Il discorso di John Kennedy sulla conquista della Luna [video]

10 Agosto 2014 | Storia

La corsa alla Luna

Mettere piede sulla Luna, per l’uomo, non è mai stato semplice. Gli errori sono stati molti e i costi proibitivi lasciano pensare che in futuro non si tenteranno altre missioni umane sul nostro satellite.

In ogni caso, quel 20 luglio 1969 in cui Neil Alden Armstrong creò la prima orma di tutti i tempi sulla nostra Luna ha lasciato il mondo a bocca aperta, perché in effetti si trattò di un fatto straordinario, unico, che sussurrava una frase: «L’uomo ha superato i confini della Terra e ha iniziato una nuova fase di conquista».

In realtà, rispetto al ’69 siamo ancora piuttosto fermi per quanto riguarda le conquiste di pianeti e satelliti, ma già si sta puntando l’occhio sul vicino pianeta Marte, sul quale proprio adesso il rover Curiosity sta facendo la sua esplorazione.

Erano i tempi della corsa allo spazio e tra Unione Sovietica e Stati Uniti non si risparmiavano i colpi. Già diversi anni prima, il presidente degli Stati Uniti pronunciò un discorso alla cattedra della Rice University.
Se siete troppo giovani per averlo visto in diretta o se ve lo siete persi, riproponiamo qua sotto il video del 12 settembre 1962 che immortala la storica arringa di John Fitzgerald Kennedy, in cui prometteva che entro il decennio sarebbe riuscito a spedire il primo uomo sulla Luna.

Così fu, anche se J. F. Kennedy non poté assistervi, visto che fu assassinato qualche anno prima.

Il video è in inglese, ma subito sotto trovate la traduzione in italiano, recuperata dal sito della JFK Presidential Library and Museum.

La traduzione del discorso di John F. Kennedy in italiano

Presidente John F. Kennedy
Houston, Texas
12 settembre 1962

Presidente Pitzer, signor Vice Presidente, Governatore, Deputato Thomas, Senatore Wiley e Deputato Miller, Sig. Webb, Sig. Bell, scienziati, distinti ospiti, signore e signori:

Ringrazio il vostro presidente per la nomina a professore onorario ospite e vi assicuro che la mia prima lezione sarà molto breve.

Sono felice di essere qui, in particolare in questa occasione.

Il nostro incontro avviene in un’università famosa per il suo sapere, in una città nota per il progresso, in uno stato rinomato per la sua forza. Abbiamo bisogno di tutte queste virtù, poiché ci troviamo in un momento di cambiamento e di sfide, in un decennio contraddistinto dalla speranza e dal timore, in un’epoca che unisce la conoscenza all’ignoranza. Più cresce il nostro sapere, più evidente ci appare la nostra ignoranza.

Nonostante il fatto sorprendente che la maggior parte degli scienziati vissuti in questo mondo viva e lavori proprio ai nostri giorni, nonostante il fatto che il numero di persone di questa nazione che operano nel settore scientifico raddoppi ogni 12 anni, con una crescita più che tripla rispetto a quello della popolazione nel suo complesso, nonostante tutto ciò, la vasta distesa dell’ignoto, delle domande senza risposta e dell’incompiuto superano ancora di gran lunga la nostra comprensione collettiva.

Nessun uomo riesce a comprendere realmente quanto lontano siamo giunti e quanto velocemente. Per far questo, immaginiamo di condensare i 50.000 anni della storia umana conosciuta in un periodo breve quanto mezzo secolo. Se consideriamo la cosa in questi termini, possiamo dire di conoscere molto poco dei primi 40 anni, se non che verso la fine gli uomini più avanzati avevano appreso a utilizzare le pelli degli animali per coprirsi. Dieci anni fa, se continuiamo a seguire la nostra ipotesi, l’uomo è uscito dalle caverne per costruirsi i primi ripari. Solo cinque anni fa ha imparato a scrivere e a utilizzare i carri su ruote. La cristianità ha avuto inizio meno di due anni fa. La stampa è nata quest’anno e, meno di due mesi fa, se confrontiamo tutta la storia umana con un periodo di soli 50 anni, il motore a vapore ha messo a nostra disposizione una nuova fonte di energia.

Newton ha esplorato le leggi della gravità. Il mese scorso sono stati inventati la luce elettrica, i telefoni, le automobili e gli aerei. Solo la settimana scorsa siamo riusciti a scoprire la penicillina e a inventare la televisione e l’energia nucleare e ora, se i nuovi veicoli spaziali americani riusciranno a raggiungere Venere, prima della mezzanotte saremo letteralmente riusciti a raggiungere le stelle.

Tutto ciò avviene con un ritmo sbalorditivo e, inevitabilmente, man mano che l’uomo riesce a superare i mali del passato, questa forte accelerazione ne vede sorgere di nuovi: nuova ignoranza, nuovi problemi e nuovi pericoli. I vasti orizzonti dello spazio lasciano sicuramente intravvedere costi elevati e grandi difficoltà, ma anche enormi ricompense.
Non è sorprendente, perciò, che alcuni di noi preferiscano restare al punto in cui siamo ancora per un po’, per riposarsi e attendere. Questa città di Houston, questo stato del Texas, questo Paese degli Stati Uniti, tuttavia, non sono sorti grazie a coloro che si sono fermati per attendere e riposare, desiderosi di guardarsi alle spalle. Questo Paese è stato conquistato da coloro che sono andati avanti e così sarà anche per lo spazio.

William Bradford, parlando nel 1630 della fondazione della colonia di Plymouth Bay, affermò che tutte le azioni grandi e degne di onore sono accompagnate da grandi difficoltà e che entrambe devono essere affrontate e superate con coraggio e senso di responsabilità.

Se questa breve storia del nostro progresso ci insegna qualcosa, è che l’uomo, nella sua ricerca della conoscenza e del progresso, dà prova di grande determinazione e che non è possibile dissuaderlo dalla sua impresa. L’esplorazione dello spazio proseguirà, che noi vi partecipiamo oppure no, e rappresenta una delle più grandi avventure di tutti i tempi. Nessuna nazione che aspiri a un ruolo guida rispetto alle altre può pensare di restare in disparte nella corsa allo spazio.

Coloro che ci hanno preceduti hanno fatto sì che il nostro Paese partecipasse fin dagli inizi alle rivoluzioni industriali, alle invenzioni dell’epoca moderna e alla potenza nucleare e questa generazione non intende restare nelle retrovie durante la prossima età dello spazio. Vogliamo farne parte e abbiamo intenzione di svolgervi un ruolo guida. Gli occhi del mondo, infatti, guardano ormai verso lo spazio, verso la luna e i pianeti che vi sono oltre ad essa, e noi ci siamo impegnati a far sì che tutto ciò non sia governato da una bandiera ostile di conquista, ma da un vessillo di libertà e di pace. Abbiamo giurato che non vedremo lo spazio occupato da armi di distruzione di massa, ma da strumenti di sapere e di conoscenza.

Tuttavia, l’impegno di questa nazione potrà essere adempiuto solo se essa sarà al primo posto ed è per questo che intendiamo impegnarci. In breve, la nostra leadership nella scienza e nell’industria, le nostre speranze di pace e di sicurezza, i nostri obblighi verso noi stessi e gli altri, tutto ci chiede di onorare questo impegno, di risolvere questi misteri, per il bene di tutti gli uomini, e di diventare la nazione leader nella corsa verso lo spazio.

Abbiamo iniziato questo viaggio verso nuovi orizzonti perché vi sono nuove conoscenze da conquistare e nuovi diritti da ottenere, perché vengano ottenuti e possano servire per il progresso di tutti. La scienza dello spazio, infatti, come la scienza nucleare e qualsiasi altra tecnologia, non porta in sé alcuna coscienza. Il fatto che la sua forza venga messa al servizio del bene o del male dipende dall’uomo, e solo se gli Stati Uniti occuperanno una posizione di preminenza potremo svolgere un ruolo determinante nel decidere se questo nuovo oceano che ci attende diventerà un luogo di pace o un nuovo terribile teatro di guerra. Non intendo dire che dobbiamo affrontare questa impresa senza proteggerci da un uso ostile dello spazio, esattamente come non affrontiamo senza difese l’uso ostile che è possibile fare della terra o del mare. Voglio dire che lo spazio può essere esplorato e dominato senza alimentare i fuochi di guerra, senza ripetere gli errori che l’uomo ha commesso nell’estendere il suo controllo sul pianeta sul quale ci troviamo.

Ad oggi, lo spazio non ha ancora visto alcuna contesa, alcun pregiudizio, alcun conflitto nazionale. I suoi pericoli sono avversi a noi tutti. La sua conquista merita il meglio di tutta l’umanità e questa occasione di cooperazione pacifica potrebbe non ripresentarsi mai più. Qualcuno si chiede: perché la luna? Perché sceglierla come nostro traguardo? Ci si potrebbe chiedere anche: perché scalare la montagna più alta? Perché, 35 anni fa, è stato sorvolato l’Atlantico? Perché la Rice si batte contro il Texas?

Abbiamo deciso di andare sulla luna. Abbiamo deciso di andare sulla luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di rimandarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre.

Per questo motivo, ritengo che la decisione dello scorso anno di intensificare il nostro impegno nello spazio sia tra quelle più importanti prese durante il mio mandato presidenziale.

Nelle ultime 24 ore abbiamo visitato i cantieri in cui sono in costruzione le strutture necessarie per l’esplorazione più imponente e complessa della storia dell’umanità. Abbiamo sentito tremare la terra e l’aria circostante durante il test del razzo vettore Saturn C-1, molto più potente della navetta Atlas che ha portato in orbita John Glenn e che è in grado di produrre un’energia equivalente a 10.000 automobili funzionanti a piena potenza. Abbiamo visitato il luogo dove i cinque motori del razzo F-1, ognuno potente quanto tutti gli otto motori del razzo Saturn messi insieme, verranno riuniti per costruire il nuovo missile Saturn avanzato, che sarà assemblato in un nuovo edificio da edificare a Cape Canaveral. Questa nuova struttura sarà alta quanto 48 piani, con una superficie analoga a quella di un isolato e lunga il doppio del campo sportivo in cui ci troviamo.

Nel corso degli ultimi 19 mesi, almeno 45 satelliti hanno orbitato intorno alla terra e circa 40 di essi riportano la dicitura “Prodotto negli Stati Uniti d’America”. Si tratta di apparecchiature molto più complesse e che hanno fornito all’umanità molte più conoscenze rispetto a quelle dell’Unione Sovietica.

L’astronave Mariner che si sta ora dirigendo verso Venere trasporta le strumentazioni più sofisticate della storia della scienza spaziale. La precisione di questo lancio è confrontabile all’invio di un missile da Cape Canaveral che riesca ad atterrare in questo stadio esattamente tra le due linee delle 40 iarde.

I satelliti Transit aiutano le nostre navi che si trovano in viaggio a seguire rotte più sicure. I satelliti Tiros ci hanno fornito avvertimenti finora impensabili di uragani e tempeste e ci daranno in futuro le stesse informazioni anche per gli incendi delle foreste e per gli iceberg.

Abbiamo avuto delle sconfitte, come è accaduto anche agli altri, anche se non lo ammettono, perché possono dare minore pubblicità alle loro imprese.

Per quanto riguarda il volo umano, dobbiamo riconoscere che siamo più indietro e che lo saremo ancora per qualche tempo. Ma non abbiamo intenzione di rimanervi ed entro questo decennio riusciremo a colmare il divario e a raggiungere una posizione di preminenza.

La crescita della nostra scienza e le ricadute sull’istruzione saranno ulteriormente arricchite dalla nuova conoscenza dell’universo e dell’ambiente, grazie alle nuove tecniche di apprendimento, mappatura e osservazione, attraverso nuovi strumenti e computer destinati all’industria, alla medicina, all’uso domestico e alle scuole. Le istituzioni tecniche, come la Rice, raccoglieranno i frutti di questo progresso.

L’impegno nello spazio in sé, infine, benché si trovi ancora agli albori, ha già dato vita a molte nuove aziende e a decine di migliaia di nuovi posti di lavoro. L’industria spaziale e gli altri settori ad essa correlati generano nuova domanda in termini di investimenti e di personale qualificato e questa città, questo stato, questa regione, parteciperanno in larga misura a questa crescita. Ciò che un tempo era l’ultimo avamposto della vecchia frontiera verso il West, diventerà il punto più avanzato della nuova frontiera della scienza e dello spazio. Houston, la vostra città di Houston, con il Manned Spacecraft Center, diventerà il cuore di una grande comunità scientifica e tecnica. Nei prossimi cinque anni, l’Amministrazione Nazionale per l’Aeronautica e lo Spazio prevede di raddoppiare il numero di scienziati e tecnici presenti in quest’area, portando l’esborso derivante da stipendi e spese associate a 60 milioni di dollari l’anno, con investimenti per circa 200 milioni per le strutture degli impianti e dei laboratori. Il nuovo centro che verrà creato in questa città, inoltre, gestirà direttamente o tramite appalti investimenti per oltre un miliardo di dollari connessi al nuovo impegno nel settore spaziale.

Certamente questa impresa costerà a tutti noi molto denaro. Il budget di quest’anno destinato alle imprese spaziali è triplicato rispetto a quello del gennaio 1961 e supera tutti i finanziamenti destinati a questo settore negli otto anni precedenti. Il budget è pari attualmente a 5.400 milioni l’anno, una somma enorme, benché minore di quanto spendiamo ogni anno in sigari e sigarette. Le spese per lo spazio, del resto, sono destinate a crescere ancora, passando dai 40 centesimi per persona alla settimana a oltre 50 centesimi alla settimana per ogni uomo, donna e bambino degli Stati Uniti. Abbiamo infatti deciso di considerare questo programma come una grande priorità nazionale, anche se capisco che in qualche misura esso rappresenta un atto di fede e risponde a una visione del futuro, poiché non sappiamo esattamente quali saranno i vantaggi che ne otterremo. Se vi dicessi, però, cari concittadini, che invieremo sulla luna, a 384.000 chilometri dalla stazione di controllo di Houston, un razzo gigante alto più di 91 metri, la lunghezza di questo campo da football, costruito in nuove leghe di metallo, alcune delle quali non sono ancora state inventate, capaci di resistere a livelli di calore e di sollecitazioni molto maggiori di quanto sia mai stato sperimentato, assemblato con una precisione maggiore dell’orologio più accurato, con al suo interno tutte le apparecchiature necessarie per la propulsione, la guida, il controllo, le comunicazioni, l’alimentazione e la sopravvivenza, in una missione senza precedenti, verso un corpo celeste sconosciuto, per poi tornare felicemente sulla terra, rientrando nell’atmosfera a velocità maggiori di 40.000 chilometri l’ora, provocando un calore pari circa a metà della temperatura del sole, quasi come quello che c’è oggi, e che riusciremo a fare tutto questo, a farlo bene e a portarlo a termine prima della fine di questo decennio….significa che dobbiamo essere capaci di osare.

Sarò io a occuparmi di tutto il lavoro, perciò non preoccupatevi. [risate]

Comunque, sono certo che ci riusciremo e che dovremo sopportarne i costi. Non bisogna sprecare denaro, ma penso che questa sia una strada che dobbiamo percorrere. Tutto questo verrà realizzato negli anni Sessanta, mentre alcuni di voi staranno ancora frequentando questo college e questa università. Sarà portato a termine durante il mandato di alcune delle persone che siedono oggi su questo palco. Ma sarà fatto e avverrà prima della fine di questo decennio.

Sono felice che anche questa università stia dando il suo contributo all’impresa dell’invio di un uomo sulla luna e che partecipi a questa grande missione intrapresa dagli Stati Uniti d’America.

Molti anni fa, alla domanda sui motivi per cui desiderava scalare il monte Everest, cima sulla quale avrebbe in seguito perso la vita, il grande esploratore inglese George Mallory rispose “Perché è lì”.

Be’, lo spazio è lì e noi partiremo alla sua conquista e anche alla conquista della luna e dei pianeti, verso nuove speranze di conoscenza e di pace. Chiediamo quindi la benedizione di Dio per l’avventura più pericolosa e rischiosa, ma anche per la più grande impresa che l’uomo abbia mai affrontato.

Grazie.

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