Che differenza c’è tra schiavitù e libertà? La risposta non è così semplice

25 Giugno 2019 | Cultura e società

Definizioni di libertà e schiavitù

L’enciclopedia online Treccani definisce libertà:

La facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo.

Metre la schiavitù:

[È la] condizione propria di chi è giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario.

A primo impatto, sembra facile distinguere i concetti di libertà e di schiavitù. Chi può fare quello che vuole e ha diritti davanti alla legge, è libero; chi è costretto a fare quello che vuole un altro, è schiavo.

Cos’è la libertà nei tempi moderni?

Già leggendo le poche righe che ho appena scritto e le definizioni del Treccani, dovrebbero esservi venuti dei dubbi. Voi vi sentite liberi o schiavi? In fin dei conti ci sono alcuni aspetti della nostra vita che eviteremmo volentieri e che siamo obbligati a rispettare.

Per esempio, a meno di essere abbastanza ricchi da permetterci di abbandonare la professione a piacere, siamo spesso costretti a scegliere dei lavori noiosi per vivere e non lo facciamo per nostra scelta o comunque preferiremmo occupare il tempo in altri modi. Pensiamo poi ai vari obblighi che ogni Stato ci impone: le tasse (alle quali quasi mai corrisponde l’equivalente servizio), le disuguaglianze sociali dovute in buona parte alle leggi sbagliate, la burocrazia che non ci fa dormire la notte… Ma da qua a considerarci “schiavi” c’è una bella differenza — anche perché «così fanno tutti».

E cosa dire del figlio minorenne che vorrebbe diventare musicista, ma si vede negare l’autorizzazione dai genitori che lo vorrebbero invece medico? Magari considerereste sbagliato questo obbligo, ma di sicuro non pensereste che il figlio sia uno schiavo. Anche perché dal punto di vista legale, i genitori sono responsabili di lui fino a quando non può mantenersi (interpretando, si può considerare il figlio come una “proprietà privata” dei genitori fino a quando non diventa autonomo, nonostante abbia i suoi diritti umani e legali).

Possiamo anche estenderlo oltre la sfera degli esseri umani, per esempio al nostro amato cane che ci fa compagnia tutti i giorni. La scelta di stare con noi è stata sua, il primo giorno che l’abbiamo preso, o avrebbe preferito essere libero di scorazzare senza limiti? Adesso non se ne andrebbe più di casa, ma in fin dei conti lo abbiamo reso “schiavo”. Cosa succederebbe se lo stesso accadesse a un essere umano, cioè se lo obbligassimo a servirci e un giorno si adattasse così tanto a noi da non volersene più andare? Secondo voi sarebbe da considerarsi ancora uno schiavo?

Più entriamo in profondità, più possiamo renderci conto che la differenza tra libertà e schiavitù non è così netta. Anzi, esistono società povere in cui si fa di tutto per essere comprati come oggetti perché è il minore tra i mali.

Nelle civiltà antiche

L’esempio dei sena e dei tuareg

Nel suo libro Africa, John Reader ci porta l’esempio dei sena, un popolo che viveva in Mozambico in gruppi di massimo 200 famiglie. Le carestie erano frequenti e colpivano una zona più dell’altra. I più poveri dovevano comprare da mangiare con tutto quello che avevano e si concedevano volontariamente come schiavi ai più ricchi per farsi mantenere. Addirittura, c’era chi rompeva di proposito un oggetto di valore del vicino ricco perché sapeva che la punizione sarebbe stata la schiavitù.

In questo caso la schiavitù era una loro scelta. Ma proprio perché la scelta era loro, non era forse un grado di libertà?

Tra i tuareg nomadi, gli schiavi venivano comprati per fare i lavori pesanti, ma venivano integrati nella società come un qualsiasi altro della famiglia; si usavano termini di parentela per integrarli e il capo-famiglia doveva prendersi cura di loro. Se l’uomo sposava una schiava, i figli nati assumevano lo status del padre.

Possiamo considerare questa pratica una schiavitù completa, visto che lo schiavo spesso ne traeva un vantaggio? In generale, se una famiglia non ha il denaro per mantenere un figlio e lo vende a un uomo ricco che promette di trattarlo bene, non fa forse la scelta migliore? Dopotutto le adozioni moderne funzionano in modo simile, con la sola differenza che non c’è lo scambio di denaro.

Tra gli antichi Romani

Secondo una ricerca dell’antropologo Claude Meillassoux, sembra che in Africa ci fosse uno stato di schiavitù che coinvolgeva tra il 30% e il 60% della popolazione già prima della tratta dei neri. In pratica la schiavitù in Africa è sempre esistita: il che non giustifica la deportazione dei negrieri europei e americani, ma rende l’idea di come in Africa fosse già una prassi abbastanza comune da usare come «risarcimento, premio o mezzo di scambio».

Ma la schiavitù ha varie forme. Chi nasceva nell’antica Roma riceveva lo status di uomo libero, non era schiavo, eppure il padre aveva su di lui il diritto di vita e di morte. Di fatto il figlio era una proprietà privata, un oggetto, che però godeva di diritti.

Nel Regno Unito del 1800, governato dalla regina Vittoria, le donne affidavano al marito l’intero controllo delle loro proprietà e di vari aspetti della vita, ma di fatto restavano delle donne libere. E nelle società pre-industriali i lavoratori ricevevano uno stipendio da fame nonostante le molte ore lavorate: si tratta di sicuro di uno schiavismo, perché obbligava le famiglia a non vivere, eppure godevano comunque di molte libertà giuridiche.

In conclusione: dipende dal punto di vista

È chiaro, se un uomo rapisce qualcuno e lo obbliga a lavorare per lui siamo di fronte alla schiavitù (e a diversi altri reati), perché è solo una parte a trarne vantaggio a danno dall’altra. Meno ovvio è capire se c’è libertà in un uomo che decide volontariamente di farsi schiavo perché non ha altre alternative. O di rendere schiavo un suo parente per lo stesso motivo. O se c’è libertà in uno Stato che sobbarca il popolo di tasse e di difficoltà.

Di esempi su scala minore ne abbiamo tutti i giorni, a partire dal lavoro a paghe irrisorie per arrivare ai blocchi sociali che ci impediscono di prendere la strada che vogliamo o per cui siamo portati. I dizionari ci dicono che se non abbiamo la libertà di scegliere in modo autonomo, non possiamo essere liberi. Ma ci dice anche che non possiamo essere considerati schiavi se abbiamo dei diritti riconosciuti e la libertà di pensiero. Sono pensieri che cozzano tra loro.

Il risultato è che persino nella moderna società di forti libertà in cui ci troviamo, un po’ schiavi lo siamo tutti. Questa tendenza non può cambiare fino a quando l’economia e la politica governano le nostre vite; e visto che non possiamo fare a meno né dell’una né dell’altra, una vera libertà non potrà mai esistere.

Fonti principali
John Reader, «Africa», Mondadori, 2003, pp. 281-287.
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