L’effetto Zeigarnik: perché non ci togliamo dalla testa i motivetti musicali

23 Luglio 2019 | Mente e corpo umano

In breve

L’effetto Zeigarnik dimostra che la mente umana preferisce finire un compito, invece di iniziarne uno nuovo, perché le questioni in sospeso restano più facilmente nella memoria.

Il fenomeno ci aiuta a ricordare i compiti da finire, ma può essere sfruttato anche per studiare meglio in vista di un esame.

Approfondimento

La mente preferisce finire un compito

L’effetto prende il nome dalla psicologa Bljuma Zeigarnik, che nel 1927 pubblicò le osservazioni sul fenomeno nel suo articolo On Finished and Unfinished Tasks. Nel suo esperimento di studio, Zeigarnik presentò a vari soggetti circa 20 esercizi logici da completare e notò che era più facile ricordare gli enigmi lasciati in sospeso rispetto a quelli portati a termine con successo — addirittura il 90% meglio rispetto ai giochi completati senza essere disturbati.

La conclusione fu che la mente umana preferiva completare un’azione già iniziata, invece di cominciare un nuovo compito. Quando una questione è in sospeso, resta impressa nella memoria proprio per ricordarci di completarla: è il motivo per cui continua a rimbalzarci nella testa.

Togliersi un motivetto dalla testa

Per toglierci un motivetto musicale che continuiamo a ripetere, quindi, il modo migliore è di cantarlo dall’inizio alla fine. Anche se le note non se ne andranno subito dalla testa, la nostra mente si sentirà soddisfatta e tenderà a dimenticarle più in fretta.

L’effetto Zeigarnik non riguarda soltanto la musica. I problemi che ci assillano sono spesso dovuti a questioni lasciate in sospeso; se non affrontate subito (cioè se non “completate”), finiscono per occupare i nostri pensieri. Ma il fenomeno è anche usato come strategia di vendita. Nei telefilm, per esempio, lasciare in sospeso una storia o un mistero è un sistema molto utile per spingerci a guardare la puntata successiva; e nelle pubblicità, un motivetto interrotto continuerà a ronzare nella testa più a lungo.

Sfruttare l’effetto Zeigarnik per lo studio

L’effetto Zeigarnik può anche essere sfruttato per mantenere in memoria un elemento, migliorando il sistema di studio. Lo psicologo John Baddeley, nel 1963, ha chiesto a dei partecipanti di risolvere degli anagrammi: a chi non ci riusciva, veniva data la soluzione. Alla fine dell’esperimento, a distanza di qualche tempo, ha notato che per i partecipanti era più facile ricordare la soluzione di quegli anagrammi che non avevano risolto.

Riassumendo, se dovete imparare qualcosa di complicato (come un lungo numero di telefono), una strategia è di memorizzare una sua parte, distogliersi dal compito per qualche tempo e quindi tornare a imparare il resto. L’elemento da studiare resterà impresso nella memoria con più forza e sarà più facile ricordarlo.

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