Discorso del Capo Seattle – Critica all’uomo bianco

24 Febbraio 2013 | Storia

Introduzione

Conosciamo tutti la storia della conquista americana. Sappiamo benissimo come l’uomo europeo ha preso possesso dei territori non suoi a danno delle popolazioni native, che si sono viste ridurre sempre di più i loro possedimenti.

L’opera di conquista non si è fermata attorno al 1500, quando l’America è stata scoperta, ma è continuata nei secoli successivi. Quando l’opinione pubblica si è accorta che l’uomo bianco non aveva poi tutti questi diritti di occupare territori non suoi, i governi hanno smesso di uccidere senza ritegno e hanno cominciato a patteggiare con i nativi. Inutile dire che si trattava di un modo alternativo per sfruttare la situazione a proprio vantaggio.

I libri e soprattutto i film spesso ci danno una versione distorta dei nativi. Ce li descrivono come selvaggi che a un certo punto smisero di lottare, sopraffatti dalla forza dei conquistatori, quasi come se avessero accettato con rassegnazione quegli eventi. Niente di più sbagliato. I nativi americani hanno sempre avuto le idee chiare in merito.

Questione di terre

Una conferma l’abbiamo dalla storia stessa, in un discorso trascritto che riporto qui sotto (a fondo pagina trovate il link al discorso originale). Nel 1854, attorno all’11 marzo, il governo americano incontrò la tribù dei Duwamish. Questa tribù aveva vissuto nei pressi dell’attuale Seattle sin dalla fine dell’ultimo periodo glaciale, avvenuto circa 10 mila anni fa. Lo scopo era di discutere su un argomento preciso: la consegna o la vendita delle terre dei nativi ai coloni bianchi. In poche parole, i bianchi stavano fissando un ultimatum.

Si’ahl (anglicanizzato poi in “Capo Seattle”), un personaggio eminente che apparteneva ai Duwamish, prese la parola. Il suo discorso fu detto in lingua Lushootseed, in seguito tradotto in lingua Chinook commerciale e quindi ritradotto in inglese.

La conseguenza è che non abbiamo un’idea precisa di cosa fu detto, ma basandosi sulle annotazioni dei presenti è stato ricostruito per lo meno il senso del discorso. Il risultato è che, ancora oggi, il discorso trascritto del Capo Seattle è ritenuto uno dei migliori documenti ecologici della storia. Tanto che nel 1908 a Whashington è stata eretta una statua in onore di Si’ahl.

Riporto il discorso integralmente così come l’ho recuperato, evidenziando le parti che a mio avviso sono le più significative e rendono in pieno l’idea di come vive un nativo americano – e di come l’uomo bianco abbia dimenticato la sua vera natura e la terra che gli permette di sopravvivere.

Il discorso di Si’ahl

Capo Seattle
L’unica foto esistente del Capo Seattle, autore di un discorso sull’ambiente che a tutt’oggi è riconosciuto come uno dei migliori documenti ecologici [01]

Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il sole com’è che voi potete acquistarli?

Ogni parco di questa terra è sacro per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura, ogni ronzio di insetti è sacro nel ricordo e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con sé il ricordo dell’uomo rosso. Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi.

I fiori profumati sono i nostri fratelli, il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solamente acqua, per noi è qualcosa di immensamente significativo: è il sangue dei nostri padri.
I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi, e insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per i fiumi lo stesso affetto che dimostrerete a un fratello.

Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra è uguale all’altra, perché è come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che più gli conviene. La terra non è suo fratello, anzi è suo nemico e quando l’ ha conquistata va oltre, più lontano.
Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorerà tutta la terra e a lui non resterà che il deserto.

Non esiste un posto accessibile nelle città dell’uomo bianco. Non esiste un posto per vedere le foglie e i fiori sbocciare in primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse è perché io sono un selvaggio e non posso capire. Il baccano sembra insultare le orecchie. E quale interesse può avere l’uomo a vivere senza ascoltare il rumore delle capre che succhiano l’erba o il chiacchierio delle rane, la notte, attorno a uno stagno?

Io sono un uomo rosso e non capisco. L’indiano preferisce il dolce suono del vento che slanciandosi come una freccia accarezza la faccia dello stagno, e preferisce l’odore del vento bagnato dalla pioggia mattutina, o profumato dal pino pieno di pigne.
L’aria è preziosa per l’uomo rosso, giacché tutte le cose respirano con la stessa aria: le bestie, gli alberi, gli uomini tutti respirano la stessa aria. L’uomo bianco non sembra far caso all’aria che respira. Come un uomo che impiega parecchi giorni a morire resta insensibile alle punture. Ma se noi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordare che l’aria per noi è preziosa, che l’aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere.

Il vento che ha dato il primo alito al Nostro Grande Padre è lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. E se noi vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete guardarle in modo diverso, tenerle per sacre e considerarle un posto in cui anche l’uomo bianco possa andare a gustare il vento reso dolce dai fiori del prato. Considereremo l’offerta di acquistare le nostre terre. Ma se decidiamo di accettare la proposta io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà rispettare le bestie che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli.

Che cos’è l’uomo senza le bestie?
Se tutte le bestie sparissero, l’uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito. Poiché ciò che accade alle bestie prima o poi accade anche all’ uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano è fatto dalle ceneri dei nostri padri. Affinché i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi.

Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, bensì è l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso.

C’è una cosa che noi sappiamo e che forse l’uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è lo stesso vostro Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre ma non lo potete. Egli è il Dio dell’uomo e la sua pietà è uguale per tutti: tanto per l’uomo bianco quanto per l’uomo rosso. Questa terra per lui è preziosa.
Dov’è finito il bosco? È scomparso. Dov’è finita l’aquila? È scomparsa.
È la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza.

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