Ogni anno l’uomo causa la morte di miliardi di uccelli. E a malapena se ne accorge

20 Giugno 2017 | Animali e piante

Una questione di rispetto?

La specie umana possiede alcune doti che la rendono unica al mondo. Per esempio il ragionamento logico, la capacità di costruire opere maestose o l’abilità di mettere ordine nel disordine – o disordine nell’ordine, un’impresa che ci riesce meglio di qualsiasi altra creatura istintiva.

C’è una caratteristica, però, che ci fa risaltare in modo particolare: la mancanza di rispetto verso le altre specie viventi, animali o vegetali che siano. Per aumentare il nostro confort siamo disposti a sradicare miglia di foreste. Preferiamo alcune specie animali ad altre, dimenticando che non esiste granché differenza tra una vita e un’altra (trattereste un rospo in via di estinzione con la stessa cura del vostro cane o del vostro gatto?).

Ci preoccupiamo di spendere migliaia di euro per la cura di uno solo dei nostri animali domestici e non di salvaguardare le api, ormai in stato di seria minaccia, che sono il fulcro della proliferazione dei fiori e di tutto quello che ne comporta, noi compresi.

Se lo ritenete un pensiero cinico, troppo tirato o troppo diretto, è probabile che non vi siate mai informati in profondità sul rapporto tra uomo e ambiente. Abbiamo già visto i disastrosi effetti della luce artificiale o le ancora più terribili conseguenze della plastica negli oceani.

Restando nel regno animale, comunque, non dovete allontanarvi troppo da casa vostra. Vi basta alzare gli occhi al cielo e notare quanti pochi uccelli volino sopra le vostre teste. Quel cielo sgombro si può definire con una parola: avicidio. Detto in altri termini, lo sterminio dei pennuti che perdura da almeno due secoli.
Alan Weisman ha compiuto una meticolosa ricerca a riguardo e ha riportato dei dati precisi nel suo famoso libro Il mondo senza di noi.

La colomba migratrice: uno sterminio di massa

Il più famoso è il dodo, scomparso dalle isole Mauritius a causa dei coloni olandesi e portoghesi che lo cucinarono per circa un secolo. Il grassoccio volatile era troppo goffo e fiducioso per fuggire dalle bastonate. Ma potremmo citare anche l’alca impenne, estinta dai cacciatori del Nord America, o il moa-nalo (simile a un’anatra gigante), scomparso dalle Hawaii sempre per una caccia esasperata.

Il caso più orribile riguarda però la colomba migratrice americana. Si stima che nel 1700 fosse l’uccello più abbondante sulla Terra e che passasse in stormi lunghi 500 km (!), denso di miliardi di elementi. Doveva essere uno spettacolo straordinario, capace di oscurare letteralmente il cielo mentre passavano per ore. Poi arrivò l’essere umano. Il primo passo fu tagliare le foreste e quindi togliere le ghiande e le bacche che nutriva questa folta schiera mentre migrava. Il secondo passo furono le armi da fuoco, che miravano nel gruppo di passaggio e abbattevano migliaia di individui in breve tempo.

Lo sterminio iniziò nel secolo ‘800, favorito dal disbocamento e dal clima avverso. Quando i cacciatori si resero conto che il loro numero era diminuito di molto, il loro pensiero non andò alla possibile estinzione, ma alla paura che la loro fonte di guadagno scomparisse. Così la caccia si fece ancora più serrata: si sparava più in fretta prima che lo facessero gli altri. Si inventarono addirittura dei sistemi crudeli per attirare gli stormi, come accecare dei piccioni per richiamare gli altri.

In breve rimase qualche colombo migratore soltanto negli zoo. Nel 1914, l’ultimo esemplare di colomba migratrice morì senza una discendenza.

Arriva l’elettricità, una piaga letale per i migratori

La migrazione degli uccelli è un fenomeno straordinario. Gli stormi si muovono come un’unica creatura, in formazione ordinata, e non perdono mai l’orientamento. Quando arriva il brutto tempo, non si fermano e seguono la luce per non perdersi.

La luce naturale per eccellenza, di notte, è la Luna. Ma da quando l’elettricità è arrivata ovunque, i migratori vengono attirati da un tipo di luce più allettante: i piloni dei trasmettitori, che attirano alcuni tipi di uccelli (come i bobolink) grazie alla loro luce rossa. Perso l’orientamento, confusi, gli uccelli girano in tondo e vengono falciati dai tiranti dei piloni.

Una sorte forse peggiore spetta a quei maestosi volatili dalle larghe ali, che sono costretti a passare sotto ai cavi delle linee elettriche presenti tra i campi: aironi, falchi, aquile e fenicotteri finiscono spesso per strisciare le ali sui trasformatori non isolati. La scossa è dolorosa, ma lo è di più se la zampa o il becco si fondono sul colpo o se le penne si incendiano.

In generale, il rischio di cozzare contro le linee elettriche è molto alto. Se pensate che una soluzione sia eliminare i piloni delle linee, però, ricredetevi: in alcuni casi sono l’unico appoggio possibile per gli uccelli migratori, che passando per l’Africa e l’America tropicale si ritrovano ad attraversare chilometri di terreno senza alberi dove appollaiarsi, disboscato per lasciare il posto all’agricoltura.

I numeri: milioni di uccelli uccisi ogni anno da auto e finestre

Facciamo una stima del numero di pennuti che ogni anno muoiono per mano dell’uomo, diretta o indiretta. Per adesso limitiamoci agli Stati Uniti d’America.

Secondo due agenzie governative americane, sono tra i 60 e gli 80 milioni gli uccelli che ogni anno muoiono schiantandosi contro i veicoli che scorrono lungo le autostrade.

Daniel Klem, ornitologo del Muhlenberg College, scoprì che il pericolo peggiore nelle città sono le finestre degli edifici. I volatili non riescono a notarle e finiscono per schiantarsi contro i vetri, spezzandosi il collo nel tentativo di superarli. I grattacieli sempre più alti hanno aumentato a dismisura le vittime. Nel 1990 Klem stimò 100 milioni di vittime all’anno, ma a oggi ritiene che il numero si sia moltiplicato per dieci volte: un miliardo di uccelli uccisi. E stiamo parlando dei soli Stati Uniti d’America.

Aggiungiamo i circa 120 milioni di pennuti uccisi ogni anno per la caccia.

Infine, non dimentichiamoci di un predatore domestico che uccide per istinto e per il piacere di farlo: il gatto. La sua natura è di andare a caccia e di giocare con le prede per mantenersi attivo. Quest’attività può andare bene per i felini selvaggi, dove la caccia è questione di sopravvivenza, ma con l’aumento della popolazione umana sono aumentati anche i gatti domestici e randagi (e molto più in fretta dell’uomo). Dal 1970 al 1990 i gatti sono raddoppiati di numero, arrivando a 60 milioni; e tra questi non si contano i gatti randagi.

Si è stimato che nel solo Wisconsin, e soltanto nelle zone campagnole, i gatti randagi uccidevano un numero imprecisato di uccelli tra i 7,8 milioni e i 219 milioni all’anno. Anche non conoscendo il numero, se lo estendiamo a tutti gli USA stiamo parlando di miliardi di vittime.

A questo punto, se tiriamo le somme, abbiamo dei numeri molto approssimati, ma che negli Stati Uniti si attestano su almeno 1-1,5 miliardi di uccelli morti ogni anno come conseguenza della presenza dell’essere umano. Considerate che negli USA ci sono circa 20 miliardi di uccelli in libertà e avrete un’idea di quanto sia spaventoso il tasso di mortalità.

Adesso immaginate di estendere questi numeri al resto del mondo.

Fonti principali
Alan Weisman, «Il mondo senza di noi»
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