È un fatto noto che i termini di attrazione per gli uomini e le donne siano diversi. Lo stesso vale per quanto riguarda la fase successiva, l’innamoramento, dove nei due sessi cambiano i tempi e i modi di agire.

Ma fino a che punto si spinge questa diversità? Ce lo dice in particolare uno studio di brain imaging, che ha scansionato l’attività del cervello mentre le coppie innamorate guardavano la foto dei loro partner.

Il cervello degli innamorati

Negli uomini innamorati si attivavano i centri dell’elaborazione visiva e dell’eccitazione sessuale; quindi la vista dell’amata scatena nel maschio un desiderio sessuale. Come ha affermato una delle ricercatrici coinvolte, non c’è da stupirsi che gli uomini cerchino la pornografia visiva e che le donne tendano a «mettersi in vetrina», spendendo ore per migliorare il loro aspetto.

Nelle donne, invece, si attivano delle aree completamente diverse, quelle dedicate alla memoria e all’attenzione (per la precisione, il nucleo caudato e il setto). In altre parole, la donna valuta con più attenzione il partner, si getta meno alla “cieca” quando deve iniziare una relazione e impiega più tempo a innamorarsi.

Riassumendo con una frase molto schietta: «Gli uomini cercano oggetti sessuali, le donne oggetti di potere». Eppure non sono queste le caratteristiche più importanti, perché i dati dimostrano che sia per gli uomini sia per le donne contano di più la personalità e il carattere — e qua entriamo in un argomento davvero complesso, che dipende dal soggetto e dall’ambiente in cui è cresciuto. La valutazione “istintiva”, comunque, va in secondo piano rispetto a quella “razionale”.

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Chi era Leibniz

Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) è stato un uomo dalla mente eccezionale. È stato definito uno dei pochi geni universali esistiti nella storia dell’umanità, cioè una persona con una sapienza e una conoscenza fuori dal comune e che copre numerosi campi. Ha ottenuto la laurea in filosofia a 17 anni e un dottorato in legge a 20.

I suoi contributi nella matematica li usiamo ancora oggi e vale la pena almeno di citarli: ha definito il significato di funzione, ha messo i primi paletti sugli integrali e sul metodo induttivo, cioè al sistema per trovare una regola precisa partendo da casi singoli particolari. Ha persino creato un prototipo di calcolatrice e ha messo le basi per quella che oggi è l’informatica.

Ma Leibniz ha avuto un enorme ruolo anche nel pensiero filosofico, che è l’argomento che ci interessa in questo articolo. Tra le altre idee, grazie proprio al suo pensiero logico era arrivato a convincersi che Dio esistesse senza alcun dubbio. Vediamo di capire da dove sia nata questa sua convinzione.

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Sappiamo che l’evoluzione procede per tentativi, con l’unico scopo di far sopravvivere le specie più adatte e di estinguere le altre. Il guaio è che la selezione naturale non si preoccupa di eliminare anche i difetti o le parti non più necessarie degli esemplari che sopravvivono: se non sono un ostacolo alla vita, li lascia lì, ad accumularsi in un groviglio.

Imperfetti e fieri di esserlo

Ed ecco che con il tempo anche l’essere umano ne sta pagando il prezzo. Ci vantiamo spesso di quanto siamo speciali e straordinari, ma la realtà è che il nostro corpo ha pregi e difetti come qualsiasi altro animale.

Abbiamo già visto diversi esempi che dovrebbero darci l’idea di quanto siamo imperfetti: per esempio, i nostri organi interni ci suggeriscono che non siamo adatti a mangiare carne, eppure ci siamo evoluti onnivori (la carne ci ha permesso di sviluppare un cervello più grande). Abbiamo dei comportamenti sociali che vanno contro i nostri stessi interessi. Per non parlare di dove la tecnologia ci sta portando, rischiando di trasformarci in piccoli mostri.

Ho descritto uno scenario peggiore di quanto non sia, però dovrebbe farci capire che l’evoluzione non ci ha reso perfetti, per il semplice fatto che renderci perfetti non è il suo scopo. Il suo obiettivo è solo di farci sopravvivere. Renderci bipedi, per esempio, ha richiesto 4 milioni di anni di tentativi e di fallimenti.

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Il 27 ottobre 1977, la polizia di Columbus, in Ohio, arresta il ventiduenne Billy Milligan con l’accusa di aver rapinato, rapito e violentato tre studentesse all’interno del campus universitario. Le prove contro di lui sono schiaccianti, ma a fine di tutta la storia sarà assolto per infermità mentale.

William Stanley Milligan (questo il suo nome intero) era affetto da un disturbo dissociativo dell’identità davvero unico: dentro di lui convivevano ben 23 personalità multiple, che a volte lottavano tra loro per uscire e altre volte collaboravano o persino parlavano tra loro. A queste personalità se ne deve aggiungere un’altra, chiamata «Maestro», che nella pratica era la fusione di tutte le altre 23 personalità.

Il libro e la biografia

Troppa gente in un’unica testa

Il caso di Billy Milligan ha avuto una risonanza enorme dopo gli anni ’70 ed è ritornato alla ribalta di recente con il film Split. Il film, però, si è limitato a prendere spunto da Billy e non ha niente a che vedere con la sua reale biografia, che invece potete leggere nel libro Una stanza piena di gente di Daniel Keyes.

Quando ho cominciato a leggerlo, la mia prima impressione è stata che dovesse essere per forza un romanzo di fantasia. Il libro ha una trama così avvincente e ben scritta, che sembra un racconto psicologico esaltato dall’immaginazione dell’autore. In seguito mi sono informato e ho scoperto che, in effetti, dentro la testa di Billy era davvero così che le personalità interagivano tra loro.

L’autore ha scritto la biografia con la collaborazione diretta del «Maestro», la personalità di Billy che fondeva (e ricordava) tutte le altre. L’opera si è guadagnata una nomination al prestigioso Edgard Award e ha vinto due premi nel 1986 e nel 1993.

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Una delle domande più difficili che potete fare a un giocatore è: «Cos’è il gioco di ruolo?». Perché, a tutti gli effetti, si fa prima a dire cosa non è.

Il numero di partecipanti cresce di anno in anno. All’interno trovate di tutto: immaginazione, interpretazione, divertimento, serietà, strategia, casualità e (in tempi più moderni) l’uso della tecnologia. Aiuta a tenere la mente attiva e a fare gruppo, a volte vi costringe a imparare la matematica e a usare il pensiero laterale.

Se dobbiamo descriverlo in breve, il «gioco di ruolo» (abbreviato con «GdR») è un gioco di interpretazione: i giocatori immaginano un mondo — che creano da zero con la fantasia o prendendo spunto dal mondo reale — e quindi si immedesimano in un personaggio da interpretare all’interno di questa ambientazione. Detto in un altro modo, si trasformano nel personaggio per qualche ora e fingono di vivere in quel mondo immaginario.

Non fate l’errore di considerarlo un gioco per bambini. Tenete conto che ci sono adulti al di sopra dei 40 anni che continuano a giocarci e che si tratta di un settore con un fatturato di milioni di euro!

Quello del GdR è un universo davvero enorme e in continua espansione, per cui con questo articolo posso solo toccare la sua superficie. Il mio scopo è di mostrarvi come funziona (se non lo conoscete), le sue potenzialità e l’importanza che può avere nello sviluppo dei vostri figli. Ma prima di tutto è bene fare una panoramica sui vantaggi e sulle critiche.

Utilità dei giochi di ruolo e critiche

Nutrimento per la mente

I giocatori devono non solo interpretare il loro personaggio, ma anche farlo interagire con il mondo attorno. Devono pensare, inventare, elaborare strategie, parlare e indagare.

L’utilità di un simile gioco nella mente dei ragazzi (e degli adulti) si può intuire. Innanzitutto, sviluppa il senso di gruppo e la socialità. Migliora l’oratoria e attiva aree del cervello che normalmente si usano poco. Per chi è poco portato al dialogo è un enorme aiuto, perché porta a interagire senza esporsi: infatti si interpreta un personaggio, quindi non ci si mette “in gioco direttamente”, ma nello stesso tempo si impara a dialogare. Aumenta l’autostima, la percezione di sé: si esplora sé stessi.

In secondo luogo, attiva aree del cervello predisposte alla memoria e alla creatività. Non tralasciamo poi il fattore divertimento: permette di trascorrere qualche ora in compagnia degli amici. Questo porta a diminuire lo stress, a staccare dalla frenetica vita quotidiana, e il suo effetto continua anche a fine sessione, perché i giocatori ne parleranno “fuori gioco”, decidendo come muoversi alla prossima sessione o com’è andata quella appena giocata.

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Definizioni di libertà e schiavitù

L’enciclopedia online Treccani definisce libertà:

La facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo.

Metre la schiavitù:

[È la] condizione propria di chi è giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario.

A primo impatto, sembra facile distinguere i concetti di libertà e di schiavitù. Chi può fare quello che vuole e ha diritti davanti alla legge, è libero; chi è costretto a fare quello che vuole un altro, è schiavo.

Cos’è la libertà nei tempi moderni?

Già leggendo le poche righe che ho appena scritto e le definizioni del Treccani, dovrebbero esservi venuti dei dubbi. Voi vi sentite liberi o schiavi? In fin dei conti ci sono alcuni aspetti della nostra vita che eviteremmo volentieri e che siamo obbligati a rispettare.

Per esempio, a meno di essere abbastanza ricchi da permetterci di abbandonare la professione a piacere, siamo spesso costretti a scegliere dei lavori noiosi per vivere e non lo facciamo per nostra scelta o comunque preferiremmo occupare il tempo in altri modi. Pensiamo poi ai vari obblighi che ogni Stato ci impone: le tasse (alle quali quasi mai corrisponde l’equivalente servizio), le disuguaglianze sociali dovute in buona parte alle leggi sbagliate, la burocrazia che non ci fa dormire la notte… Ma da qua a considerarci “schiavi” c’è una bella differenza — anche perché «così fanno tutti».

E cosa dire del figlio minorenne che vorrebbe diventare musicista, ma si vede negare l’autorizzazione dai genitori che lo vorrebbero invece medico? Magari considerereste sbagliato questo obbligo, ma di sicuro non pensereste che il figlio sia uno schiavo. Anche perché dal punto di vista legale, i genitori sono responsabili di lui fino a quando non può mantenersi (interpretando, si può considerare il figlio come una “proprietà privata” dei genitori fino a quando non diventa autonomo, nonostante abbia i suoi diritti umani e legali).

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Negli ultimi anni è tornato a farsi sentire il tema delle esplorazioni spaziali, che era rimasto “addormentato” a lungo dal punto di vista mediatico. In larga parte il merito è dovuto agli investimenti di aziende private, come la SpaceX di Elon Musk, che ha rilanciato l’argomento della possibile colonizzazione di Marte, ma c’entra molto anche l’andamento economico globale e la psicologia del popolo (diciamo che i tempi sono maturi per un ritorno sul campo).

I sostenitori e gli oppositori

Detto questo, il mondo si divide come sempre in due fazioni: c’è chi vede con entusiasmo il progresso spaziale e chi invece lo cataloga come uno spreco di risorse che potrebbero essere destinate a qualcosa di più importante e umanitario.

Serve alzare gli occhi al cielo?

Del secondo gruppo fa parte anche chi teme l’aumento della spazzatura attorno all’orbita della Terra (che, ricordiamolo, è davvero un problema da tenere sotto controllo). Ma la critica più grande riguarda il fatto che l’industria spaziale «è inutile per il progresso sulla Terra, ne possiamo fare a meno ed è soltanto una mania di grandezza».

Si è affermato spesso che le risorse sul nostro pianeta sono limitate, al ritmo con cui le consumiamo le finiremo in pochi decenni o secoli, e che l’unico modo per permettere alla specie umana di sopravvivere è cercarci dei nuovi pianeti in cui espanderci. Per chi è contrario, naturalmente, si tratta di un pretesto debole: a cosa serve espandersi nello spazio, se non riusciamo nemmeno a regolarci sulla Terra? E anche se fosse, quanto tempo e risorse dovremmo impiegare prima di colonizzare un mondo esterno?

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Lo spazio è un ambiente ostile per gli esseri umani, su questo c’è poco da sindacare. Persino con la tecnologia che oggi abbiamo a disposizione, una lunga permanenza nello spazio provocherebbe dei danni quasi certi alla fertilità degli astronauti.

Le difficoltà di un viaggio spaziale sono così tante che a malapena riusciamo a capire quali potrebbero essere le reali conseguenze sul corpo e sulla psicologia umani. Forse un giorno le nanotecnologie potranno esserci d’aiuto, spingendoci oltre i nostri limiti e trasformandoci in creature più adatte allo spazio, ma se anche dovesse succedere questo scenario richiederà ancora qualche decennio (più probabilmente qualche secolo).

Il problema politico ed economico

Il problema di colonizzare nuovi pianeti non è legato solo alla nostra natura di terrestri, ma anche alla politica. Anche se avremmo già a disposizione i mezzi e le idee per dare inizio a una corsa allo spazio (o per costruire, per esempio, delle stazioni spaziali) manca la volontà di farlo da parte delle Nazioni e dobbiamo affidarci ai privati per realizzare qualcosa “di veloce”.

La conseguenza è che la colonizzazione allo spazio sta procedendo lentamente, troppo lentamente, e potrebbe bloccarsi all’improvviso per colpa di una decisione. Inoltre, questi continui rallentamenti ci impediscono di concentrarci sul tipo di tecnologia che sarebbe indispensabile per le future colonizzazioni.

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Introduzione

Che il razzismo sia sempre esistito, non è un segreto. La paura nei confronti del “diverso” si tramanda da generazioni sin dai tempi dei nostri primi antenati, quando chiunque non appartenesse al proprio clan rappresentava un potenziale pericolo.

Oggi il razzismo non ha senso di esistere ed è sufficiente un po’ di logica per capire i motivi, soprattutto considerando la globalizzazione che sta uniformando le culture, ma è a tal punto radicato nel nostro cervello che persino il più aperto di pensiero prima o poi si trova a provare del disagio accanto a uno straniero. La differenza sta, appunto, nel modo in cui affrontiamo questo disagio.

Chi è Noam Chomsky

Noam Chomsky è un famoso linguista e un opinionista che ha scritto decine di saggi, molto attivo in campo politico. È noto per la sua vasta conoscenza sui motivi storici che hanno portato certe Nazioni ad arricchirsi a danno di altri Stati, che spesso sono stati ridotti alla povertà assoluta (con tutte le conseguenze che ne derivano). Anche se a volte le sue critiche sono aspre e mirate quasi sempre contro il governo degli Stati Uniti, è un uomo che parla dopo essersi informato e in ogni caso ha un’ampia cultura alle spalle.

Nel suo libro Così va il mondo, dà una propria interpretazione sull’origine del razzismo che ha attirato particolarmente il mio interesse. Innanzitutto, fa un riassunto della situazione del mondo molto chiaro e quindi dà una propria idea sul perché il razzismo sia così radicato.

Riporto il capitolo passo per passo assieme alle domande che gli vengono poste. La suddivisione in due sezioni è mia per rendere la lettura più scorrevole e sono mie anche le parti evidenziate in grassetto, ma il testo del libro non è stato alterato. Se non avete tempo di leggerlo tutto, date almeno un’occhiata alla domanda finale.

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[Questo articolo è comparso per la prima volta su Scrivere Libri]

Che leggere faccia bene lo sappiamo e non solo perché ce lo dicono gli esperti di neuroscienza: ce ne rendiamo conto per le sensazioni che proviamo sul momento e per quello che ci resta in seguito. Forse però non ci accorgiamo di quali effetti positivi abbia un libro sul nostro cervello e per quanto tempo si prolunghino.

Anche se non sappiamo di preciso la durata, ci sono stati studi sul campo che hanno dimostrato come i risultati si protraggano per giorni; e questo non dipende da cosa si legge, sebbene gli effetti migliori si abbiano sui nostri libri preferiti.

Ho raccolto numerose fonti sugli effetti della lettura e ho riassunto i punti qui sotto. La conclusione è evidente: leggere fa bene, non è un luogo comune, e vista la sua importanza il consiglio è di mettere un libro tra le mani di vostro figlio già da piccolo, partendo dalle favole illustrate. Con il tempo ci penserà da solo a coltivare la sua passione!

Combatte lo stress

I ricercatori dell’Università del Sussex hanno concluso che con 6 minuti di lettura al giorno possiamo ridurre lo stress addirittura del 68%. È un effetto persino più potente della musica (riduce lo stress del 61%) o di una passeggiata benefica (42%).

Il motivo? La lettura inganna il nostro corpo, perché porta il cervello ha concentrarsi meno sui muscoli e sui nervi e quindi a rilassarsi.

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