La medusa immortale: da adulta ritorna giovane

22 Dicembre 2013 | Animali e piante

Una capacità unica

È piccola, con una forma a campana che non supera il diametro di 5 millimetri. Vive nei mari e passa da otto tentacoli (quando è giovane) fino a circa novanta nello stadio adulto. Come gran parte degli idrozoi, nasce come polipo e si tramuta in seguito in medusa.

Il suo nome scientifico è Turritopsis nutricula, ma sarebbe più adatto chiamarla con il nome comune: «medusa immortale».

Non si tratta solo di un nome altisonante o di una metafora, perché questo piccolo animale marino è l’unico – in tutto il pianeta, almeno per quanto si conosce – a riuscire a ringiovanire una volta raggiunta l’età adulta; nella pratica, una volta raggiunto il massimo stadio di medusa, ritorna a essere un polipo e a ricrescere, fino a diventare di nuovo una medusa. E non lo fa una sola volta, ma infinitamente. Ecco perché non è un abuso definirlo «immortale».

Per correttezza, c’è da aggiungere che la medusa immortale è ancora allo studio e non si ha la conferma, quindi, che possa svolgere questo ringiovanimento fino alla fine dei tempi: potrebbe essere in qualche modo programmata per ringiovanire un certo numero di volte, magari perché nel processo perde una “parte di sè” (qualche informazione che, alla lunga, finisce per essere logorata in modo irrimediabile).

Resta il fatto che si tratta di un animale assolutamente unico e che, se studiato, potrebbe permettere all’uomo di capire un po’ più i meccanismi dell’evoluzione – e magari di creare per sé stesso un elisir di lunga vita.

Indietro nel tempo

Ma come funziona il meccanismo che permette alla medusa immortale di ringiovanire? Abbiamo già visto che la natura è capace di mettere in mostra creature animali e vegetali davvero strane: la Ophiocordyceps camponoti, per esempio, riesce a prendere il controllo delle formiche e a “muoverle” come marionette. Le particolarità di queste creature diventa più spiccata quando si parla di mari e di oceani.

Nessuna magia: o, meglio, la magia c’è, ma si chiama “evoluzione”.

La medusa immortale fa uso di un processo chiamato transdifferenziazione, che è appunto la trasformazione di cellule da un tipo embrionale a un altro (questi “tipi embrionali” prendono tecnicamente il nome di «foglietti embrionali» e sono la base da cui poi si creano tessuti e organi diversi). Il passaggio da un “tipo” all’altro non è semplice, ma ancora di più lo è passare a uno precedente, perché richiede la sincronizzazione di centinaia e centinaia di geni.

Le cellule ringiovaniscono

Sto parlando, in pratica, di una regressione delle cellule. È come se il nostro corpo, anziché invecchiare, diventasse sempre più giovane con il passare del tempo. Nelle meduse immortali il processo è ben visibile: la campana e i tentacoli si logorano e nasce di nuovo il perisarco (il sistema di tubi che sostiene i polipi in acqua). Infine, si forma il polipo.

Che cosa possiamo ricavare da questo? Innanzitutto, un’utilità pratica: l’uomo cerca da tempo un sistema per rigenerare le proprie cellule in deperimento e ritardare (o eliminare del tutto) la vecchiaia. In campo più immediato, studiare queste meduse potrebbe aiutarci a riparare organi danneggiati.

Il secondo dilemma, se vogliamo, è più filosofico. Sappiamo che l’evoluzione privilegia le creature che, più delle altre, sanno sopravvivere all’ambiente che lo circonda. Le Turritopsis nutricula sono senz’altro delle maestre di adattamento.

Poniamo il caso che in natura non esista un numero sufficiente di predatori per le meduse immortali e che queste comincino a moltiplicarsi a dismisura. La loro crescita sarebbe esponenziale, perché si formerebbe un “esercito” di animali immuni alla vecchiaia e che continuano a procreare. Siamo davanti alla forma primitiva di un nuovo tipo di evoluzione, come ipotizzato nel libro di Frank Schätzing?

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