l’esercizio aerobico che, aumentando le dimensioni dell’ippocampo, favorisce un miglioramento della memoria.

Anche camminare mezz’ora al giorno per 5 volte a settimana stimola la Bdnf (brain-derived neurotrophic factor, «fattore neurotrofico cerebrale»), una molecola che spinge la creazione di neuroni e sinapsi, e quindi dell’apprendimento e dell’intelligenza.

Sonno

Abbiamo già visto gli effetti terribili causati dall’insonnia, una vera e propria piaga sociale in continuo aumento.

Le dormite dovrebbero essere sane e regolari. È durante il sonno che il nostro cervello processa i nuovi concetti memorizzati e sedimenta in maniera duratura quelli più importanti.

Il professore di psicologia Matthew Walker dell’università della California Berkeley ha visto che gli studenti che dormivano per 90 minuti dopo le ore 14, riuscivano a memorizzare più nomi di chi non aveva dormito: quindi dormire aiuta la memoria.

Cambiamento e brain training

Come già detto, la routine è nemica del cervello. È indispensabile variare le abitudini consolidate, introdurre stimoli nuovi, cimentarsi in campi molto lontani dai propri (perché l’iperspecializzazione atrofizza la mente). Basta poco: per esempio potete cambiare ogni giorno il percorso per andare al lavoro, oppure potete lavarvi i denti con la sinistra invece che con la destra.

Un metodo efficace per costringere la mente al cambiamento è il brain training (letteralmente «allenamento del cervello»), ovvero dedicarsi a giochi ed esercizi che migliorano
– l’attenzione
– la memoria visiva e verbale
– la velocità di reazione
– il ragionamento logico
– il calcolo.

Di fatto, quando intraprendiamo un’attività nuova miglioriamo la flessibilità cerebrale. Per esempio, fare come i giocolieri (lanciare le palle in aria), a prescindere dall’abilità raggiunta, induce una formazione di nuove connessioni nella corteccia occipito-temporale già a partire dalla prima settimana di esercizio.

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L’infografica che potete vedere di seguito è stata creata da Randall Patrick Munroe, un programmatore, fumettista e scrittore americano che è solito raccontare alcune situazioni moderne attraverso delle simpatiche vignette.

L’ironia e il divertimento sono ben visibili nella lunga vignetta (cliccate sopra all’immagine per aprirla in una nuova pagina a lunghezza intera), senza però tralasciare il rigore scientifico dei dati.

Cosa possiamo ricavare dall’infografica? Innanzitutto, lo sviluppo della civiltà umana è stato senz’altro favorito da temperature più miti, calcolate attorno alla media che si è avuta tra il 1960 e il 1990. Dal momento in cui questa temperatura è stata raggiunta circa 11-12 mila anni fa, si è assestata per l’intero corso della storia umana, oscillando entro il grado in più o in meno.

Ma da quando sono cominciate le emissioni di anidride carbonica, la temperatura ha iniziato a salire rapidamente; con buona pace di chi continua a negare l’aumento dovuto all’attività dell’essere umano. Ad oggi, nel 2016, sfioriamo il limite del grado sopra la media (che finora non è mai stato superato) e le ipotesi più ottimistiche parlano dell’aumento di un ulteriore grado. Non parliamo delle più pessimistiche, perché se raggiunte provocheranno inevitabilmente un disastro irreparabile.

Sugli effetti derivati dall’aumento di temperatura da 1 a 6 gradi avevamo già parlato in un altro articolo. Vi invito a darci un’occhiata: tanto per capire a cosa stiamo andando incontro…

[clicca sull’immagine o su questo link per aprire l’infografica per esteso su un’altra pagina]

Fonti principali
L'infografica originale «A timeline of earth's average temperature» (inglese)
L'infografica tradotta in italiano: «Cronologia della temperatura media della Terra»

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Periodi di riferimento: 3 agosto 2016

Indirizzo: Cascate di Acquafraggia, 23020, Piuro, SO – Italia

Come arrivare: le cascate si trovano nei pressi del paese di Borgonuovo. Se provenite dalla parte est del Lago di Lecco, proseguite lungo la SS36 verso nord (in direzione Chiavenna), che tra l’altro vi permette di ammirare il lago in lontananza. Arrivati a Chiavenna, troverete le indicazioni ben segnalate per raggiungere le cascate.



vedi dove si trovano le Cascate dell’Acquafraggia

Descrizione generale

Le cascate dell’Acquafraggia sono uno dei tanti spettacoli che la natura ci sbatte sul naso: imponenti, immerse nel verde, con un torrente accessibile e un sentiero (abbastanza) facile che permette di raggiungere il loro apice. E le abbiamo a disposizione nella nostra penisola, in quel nord Italia dove troneggiano le maestose Alpi.

Se abitate lontani, organizzatevi comunque una gita. Lo spiazzo verde nei pressi delle cascate è largo e offre rifugio a numerosi turisti, per cui se non siete tipi da scalate montane potrete lo stesso sdraiarvi sull’erba ammirando lo scroscio d’acqua e spostarvi di tanto in tanto verso il torrente per bagnarvi i piedi o farvi un bagno.

L’area turistica: torrente e prato

«Acquafraggia» (o Acqua Fraggia) è il nome del torrente che va a formare le cascate. Nasce sulla Cima di Lago, al confine con la Svizzera, a ben 3050 metri di altitudine. Di origine glaciale, il suo nome latino «Aqua Fracta» identifica molto bene il suo percorso: rapido, pieno di salti, che termina per l’appunto nelle due cascate gemelle che stiamo descrivendo in questo articolo.

Vista la sua bellezza, si tratta naturalmente di un’area protetta dalla Lombardia, a partire dal 1984. Anche Leonardo da Vinci in visita nel 1495 ne era rimasto affascinato e nei suoi scritti le indicava come

[…] chadute di acqua di 400 braccia, le quale fanno belvedere

Già dal parcheggio le cascate si mettono in mostra, ma è soltanto quando si arriva al rigagnolo creato a valle che iniziano a mostrare veramente il loro splendore.

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Immaginare 4 dimensioni spaziali

Quando abbiamo parlato della teoria delle stringhe, seguendo il ragionamento siamo arrivati a intuire che lo spazio attorno a noi non può essere fatto soltanto dalle tre dimensioni che conosciamo – larghezza, lunghezza, altezza – ma ne devono esistere almeno 10. In caso contrario, la teoria delle stringhe non funzionerebbe.

Se siete interessati, vi invito a rivedere il video di Brian Greene presente nell’altro articolo, che vi spiega in modo chiaro e pulito la teoria delle stringhe.

Immaginarsi le altre 7 dimensioni spaziali che ci circondano è estremamente difficile, per il semplice fatto che non ne abbiamo percezione. Vediamo un attimo di capire perché è difficile (anzi, impossibile) per noi umani immaginare un qualsiasi oggetto in quattro dimensioni. Prendiamo come esempio una figura geometrica per eccellenza: il quadrato.

Immaginiamo di avere tante tavole di legno quadrate, della stessa misura. Se vi dicessi di creare un cubo a partire da queste, non avreste problema a farlo, perché vi basterebbe impilare tanti quadrati uno sopra all’altro fino a quando non si forma il cubo voluto. In questo caso, avete «traslato» il quadrato verso una direzione a lui perpendicolare, cioè siete passati dalla seconda dimensione (il quadrato ha solo altezza e larghezza) alla terza dimensione (aggiungendo l’altezza).

Ma se adesso vi dicessi di fare la stessa cosa con il cubo e di creare un cubo in 4 dimensioni (quello che viene chiamato «Tesseratto»), come risolvereste il problema?

Per farlo dovreste prendere un cubo e traslarlo in una direzione perpendicolare a se stesso, come abbiamo fatto con il quadrato; ma farlo è impossibile, perché non abbiamo una «quarta dimensione» verso cui traslare il cubo.

Dal punto di vista visuale, materiale, un Tesseratto non può essere costruito. Dal punto di vista matematico, invece, possiamo descrivere un cubo in infinite dimensioni ed è un oggetto geometrico a cui è stato dato un nome preciso: ipercubo.

Questo esempio ci è utile per introdurre l’argomento. Di seguito, infatti, proveremo a immaginare quale sarebbe il nostro punto di vista se fossimo creature abitanti in un universo con 1, 2, 3 e 4 dimensioni (e oltre). Teniamo sempre a mente la storia dell’ipercubo: noi abitanti della terza dimensione non possiamo vedere né immaginare correttamente un cubo costruito in quattro dimensioni.

L’articolo è un po’ lungo, perché cercherò di entrare il più possibile nei dettagli nel tentativo di immaginare i vari universi. Se lo trovate troppo lungo, spezzatelo in due letture; prendetelo come un esercizio di pensiero laterale.

Un viaggio attraverso le prime tre dimensioni

Nel trattare l’argomento ci verrà in aiuto Flatlandia, un famoso e particolare racconto scritto da Edwin A. Abbott che vi invito a leggere. Nel racconto, Abbott immagina un mondo fatto di due dimensioni, abitato da figure geometriche (ovviamente piane, perché esistono solo l’altezza e la larghezza). Il protagonista è un quadrato che si ritrova a viaggiare prima nell’universo a 1 dimensione e poi in quello a 3 dimensioni.

L’uso di figure geometriche nel racconto non è fatto per questione di “infantilismo”, ma perché è il modo più semplice per capire il concetto. Partendo dalle figure geometriche, comunque, possiamo arrivare anche a oggetti più complessi: noi umani, per esempio, possiamo immaginarci come un insieme di figure geometriche irregolari.

Per renderci conto della situazione, simuleremo di essere un quadrato che viaggia attraverso le dimensioni spaziali.

Prima di proseguire facciamo un breve ripasso di geometria, in modo da marcare alcuni concetti:
– L’elemento più piccolo in geometria è il punto, che possiamo definire rozzamente come «il più piccolo segno lasciato dalla punta di una matita». Intuitivamente, è un oggetto che non ha dimensioni fisiche [Dimensione 0].
– Se accostiamo almeno due punti, però, otteniamo una linea retta, cioè un elemento dotato di una sola dimensione [Dimensione 1, dove abbiamo solo la lunghezza].
– Concatenando vari punti vicini o varie linee, creiamo le figure geometriche piane: quadrati, pentagoni, cerchi [Dimensione 2: lunghezza e larghezza].
– Infine, traslando le figure di due dimensioni creeremo le figure tridimensionali: cubi, piramidi, sfere [Dimensione 3: lunghezza, larghezza e altezza].

Flatlandia: il mondo a 2 dimensioni [lunghezza e larghezza]

Partiamo dall’universo a 2 dimensioni, che è il più intuitivo da capire. Flatlandia è proprio il nome che Abbott attribuisce al mondo in cui esistono soltanto due dimensioni. In Flatlandia tutto è “piatto”, non ha un’altezza, per cui le regole sono molto diverse rispetto alle nostre.

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SOMMARIO

Panoramica sul Buddhismo: filosofia, descrizione e i pilastri su cui si fonda
Il Buddhismo – La pratica e le considerazioni sulle Quattro Nobili Verità
Il Buddhismo – La teoria degli aggregati e della coproduzione condizionata

Nei due articoli precedenti che riguardavano il Buddhismo abbiamo parlato delle Quattro Nobili Verità e dell’Ottuplice Sentiero, quindi abbiamo tratto qualche considerazione e abbiamo dato un’impostazione generale su quali esercizi è possibile seguire per raggiungere la finalità degli insegnamenti buddhisti (cioè la liberazione dalla sofferenza).

Adesso tratteremo i due pilastri su cui si fondano gli insegnamenti del Buddha, ovvero la teoria degli aggregati (khandha, che abbiamo già accennato in precedenza parlando degli esercizi attraverso il respiro) e la teoria della coproduzione condizionata (pratītyasamutpāda).

La teoria degli aggregati

I khandha (aggregati) sono i 5 elementi della mente su cui un praticante deve concentrare l’attenzione: forme materiali, sensazioni, percezioni, condizionamenti, coscienza.

Perché è così importante analizzare questi 5 elementi? Attraverso la loro analisi ci si rende conto che un individuo è un sistema complesso formato proprio da quei 5 tipi di aggregati e che non può esistere un aggregato senza gli altri.

1. Aggregato delle forme materiali (rupakhandha)

In questo aggregato sono inclusi i 4 elementi (terra, fuoco, aria, acqua), i 5 organi di senso, le 5 forme sensibili che sono associate agli organi di senso e la mente.

2. Aggregato delle sensazioni (vedanākhandha)

Le sensazioni nascono dal contatto degli organi di senso con le forme che li riguardano (cioè le forme visive, uditive, tattili, olfattive, gustative e mentali).

3. Aggregato delle percezioni (saññakhandha)

Le percezioni nascono dall’essere consapevole delle sensazioni. È questa consapevolezza a portare il desiderio, l’ostilità oppure l’indifferenza.

4. Aggregato dei condizionamenti (sankhārakhandha)

In questo aggregato rientrano quelle condizioni che formano uno «stato vitale». Sono numerose e tanto per citarne qualcuna troviamo le condizioni genetiche, culturali, psicologiche, ecc.

5. Aggregato della coscienza (viññānakhandha)

È l’aggregato che riunisce tutti gli altri, perché è dato dalla consapevolezza che i vari khandha sono legati tra loro. In altre parole, è la consapevolezza dell’anattā (e cioè che ogni realtà esiste perché è in stretta connessione con le altre realtà).
Pasqualotto, nel suo libro, fa un esempio di relazione tra i khandha: i contorni di una cosa sono la forma data dal senso della vista; quindi i contorni non esistono senza la vista e la vista ha senso di esistere solo perché ci sono i contorni da guardare; inoltre, anche la coscienza non avrebbe senso di esistere se non ci fossero gli altri aggregati.

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SOMMARIO

Panoramica sul Buddhismo: filosofia, descrizione e i pilastri su cui si fonda
Il Buddhismo – La pratica e le considerazioni sulle Quattro Nobili Verità
Il Buddhismo – La teoria degli aggregati e della coproduzione condizionata

Nell’articolo precedente abbiamo visto la struttura portante del pensiero buddhista, ovvero le Quattro Nobili Verità.

Dalle Quattro Nobili Verità e in particolare dall’Ottuplice Sentiero possiamo ricavare alcune considerazioni e un sistema di vivere adatto per avvicinarsi allo scopo: la liberazione dalla sofferenza, che è una caratteristica innata di ogni essere vivente.

Ricordiamo che, secondo gli insegnamenti del Buddha, la sofferenza può scomparire soltanto quando comprenderemo che gli stati che ci condizionano (samkhara) sono impermanenti (anicca), cioè non sono eterni, e sono dolorosi (dukkha); e soltanto quando comprenderemo che tutte le realtà (dhamma) sono senza sostanza (anattā), cioè non possono esistere da sole e dipendono dai fattori esterni.

La definizione può sembrare un po’ complessa, ma in realtà ci sono delle linee guida che possiamo seguire per avvicinarsi a questa comprensione, che vedremo tra poco. Il resto, naturalmente, deve partire da noi.

Tenete presente un altro elemento, durante la lettura: anche chi non arriva fino in fondo al cammino consigliato dal Buddhismo, otterrà comunque un miglioramento di se stesso (proprio perché si basa su un’analisi interiore). Inoltre capirà meglio il legame tra la disciplina mentale (prajñā) e la compassione (karunā), che rappresenta un fulcro nella morale buddhista.

Le informazioni presenti in questo articolo sono il frutto di varie ricerche, che ho cercato di riassumere; ma le dottrine buddhiste sono numerose e con idee che si discostano tra loro in alcuni punti, per cui considerate il testo come una traccia.

Non esiste un’unica verità

Una considerazione tra tutte è che non è sbagliato credere in una verità: quello che è sbagliato è pensare che la propria verità sia assoluta ed eterna. È un modo di pensare che i filosofi greci non condividerebbero, dato che a loro avviso esisteva sempre un’unica verità, raggiungibile attraverso il dialogo logico.

C’è da specificare che il pensiero buddhista è un po’ più radicato: più che a non attaccarsi a una verità in particolare, insegna a tollerare e a condividere le verità degli altri. Il Buddhismo, come abbiamo visto, non accetta regole fisse e si integra con culture e religioni diverse.

Siamo parte di un insieme che comincia dall’origine dell’Universo

Nel primo punto dell’Ottuplice Sentiero abbiamo parlato dell’anattā. Riassumendo, specifica che ogni cosa (meglio, ogni «realtà») è connessa alle altre. L’individuo singolo non esiste senza quello che lo circonda ed è continuamente influenzato dall’ambiente; anzi, è il prodotto di millenni di storia, senza la quale non sarebbe mai nato.

Ho affrontato il tema in altri articoli, però da un punto di vista più scientifico, dimostrando quanto siamo unici tra miliardi di persone e che tutto è fatto della stessa materia di base.

Riuscire a capire fino in fondo la qualità anattā delle cose è semplice, ma mantenere questa consapevolezza in ogni momento è piuttosto difficile. Uno dei sistemi per farlo è meditare facendo attenzione all’ambiente: ci si rende conto che l’aria che respiriamo è passata prima nei polmoni degli altri, che i suoni che ci influenzano sono creati dall’esterno.

Se avete visto qualche praticante buddhista in azione, vi accorgerete tra l’altro che esegue movimenti lenti anche per i lavori di tutti i giorni: è un altro sistema per porre attenzione in quello che si fa e in quello che ci circonda (un atteggiamento ben lontano dalla routine che conosciamo).

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