Il voto delle donne: un diritto conquistato dopo secoli di storia

11 Agosto 2013 | Storia

Introduzione

Una delle rivoluzioni più grandi nella storia moderna è l’estensione del diritto di voto alle donne. Un fenomeno inizialmente lento, ma che ha portato in seguito a conseguenze sempre più grandi: la donna non era più relegata a un ruolo di second’ordine e, con gli anni, ha acquistato sempre più la parità con il sesso maschile.

Intendiamoci, stiamo parlando del mondo occidentale, dove qualsiasi azione si ripercuote a domino su tutte le Nazioni. Oggigiorno ci sono ancora Stati dove la donna deve «rimanere al suo posto», dove non ha diritti se non all’interno del suo focolare (e a volte nemmeno lì).

Ma noi occidentali non dobbiamo crederci migliori dal punto di vista della parità dei sessi, perché sono dovuti trascorrere secoli prima di raggiungere questo risultato. E dobbiamo tenere sempre presente che in passato, nei secoli antichi, ci sono stati popoli dove la donna era trattata con il dovuto rispetto o dove addirittura aveva un ruolo più importante rispetto all’esponente maschile (che ci crediate o no, il più antico culto religioso era quello della dea madre).

Mentalità ristretta, dicevamo, e per cambiarla le donne hanno dovuto ricorrere alle maniere forti. Letteralmente.

La miccia delle proteste in Inghilterra

Le prime suffragiste (così si chiamarono, proprio per l’obiettivo di ottenere il diritto di voto) nacquero in Inghilterra e formarono un movimento di protesta pacifico, riunendosi in un’assocazione chiamata National Union of Women’s Suffrage Societies. Le capeggiava Millicent Fawcett già nel 1897, una delle poche donne a quel tempo dotate di cultura, che rifiutava ogni forma di violenza.

Per alcune donne, però, non bastava, visto che i risultati tardavano a venire. Ecco allora che le suffragiste cambiarono nome in suffragette e fondarono la Women’s Social and Political Union nel 1903. La loro leader era Emmeline Pankhurst: fu l’arresto di quest’ultima nel 1905 a segnare il passaggio dal movimento pacifico alle dimostrazioni violente.

Le suffragette si incatenavano alle ringhiere, rompevano finestre, appiccavano incendi e scrivevano sui muri. La violenza arrivò a far esplodere parte della casa del politico David Lloyd George, piuttosto influente al tempo. Ci fu tra loro chi iniziò lo sciopero della fame in galera e il loro gesto portò infine a un risultato: il governo ordinò di nutrirle forzatamente per impedire che, morendo, diventassero delle martiri, e quest’azione rese il popolo poco entusiasta.

Dobbiamo aspettare però al 1918 per avere i primi risultati concreti, cioè quando il diritto di voto fu esteso alle donne sopra ai 30 anni che fossero capofamiglia. La vittoria completa si ebbe il 2 luglio 1928: per legge, qualsiasi esponente femminile acquistò il diritto di esprimere il suo voto.

Il movimento si estende agli altri Paesi

Tutto questo in Inghilterra. Ma movimenti come questi si estendono a macchia d’olio in tutto il mondo e anche gli Stati Uniti dovettero far fronte alle proteste femminili. Nel 1917 la più attiva manifestante, Alice Paul, fu arrestata e per anch’essa iniziò lo sciopero della fame. La differenza con l’Inghilterra è che bastarono tre anni per far passare la legge, perché già nel 1920 la donna acquistò il diritto di voto.

E in Italia? Lenti, come al solito. La prima protesta partì già nel 1866: alcune donne presero d’assalto piazza San Marco a Venezia durante uno dei festeggiamenti che seguirono l’unione dell’Italia. Ma l’arrivo della Prima Guerra Mondiale inizialmente e del rigido fascismo in seguito costrinse i movimenti a spegnersi sul nascere.

Si trattava, però, di una bomba a orologeria, che esplose il 2 giugno del 1946: seguendo l’esempio dell’estero, l’Italia si ritrovò costretta a cedere e diede la possibilità anche alle donne di scegliere se mantenere la Monarchia o se passare alla Repubblica (come ben sappiamo, fu quest’ultima a prevalere, anche se per una manciata di voti).

Le battaglie continuano?

Oggi la guerra per il diritto di voto non è finita e restano ancora delle battaglie da combattere, soprattutto in luoghi come l’Arabia Saudita dove la donna resta in secondo piano. Le donne continuano a lottare anche in Paesi più democratici: un esempio recente lo abbiamo in Russia, dove il movimento Pussy Riot ha provocato un vero e proprio vespaio, arrivando a gesti piuttosto discutibili persino all’interno delle Chiese.

Resta un fatto che la parità dei sessi non è ancora completa in diverse parti del mondo. C’è da credere che non sarà così per molto, perché fenomeni simili si allargano inevitabilmente. Che sia l’inizio di un nuovo matriarcato? Sarà la storia a dircelo.

Fonti principali
«Focus Storia» n. 81, luglio 2013
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