Il significato della vita – Darwin e Dio a confronto

31 Marzo 2013 | Fisica e chimica

Introduzione

Non riesco a convincermi che un Dio buono e onnipotente abbia potuto creare gli icneumonidi* facendo deliberatamente in modo che si nutrissero del corpo dei bruchi ancora vivi.

– Charles Darwin

*una superfamiglia di insetti

Il dilemma tra evoluzionismo e creazionismo è uno dei più controversi e dibattuti. In pratica, vengono messe a confronto due ideologie completamente opposte: l’uomo si è evoluto secondo le leggi della natura oppure è stato creato da Dio secondo il Suo volere? Questa domanda può essere posta, naturalmente, su qualsiasi creatura esistente.

Ho riportato una citazione di Darwin perché questo personaggio è senz’altro il punto di riferimento quando si parla di evoluzione. Ha vissuto gran parte della sua vita viaggiando verso terre semisconosciute, studiando e formulando ipotesi, fino a dare vita a quel capolavoro che è L’origine delle specie, a tutt’oggi un pilastro portante della scienza. Gli studiosi si basano ancora su quel trattato per formulare nuove supposizioni.

L’esistenza di Dio non c’entra

In verità, nonostante sia stato fermamente convinto delle sue idee, Darwin non ha mai negato l’esistenza di un dio – anche perché al suo tempo sarebbe stato tacciato di eresia. Il 22 ottobre 1996, papa Giovanni Paolo II ha affermato nel Messaggio alla Pontificia accademia delle scienze: «Nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi», aggiungendo però che è sempre Dio a occuparsi di immettere l’anima nel corpo dell’uomo.

Una vera conquista, se consideriamo che in precedenza la Chiesa ha fatto di tutto per far scomparire l’evoluzionismo darwiniano dai programmi di studio.

Allo stesso modo, io sono convinto che accettare l’evoluzione non significhi escludere l’esistenza di un dio. L’evoluzionismo è contrario al creazionismo, ma non nega l’esistenza della divinità in sé. Poi ognuno deve decidere per proprio conto.

La vita ha uno scopo definito?

Ma andiamo con ordine. In questo articolo non parliamo di religione, ma di evoluzione: non voglio addentrarmi sull’esistenza o meno di un Dio cosciente. Mentre la religione è un’opinione, l’evoluzione si basa sui dati concreti che abbiamo a disposizione e su analisi scientifiche: quello che ne esce può essere poi letto sotto diversi punti di vista, ma la base si fonda sui dati.

Quello che voglio mostrare in questo articolo sono le prove e le ipotesi avanzate dagli scienziati, che dimostrano come il significato della vita sia sopravvalutato. Siamo sempre propensi a ritenere che, poiché esistiamo, la nostra vita deve avere assolutamente uno scopo preciso, magari “elevato”: ma nell’intera esistenza della storia umana, nessuno è mai riuscito a definire lo scopo della vita in un modo chiaro e che non possa essere ribattuto.

Perché questa difficoltà? Semplicemente mancano dei dati scientifici, incontrovertibili, e pertanto il tema “significato della vita” lascia ampio spazio alla filosofia e alle ipotesi. Non sono io ad affermarlo, ma scienziati rodati e di una certa fama, con argomentazioni ragionate.

Seguendo gli studi emersi da diversi evoluzionisti, infatti, si arriva a un risultato che può sembrarci sconcertante: la vita non ha uno scopo. La vita, frutto dell’evoluzione, è casuale, va per tentativi. È piuttosto evidente che la natura non ci ha creato con “intenzioni benevoli”: l’ha fatto per tentare una nuova strada. La natura è indifferente e favorisce soltanto la specie più promettente.

Leggete fino in fondo e traete le vostre conclusioni.

Nessun obiettivo: la sopravvivenza del più adatto non è sempre la migliore

Uno dei punti saldi dell’evoluzione è che in un gruppo di individui in competizione tra loro, sopravvive sempre colui che riesce ad adattarsi meglio. Innanzitutto, si può ben capire che si tratta di un dato derivante dall’ambiente corrente: nella tundra, dove il clima è più freddo, sopravviverà un animale con la pelliccia anziché uno senza peli. Ma se di lì a qualche decennio lo stesso ambiente si fa caldo, l’animale con la pelliccia non sarà ancora il più adatto e dovrebbe lasciare il posto a un nuovo concorrente.

Questo per capire che l’evoluzione procede in base agli eventi sul momento e non secondo un preciso scopo futuro. Avete qualche dubbio in merito? Allora vi riporto un esempio specifico, in cui non solo è rimarcato quanto appena detto, ma che dimostra addirittura come la selezione di certi “migliori” sia in realtà sbagliata, a volte persino dannosa.

Scriccioli imprudenti

Prendiamo i maschi degli uccellini che vediamo tutti i giorni. Per attirare le femmine, usano il classico canto, splendido da sentire – ma nella pratica un vero e proprio pericolo. A parte il fatto che il canto attira i predatori, i maschi dedicano a questa attività una quantità esorbitante di tempo e di energia. Uno specialista parlò addirittura di uno scricciolo che, per attirare una femmina, cantò letteralmente fino a morire.

Cosa dimostra questo comportamento che si potrebbe definire anti-evoluzionistico? Primo, che se l’evoluzione sceglie un gene (il canto) non significa che lo fa in vista di un’utilità generica (la sopravvivenza), bensì di un’utilità specifica (attirare le femmine). Secondo, che all’evoluzione non importa se il soggetto sopravviverà nel lungo termine. È come se vivesse il momento, come se stesse “testando” la nuova capacità indifferentemente alle conseguenze.

L’indifferenza: l’egoismo dei geni

Tocchiamo adesso gli argomenti “indifferenza” ed “egoismo”. L’evoluzione spinge sulla competizione. Mira a far sì che i componenti lottino tra loro, per lasciare in vita soltanto il più adatto.

Esempi concreti

Di esempi ne abbiamo a centinaia, senza dover ricorrere alla storia dell’uomo (l’esempio di competizione e di egoismo per eccellenza). In una foresta di alberi, per esempio, sopravvivono soltanto i più alti, perché riceveranno la luce per primi soffocando gli arbusti più piccoli. Se l’evoluzione fosse ragionata o avesse uno scopo benefico, farebbe in modo che tutti gli alberi nascessero alti uguali: non si avrebbe competizione, tutti sopravvivrebbero allo stesso modo.

Un altro esempio più vicino a noi: quante volte vi è capito, in una riunione o al ristorante, di alzare la voce per superare il vociare della altre persone? Eppure, se tutti bisbigliassero, l’effetto sarebbe lo stesso, e cioè che chiunque potrebbe continuare a conversare, e tra l’altro sprecheremmo molta meno energia. Ma sarebbe un comportamento innaturale, perché i nostri geni ci spingono a stare “sopra” agli altri.

Egoisti e indifferenti

La conclusione: i geni sono egoisti. Si muovono non in base al bene del gruppo, ma a far sopravvivere l’individuo singolo. Se l’evoluzione spingesse a selezionare i geni altruisti, non ci sarebbe competizione e saremmo un po’ tutti uguali (da un punto di vista funzionale). Ma all’evoluzione interessa testare, provare nuove esperienze, sacrificando in questo modo chi rimane sotto agli altri.

La natura non è benevola o malevola, è semplicemente indifferente. A volte crea elementi utili all’intero gruppo, a volte soltanto utili all’individuo. Per capirlo facciamo un esempio più crudo. Quando un leone azzanna la gazzella, quest’ultima prova dolore. Non basterebbe che la gazzella avesse un gene che gli togliesse il dolore in un momento simile? Certamente, ma dal punto di vista della natura ha poco senso: quella gazzella è in punto di morte e il suo gene non verrà mai trasmesso alla prole. Di conseguenza, il gene anti-dolore non sarà mai tramandato.

La casualità: improvvisare per evolvere

L’uomo è un insieme di errori evolutivi. Al di là del carattere egoistico – su questo credo non ci siano dubbi – il suo corpo porta i segni di un’evoluzione piuttosto casuale. Per fare un semplice esempio, basta guardare come camminiamo tutti i giorni. Abbiamo visto che, probabilmente, l’uomo era bipede ancora prima di scendere dagli alberi e iniziare a toccare terra.

Con il corpo che ci ritroviamo, nessun esperto di fisica avrebbe mai progettato una posizione eretta come la nostra, perché abbia una serie di elementi scomodi e persino dannosi: il collo rigido, le ginocchia storte, le arche plantari appiattite e i dischi delle vertebre schiacciati.

Questa costruzione imperfetta suona di affrettata. Perché siamo stati creati così? Il fatto è che la natura guarda il momento, improvvisa, non pensa al futuro della specie. Non pensa a ottimizzare per un futuro guadagno. Se quello che crea porta a risultati troppo dannosi, ci penserà la selezione a tranciare via i soggetti.

Come riporta il libro L’evoluzione in 10 parole, fonte principale di questo articolo:

In ogni generazione c’è sempre una mutazione, perché dai genitori si tramanda un dna la cui copiatura ha però degli errori. Le mutazioni compaiono a caso e non hanno nessuna direzione né finalità.

Fonti principali
«L'evoluzione in 10 parole», una raccolta di tesi di dieci studiosi che parlano di evoluzione. Gli autori in questioni sono i seguenti: Giuseppe Montalenti (introduzione), Isaac Asimov, Ernst Mayr, Richard Dawkins, Edoardo Boncinelli, Ian Tattersall, Denis Duboule, Stephen J. Gould, Gianfranco Biondi, Olga Rickards.
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