Lo scopo della vita è fare progetti – Il rapporto tra il Mondo e il nostro corpo

4 Novembre 2015 | Mente e corpo umano

Introduzione

Ogni giorno ci alziamo alla mattina, andiamo al lavoro o a scuola, torniamo a casa. Dormiamo, mangiamo, giochiamo, parliamo, proviamo emozioni. Ci facciamo poco caso, ma in ognuno di questi momenti lui è sempre presente e interagisce con noi: il Mondo, inteso come «tutto quello che ci circonda».

Possiamo dire che noi non esisteremmo senza il Mondo, ma la realtà è ben diversa. Dal punto di vista delle sensazioni e di come interagiamo, noi siamo il Mondo stesso.

È una questione che, in effetti, non avevo mai affrontato dalla giusta prospettiva, prima di ascoltare la conferenza di Marco Gaza, professore di filosofia, che mi ha aperto un nuovo spiraglio – mi ha offerto un nuovo tassello – verso la comprensione di quale possa essere «lo scopo della vita».

Il bello della filosofia è che si basa sempre su ragionamenti logici e non ha la pretesa di dare risposte, ma di creare le giuste domande. La logica che ne esce è (spesso) innegabile. Le conclusioni, invece, sono lasciate come sempre a ognuno di voi.

Noi siamo il mondo

Nietzsche aveva un pensiero lapidario: se si cerca qualcosa di stabile, si cerca qualcosa che è più vicino alla morte che alla vita. Per vivere serve rinnovarsi, cambiare, cercare di raggiungere nuovi risultati.

Umberto Galimberti, docente di filosofia che si riallaccia alla psicanalisi di Freud, si è guardato attorno e si è reso conto che il mondo e il corpo dell’uomo sono connessi in un modo molto più intimo di quanto ci accorgiamo. Di solito vediamo il corpo come un organismo separato, isolato dal mondo; in pratica, il nostro corpo «usa» gli oggetti che ci circondano per una certa funzione. Quello che Galimberti sottolinea, invece, è che noi non esercitiamo una funzione sugli elementi, ma sono gli elementi stessi a essere la funzione: sono i nostri sensi ad attribuirgli una funzione.

La differenza di concetto è sottile ma le implicazioni sono enormi, perché l’elemento smette di avere un significato oggettivo, valido per tutti.

Prendiamo un libro. A prima vista, il suo significato è chiaro: cultura. Il libro quindi dovrebbe essere l’elemento che mette in relazione il nostro corpo al mondo attraverso la cultura. Ma cosa succede se io lo prendo e lo lancio contro qualcuno? Il libro non è più cultura: diventa un’arma.

In altre parole, il mondo non ha nessun significato se noi non gliene attribuiamo uno e il significato può essere diverso per ognuno di noi. Questo è il primo concetto.

L’Io e il pensiero

Facciamo un piccolo passo avanti. Nietzsche affermava che non è l’«Io» che pensa, ma è l’atto di pensare a produrre l’«Io». In altre parole, l’uomo non ha una propria personalità distintiva se non interagisce con il mondo.

Se lo estendiamo arriviamo al secondo concetto: siamo individui pensanti solo perché interagiamo con il mondo, ma siccome prima abbiamo detto che siamo noi ad attribuire un significato al mondo che ci circonda, l’unica conclusione è che noi e il mondo siamo un’unica cosa.

La vita non esiste senza un progetto

Ed ecco il terzo concetto, il principale: se noi siamo il mondo, vuol dire che quando interagiamo con il mondo lo facciamo dandoci un progetto da seguire. Di conseguenza, la vita smette di avere un senso non appena smettiamo di avere dei progetti.

Finché non c’è un progetto in corso, questo progetto non esiste nel mondo. Per esempio, fino a quando non iniziamo a scrivere, il progetto «scrivere il libro» non esiste nel nostro mondo. Per noi «il libro» non esiste proprio, da nessuna parte, perché siamo noi il mondo.

In pratica, non dobbiamo vedere la vita e la morte sotto l’aspetto biologico. Noi non moriamo solo quando il corpo, fisicamente, muore: possiamo morire molto prima, e cioè quando smettiamo di avere qualsiasi tipo di progetto. Per vivere dobbiamo crearci dei progetti, cioè una relazione con il mondo, che possono essere qualsiasi cosa: scrivere, viaggiare, sciare, aiutare.

Se non possiamo progettare, siamo malati

Quando qualcosa ci impedisce di progettare, ecco che questo qualcosa diventa «malattia». Se non abbiamo progetti, non interagiamo con il mondo; se non interagiamo con il mondo, non interagiamo con noi stessi. Per cui siamo malati.

Siamo abituati a vedere la malattia come un dolore fisico, guaribile con delle medicine prescritte, ma si tratta di un concetto troppo riduttivo. Il dolore fisico è oggettivo, uguale per tutti, mentre la vera malattia è individuale, diversa per ognuno.

Ecco perché un medico dovrebbe valutare la salute in modo diverso per ogni paziente e sulla base di cosa questi gli dice, non traendo conclusioni soltanto da precedenti o da libri studiati. Il guaio è che oggi come un tempo, la salute dell’organismo fisico è basata su un ideale uguale per tutti, perché così impone la società e la storia.

Da questo punto di vista, in campo medico abbiamo fatto ben pochi progressi.

Fonti principali
Conferenza di Marco Gaza, professore di filosofia, in varie sessioni che si sono tenute nel marzo 2015.
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