Sfatiamo alcuni luoghi comuni sui pirati

22 Agosto 2011 | Storia

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Miti popolari

Nell’immaginario popolare, i pirati sono galeotti assoldati da un capitano, gente di porto poco raccomandabile dall’aspetto arcigno e dal fare brusco. In ogni rappresentazione non mancano le bende sugli occhi, le gambe di legno, l’uncino al posto della mano, il pappagallo sulla spalla e i Jolly Roger (le classiche bandiere con sopra disegnato un teschio attraversato da una coppia di ossa incrociate).

Ma quanto di questo è vero? La realtà, come spesso succede, non regge davanti al mito e se scendiamo nei dettagli non ci vuole molto a distruggere buona parte della visione romantica che abbiamo sui pirati.

Le canzoni

Costretti per mesi a navigare sulla stessa barca, è naturale pensare che l’equipaggio si desse al canto per passare il tempo. Robert Stevenson, nel suo L’isola del tesoro, fa intonare ai rozzi protagonisti il famoso canto: «Quindici uomini sulla cassa del morto… e una bottiglia di rum!».

In realtà, c’è da aspettarsi che le canzoni fossero di tutt’altra tempra, probabilmente a motivo militare poco prima degli arrembaggi.

I tesori

Che seppellissero i tesori è una fantasticheria portata in auge grazie alla letteratura (come il già citato L’isola del tesoro). Sarebbe stato controproducente e faticoso, anche perché sarebbero dovuti tornare in seguito per recuperarli. Meglio vendere le merci il più in fretta possibile.

Si contano, però, alcuni casi isolati di tesori sepolti, come fece il capitano William Kidd. Molto meno probabile sono le fantomatiche mappe che avrebbero dovuto segnare, con una X, il luogo di sepoltura.

Uncini, bende sugli occhi e gambe di legno

La medicina era ancora incompleta e le amputazioni per infezioni erano all’ordine del giorno. Questo non significa che i pirati se ne andassero in giro con pezzi artificiali al posto degli arti amputati.

François le Clerc è l’unico pirata conosciuto ad aver sostituito la sua gamba con una di legno. Un po’ più comuni erano le bende sull’occhio, anche se pur sempre rare: la portava per esempio Olivier Levasseur, il pirata chiamato “La buse”, a cui Stevenson si ispirò per creare il capitano Flint nel suo libro.

Esecuzioni sulla passerella

I pirati si liberavano dei prigionieri scomodi, costringendoli a buttarsi a mare saltando da una passerella; gli squali, poi, finivano il lavoro.

Giusto? No, sbagliato. O per lo meno non accadde prima del 1829, quando una nave pirata dei Caraibi costrinse alcuni olandesi a saltare a mare con gli occhi bendati e una palla di cannone ai piedi. Si trattò comunque di un caso unico e mai ripetuto.

Compagni animali

Capitò di portare a bordo uccelli come animali di compagnia, ma l’idea di un pappagallo sempre appollaiato sulla spalla del capitano non regge. Gli uccelli erano bocche in più da sfamare e di scarsa utilità. Più utili si dimostrarono i gatti, che cacciavano i topi sulle navi, una piega sempre persistente nei lunghi viaggi.

Navigatori provetti?

La parte che forse appare più sorprendente è il fatto che, a bordo delle navi, erano ben pochi i marinai davvero capaci di governare l’imbarcazione. In effetti, venivano reclutati taglialegna e cacciatori, che non avevano di certo esperienza di marina e che si limitavano a seguire rotte dirette.

Se avevano bisogno di viaggi complicati, erano spesso costretti a rapire dei veri piloti. Addirittura, molti pirati non sapevano nuotare e odiavano cibarsi di pesce, prediligendo la carne quando possibile.

Fonti principali
«Focus Storia» n. 57, luglio 2011
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