I 42 attentati (falliti) ad Adolf Hitler

19 Gennaio 2014 | Storia

Un uomo comune e poco amato

Adolf Hitler non era di certo benvoluto, nemmeno al tempo in cui doveva ancora iniziare a mantenere il potere con il pugno di ferro. Con il trascorrere degli anni (e delle efferatezze) si era fatto numerosi nemici e l’odio nei suoi confronti era accresciuto, sia all’esterno della Germania e sia al suo interno. A differenza di come alcuni possono pensare, molti tedeschi seguivano gli ordini più per paura che per fedeltà.

La storia la conosciamo bene e non c’è bisogno di riprenderla. Più interessante sarebbe capire le motivazioni che hanno spinto Hitler a diventare un boia di prim’ordine: qui però servirebbe un intero articolo a parte per esaminare la situazione e per capire che, in realtà, la storia dell’uomo è piena di individui come (e peggiori) di lui.

Quello che forse non tutti sanno è che, nel corso della sua “carriera” di despota, gli attentati alla vita di Hitler furono oltre 40 e che tutti sistematicamente fallirono.

Duro da uccidere

Il primo attentato si ebbe nel marzo del 1932, quando un assassino cercò di ucciderlo mentre era in viaggio su un treno. A giugno e a luglio dello stesso anno ci furono altri due tentativi infruttuosi di spegnere la vita del futuro führer tedesco.

È l’inizio di un’odissea che ha dell’incredibile. Nei successivi cinque anni, si susseguirono ben 16 attentati (tra cui un tentativo di gettargli del veleno attraverso un mazzo di fiori). A quel tempo, Adolf Hitler era già divenuto prima Cancelliere del Reich (nel 1933) e quindi dittatore con il titolo che conosciamo di führer.

Nel 1938, durante un corteo a Monaco, un killer francese di ventidue anni riesce a superare indenne le perquisizioni e ad avvicinarsi al dittatore con una pistola semiautomatica; si tratta però di una pistola imprecisa, anche considerando che soltanto 8 metri separano l’arma dalla vittima. Il problema, caso mai, è la sfortuna: al momento dello sparo, la folla solleva le mani per il saluto e il killer è costretto a rinunciare. Non molto tempo dopo, il francese viene catturato, torturato e condannato a morte.

È il ventesimo tentativo di uccidere Hitler.

A prova di bomba

Trascorre un solo anno dal successivo attentato. È il 1939 e un falegname fabbrica una bomba a orologeria, intenzionato a farla scoppiare durante il discorso del führer in una birreria di Monaco.
Il progetto è il frutto di una lunga preparazione. Per l’intero autunno precedente, il falegname ha scolpito un pilastro interno alla birreria, coprendolo durante l’alba per nasconderlo alla vista. Come ulteriore precauzione, la bomba viene inserita in una cassa imbottita di sughero per smorzare il “tic tac” compromettente dell’orologio.

L’8 novembre, come da programma, Hitler entra nella birreria. Ma inspiegabilmente sposta l’orario dalle ore 21 alle ore 20. La bomba è programmata per esplodere alle ore 21.20 e, nonostante l’anticipo, il falegname non avrebbe nulla da temere, visto che solitamente il dittatore tedesco prolunga i discorsi per oltre tre ore.

Così non accade in quella sera. Hitler termina il soliloquio dopo un’ora. La bomba esplode, provocando 8 morti e 60 feriti. Ma il führer è del tutto illeso.

Nello stesso anno, alcuni polacchi cercano di far esplodere del tritolo. Questa nuova “bomba” non fa il suo dovere e rifiuta di esplodere. È il ventitreesimo attentato.

Protetto dalla sorte

Seguono altri attentati di minore importanza, da parte di esponenti di altre nazionalità (tanto per capire quanto Hitler fosse “amato” all’estero). Il ventiseiesimo tentativo – fallito – fu perpetrato da un’insospettabile attrice russa.

Adolf capisce, però, di doversi mettere al sicuro prima che la buona stella decida di abbandonarlo e ordina un aumento massiccio della sorveglianza, fino ad arrivare a rifiutare qualsiasi tipo di contatto che non sia tra i membri nazisti. Il suo comportamento dittatorio e le azioni criminose non accolgono il favore di tutto il suo popolo, al contrario. Nel 1943 il generale Henning von Tresckow, profondamente avverso al nazismo, decide di entrare in azione.

Il 14 marzo, assieme a Fabian von Schlabrendorff, decide di piazzare una bomba sull’aereo che avrebbe dovuto trasportare Hitler. Si tratta di un esplosivo di stampo inglese, a innesco chimico. Per non destare sospetti, l’ordigno viene nascosto in una scatola di bottiglie di liquore Cointreau, portata dal colonnello Heinz Brandt. Tutto sembra perfettamente predisposto. La sorte, però, allunga ancora una volta la mano e impedisce alla bomba di esplodere. Il motivo non è certo, ma è probabile che l’innesco chimico si sia bloccato a causa della bassa temperatura della stiva.

I sovversivi non si danno per vinti e il 21 marzo ci riprovano a Berlino al museo di Zeughaus. Il colonnello Gersdorff infila un ordigno con timer di dieci minuti nel cappotto e si offre per una missione suicida, visto che quel giorno doveva incontrare Hitler. Ma ancora una volta, il dittatore riduce il tempo di visita (forse dopo aver percepito l’ansia del colonnello) e Gersdorff è costretto a ritirarsi.

Seguono una serie di attentati operati dai nazisti, nessuno portato veramente a termine. Fa riflettere, comunque, il fatto che nessuno dei nazisti coinvolti e che hanno rifiutato di appoggiare Tresckow abbia poi deciso di tradire e denunciare il generale.

L’Operazione Valkiria: un incredibile fallimento

Arriva l’estate del 1944. Il 20 luglio prende ufficialmente piede quello che sarà ricordato come il più diretto tentativo di eliminare Adolf Hitler: l’Operazione Valkiria, resa celebre da un film omonimo.

Claus von Stauffenberg è un colonello, invalido di guerra, e dalla sua parte ha diversi ufficiali tedeschi anti-nazisti, tra cui il generale Ludwig Beck e il generale Treschkow (che come abbiamo visto prima, aveva tentato inutilmente di uccidere il dittatore).

L’attacco avviene alla “tana del lupo”, un quartier generale di Hitler estremamente difeso e situato a Rastenburg, in Prussia. L’inizio non è dei migliori, perché nella fretta Stauffenberg riesce ad armare solo una delle due bombe previste e, inoltre, a causa del caldo la riunione si ebbe in un edificio in legno anziché nel bunker. Ma non bastò a scoraggiare gli ufficiali: la bomba fu messa in una valigetta e posizionata nella stanza accanto al führer.

Stauffenberg abbandona la riunione con una scusa. Ed ecco il “tocco del diavolo”: l’ufficiale Heinz Brandt, per osservare meglio la mappa sul tavolo, sposta la valigetta di qualche metro. La bomba esplode. Quattro persone vengono uccise, compreso Heinz Brandt. Ma Hitler se la cava con delle lievi lesioni.

Gli studi postumi evidenziarono che fu proprio grazie allo spostamento della valigetta a salvare la vita del dittatore: il tavolo di quercia pesante ebbe il compito di attutire l’esplosione proprio nella direzione in cui si trovava Hitler.

Un patto con il diavolo

Se Stauffenberg avesse avuto il tempo di armare la seconda bomba, se entrambe le bombe fossero esplose o se la valigetta non fosse stata spostata, per Hitler non ci sarebbe stato scampo. Se l’innesco chimico nell’aereo non si fosse guastato, se Gersdorff fosse riuscito a immolarsi o se il discorso del 1938 si fosse prolungato come al solito nella birreria, la dittatura in Germania sarebbe finita prematuramente.

Troppe coincidenze? Hitler era forse protetto da qualche divinità o da una delle oscure magie esoteriche di cui tanto erano interessati i nazisti? Forse, o forse in gran parte dei casi le precauzioni e la paranoia di Adolf furono determinanti.

Il quarantaduesimo e ultimo tentativo fu attuato quando Hitler era già sul punto di essere sconfitto. Il führer aveva la folle idea di distruggere tutti gli edifici della Germania per non lasciare niente in mano agli alleati. È allora che un colonnello cerca di ucciderlo, immettendogli gas nel bunker: ma all’ultimo momento, è costretto a rinunciare.

Dopo numerosi tentativi di assassinio, sarà Hitler stesso a decidere della sua sorte: suicidandosi nel suo bunker prima di essere preso.

Fonti principali
«History Channel», puntata del 22 gennaio 2011
Wikipedia - La biografia di Adolf Hitler
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