Il Buddhismo – La pratica e le considerazioni sulle Quattro Nobili Verità

17 Maggio 2016 | Miti e religione

SOMMARIO

Panoramica sul Buddhismo: filosofia, descrizione e i pilastri su cui si fonda
Il Buddhismo – La pratica e le considerazioni sulle Quattro Nobili Verità
Il Buddhismo – La teoria degli aggregati e della coproduzione condizionata

Nell’articolo precedente abbiamo visto la struttura portante del pensiero buddhista, ovvero le Quattro Nobili Verità.

Dalle Quattro Nobili Verità e in particolare dall’Ottuplice Sentiero possiamo ricavare alcune considerazioni e un sistema di vivere adatto per avvicinarsi allo scopo: la liberazione dalla sofferenza, che è una caratteristica innata di ogni essere vivente.

Ricordiamo che, secondo gli insegnamenti del Buddha, la sofferenza può scomparire soltanto quando comprenderemo che gli stati che ci condizionano (samkhara) sono impermanenti (anicca), cioè non sono eterni, e sono dolorosi (dukkha); e soltanto quando comprenderemo che tutte le realtà (dhamma) sono senza sostanza (anattā), cioè non possono esistere da sole e dipendono dai fattori esterni.

La definizione può sembrare un po’ complessa, ma in realtà ci sono delle linee guida che possiamo seguire per avvicinarsi a questa comprensione, che vedremo tra poco. Il resto, naturalmente, deve partire da noi.

Tenete presente un altro elemento, durante la lettura: anche chi non arriva fino in fondo al cammino consigliato dal Buddhismo, otterrà comunque un miglioramento di se stesso (proprio perché si basa su un’analisi interiore). Inoltre capirà meglio il legame tra la disciplina mentale (prajñā) e la compassione (karunā), che rappresenta un fulcro nella morale buddhista.

Le informazioni presenti in questo articolo sono il frutto di varie ricerche, che ho cercato di riassumere; ma le dottrine buddhiste sono numerose e con idee che si discostano tra loro in alcuni punti, per cui considerate il testo come una traccia.

Non esiste un’unica verità

Una considerazione tra tutte è che non è sbagliato credere in una verità: quello che è sbagliato è pensare che la propria verità sia assoluta ed eterna. È un modo di pensare che i filosofi greci non condividerebbero, dato che a loro avviso esisteva sempre un’unica verità, raggiungibile attraverso il dialogo logico.

C’è da specificare che il pensiero buddhista è un po’ più radicato: più che a non attaccarsi a una verità in particolare, insegna a tollerare e a condividere le verità degli altri. Il Buddhismo, come abbiamo visto, non accetta regole fisse e si integra con culture e religioni diverse.

Siamo parte di un insieme che comincia dall’origine dell’Universo

Nel primo punto dell’Ottuplice Sentiero abbiamo parlato dell’anattā. Riassumendo, specifica che ogni cosa (meglio, ogni «realtà») è connessa alle altre. L’individuo singolo non esiste senza quello che lo circonda ed è continuamente influenzato dall’ambiente; anzi, è il prodotto di millenni di storia, senza la quale non sarebbe mai nato.

Ho affrontato il tema in altri articoli, però da un punto di vista più scientifico, dimostrando quanto siamo unici tra miliardi di persone e che tutto è fatto della stessa materia di base.

Riuscire a capire fino in fondo la qualità anattā delle cose è semplice, ma mantenere questa consapevolezza in ogni momento è piuttosto difficile. Uno dei sistemi per farlo è meditare facendo attenzione all’ambiente: ci si rende conto che l’aria che respiriamo è passata prima nei polmoni degli altri, che i suoni che ci influenzano sono creati dall’esterno.

Se avete visto qualche praticante buddhista in azione, vi accorgerete tra l’altro che esegue movimenti lenti anche per i lavori di tutti i giorni: è un altro sistema per porre attenzione in quello che si fa e in quello che ci circonda (un atteggiamento ben lontano dalla routine che conosciamo).

Il primo passo: concentrarsi sul respiro

Concentrarsi sul respiro è la prima fase per capire l’anattā. Il processo deve seguire quattro fasi:

1. Si accompagna il respiro con esercizi rivolti alle 32 parti del corpo e ai 4 stati della materia (terra, fuoco aria, acqua). Una descrizione su come devono essere portati avanti questi esercizi è presente nel Visuddhimagga («la via della purezza»), scritto nel V secolo a. C. dal monaco Buddhaghosa. In realtà, all’interno di questo testo sono contenuti ben 40 elementi di meditazione.

2. Si rivolge l’attenzione sulle sensazioni, piacevoli o meno, cercando di capire la qualità anattā che li accomuna.

3. Si rivolge l’attenzione sulle condizioni della mente, che deve essere liberata da tre fattori nocivi che abbiamo già visto: attaccamento, ostilità e illusione.

4. Si rivolge l’attenzione sugli elementi che riguardano la mente. Possiamo dividerli in due gruppi:
– i 5 khandha: forme sensibili, sensazioni, percezioni, condizionamenti, coscienza.
– i 5 nīvaraṇa: sono gli “impedimenti” negativi e cioè avidità, rigidità e rilassatezza, gioia e depressione, tensione ostile, incertezza. Da notare che anche un sentimento positivo è ritenuto “impedimento” se è troppo presente.

Sui khandha e sui nīvaraṇa parleremo in dettaglio nel prossimo articolo.

Il secondo passo: le concentrazioni sovrasensibili

Completato il passo appena visto in quattro fasi, si passa a rivolgere l’attenzione su quelle che vengono chiamate le «concentrazioni sovrasensibili» (arupasamādhi), ovvero:
1. concentrazione sullo spazio illimitato (ākàsa)
2. concentrazione sulla coscienza illimitata (vijñāna)
3. concentrazione sul vuoto (sūnya)
4. concentrazione sulla condizione particolare di «né percezione, né non percezione».

Lo studio di questi elementi è il più complicato e, una volta completato, porta a uno stato di coscienza che possiamo considerare di «perfetto equilibrio». In questo stato non si ha neanche il desiderio di raggiungere il Nirvāna, cioè la liberazione dalla sofferenza.

Non si deve immaginare che a questo punto di essere diventati incapaci di provare sensazioni: si continua a provarla, soltanto che non si prova attaccamento a esse.

Considerazioni: il Buddhismo rifiuta ogni morale?

Da quanto appena visto si può arrivare a comprendere un altro concetto: il vuoto (śūnya) e la vacuità (śūnyatā, cioè l’irrealtà delle cose) sono caratteristiche comuni a tutte le forme. Sembra un controsenso: come può essere che le forme materiali siano fatte di «vuoto»?

In verità, con vuoto non si intende il “nulla”, bensì un concetto più sottile: ogni forma può essere definita solo se confrontata con altre forme. In altre parole, una forma esiste e si può descrivere solo perché possiamo determinare quello che non è.

Sorge spontanea un’altra domanda: se davvero tutto è connesso, se non esiste un «io individuale» a cui fare capo e a cui assegnare le responsabilità delle azioni (perché siamo condizionati dalle altre realtà), significa che ogni moralità deve cadere?

Se non riusciamo a rispondere a questa domanda, ci manca uno dei tasselli fondamentali. Al di là del fatto che nel Buddhismo stesso esiste una morale (l’Ottuplice Sentiero da seguire), dobbiamo sempre ricordarci che come siamo condizionati dalle realtà esterne, noi condizioniamo a nostra volta le realtà esterne. Siamo responsabili quanto non siamo responsabili.

Ecco perché seguire l’Ottuplice Sentiero non è solo una questione di moralità, ma anche di rettitudine personale. Se aiutiamo gli altri, aiutiamo noi stessi.

Fonti principali
Giangiorgio Pasqualotto. «Il Buddhismo»
Conferenze varie tenute dal professore di filosofia Marco Gaza
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