Le caste dell’India – Una rigida tradizione millenaria

26 Maggio 2013 | Cultura e società

Sin dalle origini

Quando smembrarono Purusha, in quante parti lo divisero? Che cosa divenne la sua bocca? Che cosa le sue braccia? Come sono chiamate ora le cosce? E i suoi piedi?
La sua bocca diventò il bramino [sacerdote], le sue braccia si trasformarono nel kshatriya [guerriero], le sue cosce nel vaishya [contadino]; dai piedi nacque lo shudra [servo].

Se c’è una cosa che nell’India non si può toccare è il sistema delle caste. È così profondo e radicato nella cultura del popolo che né millenni di storia, né il grande movimento di uguaglianza messo in moto da Gandhi, sono riusciti a estirparlo. La gerarchia delle caste in India è rigida e netta, ed è tanto importante da decidere il destino di un uomo al momento della sua nascita.

Purusha

Per capire il sistema delle caste indiane, abbiamo prima bisogno di una premessa. Chi è Purusha? A differenza di come verrebbe da pensare a primo acchito, Purusha non è esattamente un dio: è più che altro un principio cosmico che si può tradurre come “anima” o “Sé”. Il concetto è un po’ sfuggente, ma riassumendo in breve lo si può vedere come un elemento essenziale di tutto quello che esiste: Purusha è la parte spirituale ed è strettamente legato con l’altro elemento essenziale, la materia (identificata con Prakrti).

Nella religione induista descritta dal Rgveda, una raccolta di inni religiosi, si parla di come Purusha venne diviso, dando origine a ogni cosa di visibile e invisibile: il mondo che ci circonda, gli animali, gli inni sacri, gli déi e il sistema delle caste. Purusha è «tanto vasto da coprire lo spazio e il tempo» e ha sacrificato una parte di sé per creare tutto questo.

La premessa ci fa capire un dato importante: così come le caste in India, qualsiasi cosa è sottoposta alla gerarchia – dal più piccolo granello di sabbia alla più grande delle stelle e al più potente degli déi. Ognuno ha un suo posto deciso prima ancora di nascere e da questo non può – o non dovrebbe – uscire.

Il significato di appartenere a una casta

Come funzionano le caste in India

Ogni categoria ha un proprio colore (in sanscrito var’a), che secondo alcuni studi sarebbero derivati dal colore della pelle degli antichi popoli della valle dell’Indo: gli indoeuropei, invasori e nuovi padroni del luogo, erano di carnagione chiara, mentre gli indigeni presenti avevano la pelle scura. La classica storia di conquista, dove un popolo straniero arriva, si insedia e rende schiavi i presenti, creando per loro una “società” diversa per preservare il proprio sangue.

L’appartenenza a una casta dipende dalla linea ereditaria o, per meglio dire, dal sangue. È opinione comune, infatti, che gli appartenenti alla casta superiore abbiano un sangue più puro degli altri. Lo scopo della suddivisione è proprio quello di mantenere separate le varie etnie (e infatti solo recentemente si è data la possibilità di combinare matrimoni tra caste diverse).

L’individuo di per sé conta poco. Quello che importa è il suo ruolo nella società. Soltanto gravi mancanze nel suo ruolo sociale può far declassare qualcuno a un livello inferiore.

La gerarchia delle caste

Il bramino

La gerarchia prevede all’apice della piramide la figura del bramino (o brahmani), che in sostanza rappresentano i sacerdoti del popolo e, essendo nati dalla bocca di Purusha, hanno il dono della parola. Sono loro a trasmettere di generazione in generazione le sacre scritture (chiamate Veda) e sempre loro hanno il compito di eseguire i riti e i sacrifici.

Si riconosco per il fatto che si presentano in pubblico a torso nudo. La nudità rappresenta, infatti, un vicino legame con la natura, negato alle altre classi. È anche la figura che meno di tutte dovrebbe “infettarsi” e la tradizione prevede che per questo mangi da solo dopo essersi fatto il bagno. Il loro colore è il bianco.

I kshatriya

In un gradino più sotto si trovano i kshatriya: i guerrieri, i nobili detentori del potere politico. Di fatto la figura predominante nel governo del Paese. Sono elementi parecchio importanti e spesso in passato hanno avuto “scontri” di ruolo con i bramini. Il colore associato è il rosso.

I vaishya

Seguono i vaishya: contadini, mercanti e artigiani che sostengono e nutrono le due caste superiori grazie al loro lavoro. La metafora che li vede come nati dalle gambe di Purusha è evidente: a loro spetta il compito di sostenere il “corpo” (cioè la bocca e le braccia, da cui sono nate le altre due caste).
In realtà, molti di loro sono importanti e ricchi mercanti. Sono legati al colore giallo.

L’ultimo gradino: gli shudra

Infine, come ultima casta troviamo gli shudra: i servitori nati dai piedi di Purusha (la parte meno nobile del corpo) e incaricati quindi di svolgere le mansioni umili che le altre tre classi non farebbero mai. Da notare che non si tratta di schiavi, ma di servitori: sono a tal punto ritenuti impuri che alcune versioni del mito li vedono nascere dall’ano di Purusha, come se fossero degli scarti. Il loro colore è, naturalmente, il nero.

Sul piano pratico, gli shudra godono di pochissimi diritti. Il loro omicidio, per esempio, è considerato un crimine minore. Ma rappresentano la parte di popolazione più numerosa, attestata attorno ai 550 milioni di persone. Un vero esercito, se decidessero di salire nella “scala gerarchica”.

Al di sotto del gradino più basso: gli Intoccabili

Gli shudra non se la passano poi così male, se confrontati ai “fuori casta”. L’epiteto di intoccabili rende di più l’idea: non hanno un colore associato e sono considerati il massimo dell’impurità, tanto (appunto) che le altre caste si rifiutano anche solo di toccarli per evitare di essere contaminati.

Il (mancato) contatto è anche di tipo spirituale: non esisterà mai una tomba di un intoccabile affiancata a quella di un bramino; e persino la loro ombra è ritenuta impura, al punto che un uomo di casta elevata, se di mentalità rigida, evita di calpestarla. Per evitare unioni indesiderate, gli intoccabili devono vivere al di fuori dei centri abitati

A questa categoria esclusa appartengono gli uomini decaduti dalle altre caste e le tribù che non sono mai state assorbite dagli indù, ma anche omosessuali e malati mentali. In pratica, chiunque che possa rendere “infamia” a una casta di antiche tradizioni. Se un figlio nasce da un uomo shudra e da una donna bramina (unione abbastanza frequente), è considerato un fuori casta.

I loro compiti rientrano tra quelli ritenuti più degradanti: pulitori di latrine, spazzini, becchini. Agli intoccabili, naturalmente, questa situazione non piace, e infatti preferiscono chiamarsi “oppressi” (dalit) anziché “fuori casta”. Ma nessun tentativo passato – che sia il grande movimento di Gandhi o l’arrivo di religione più egualitarie come quella buddista – è riuscito a scardinare questa posizione degradante.

La donna nelle caste

Visto che la gerarchia non è mai stata rinnovata in secoli di storia, non deve stupire molto la condizione della donna, che nel codice è descritta allo stesso livello degli shudra, i servitori. Questo significa che secondo le scritture la donna dovrebbe essere completamente sottomessa all’uomo e che il suo omicidio non avrebbe un grande peso nella società.

In realtà, così è stato fino al 1950, quando la nascita della costituzione donò anche alle femmine i diritti fondamentali: il voto, la possibilità di divorziare, l’uguaglianza nella linea ereditaria ai fratelli maschi. C’è da dire, però, che la tradizione è troppo rigida per essere cambiata soltanto in sessant’anni: le uniche donne che hanno veramente la possibilità di essere libere e autonome sono quelle di caste superiore – e si tratta comunque di eccezioni.

Una curiosità: a redigere la costituzione fu Bhimrao Ramji Ambedkar, un intoccabile. Fu tra l’altro uno dei primi fuori casta a ottenere un’educazione approfondita in legge ed economia (ovviamente conseguita all’estero). Forse un sintomo per sperare in un cambiamento?

Fonti principali
«Focus Storia» n. 64, febbraio 2012
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  1. klement

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