Perché le altitudini dell’Everest sopra gli 8.000 metri sono chiamate «zone della morte»?

11 Giugno 2019 | Natura e ambienti

In breve

Sopra gli 8.000 metri l’ossigeno è così scarso che si può andare incontro a ipossia e alla morte. Gli alpinisti la chiamano zona della morte.

La vetta dell’Everest è una delle più difficili da raggiungere, anche a causa delle valanghe: fino al 2018 ha provocato quasi 300 morti e ha visto solo 5.000 scalatori toccare la cima.

Approfondimento

Cos’è la zona della morte?

Nell’alpinismo con il termine «zona della morte» si indicano le altitudini oltre gli 8.000 metri dove vivere risulta difficile a causa della scarsità di ossigeno, cioè dove è probabile andare incontro a ipossia.

In realtà i problemi respiratori possono presentarsi a quote molto più basse (anche vicino a 5.000 metri), perché dipendono dalla preparazione fisica e dall’organismo. Ma gli 8.000 metri rappresentano l’altitudine convenzionale oltre la quale anche il fisico più allenato ed equipaggiato va incontro a morte certa se ci resta troppo a lungo.

La vetta dell’Everest è un sogno per pochi

La vetta dell’Everest è la meta agognata per ogni alpinista, visto che si tratta della cima più alta che si erge a partire dal livello del mare: raggiunge circa gli 8.848 metri. Ma tra tutti gli escursionisti che hanno tentato l’impresa, solo in 5 mila sono arrivati al successo. E i morti contati fino al 2018 sono stati 295.

Le alte quote dell’Everest sono un ambiente letale anche per gli esperti scalatori e richiedono una grande quantità di denaro, tempo e coraggio per essere attraversate. Lhakpa Sherpa è una nepalese che dal 2000 ha raggiunto la sua vetta per ben nove volte ed è quindi una vera esperta nel settore. Ascoltare i suoi racconti sull’ultimo tratto è esaltante e allo stesso tempo mette i brividi.

Lhakpa spiega infatti che nella zona della morte si segue un percorso costellato dai cadaveri congelati degli escursionisti, caduti soprattuto a causa delle valanghe. Ci sono oltre 200 corpi bloccati nella montagna dove probabilmente resteranno a lungo, perché recuperarli è un’impresa complessa e mortale.

A quelle altezze si respira a fatica anche con i serbatoi di ossigeno, si può essere sorpresi da tosse violenta e da pericolosi gonfiori a polmoni e a cervello. Per cui il tempo per scalare gli ultimi 3 km, assaporare il successo e poi ridiscendere gli stessi 3 km non deve superare la mezz’ora.

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