Quando manca la tecnologia

Vi state muovendo in macchina verso una destinazione. Il vostro prezioso navigatore smette di funzionare e non avete una mappa a portata di mano; oppure vi trovate davanti una strada chiusa e il navigatore non trova vie alternative per aggirarla. A parte il fatto che studiarsi le strade da percorrere prima di partire è una buona prassi – proprio per evitare problemi del genere – se avete un’idea approssimativa del punto cardinale in cui si trova la destinazione potrebbe essere utile conoscere la posizione del Nord.

Quello appena presentato si tratta di un esempio che è facile da risolvere (basta chiedere informazioni in giro), ma sapersi orientare senza l’uso di strumenti troppo tecnologici è sempre cosa utile. Immaginate di perdervi in un bosco durante un’escursione: se sapete da quale punto cardinale siete provenuti, potete ritornare senza problemi (anche se, per un’escursione, si presume che abbiate con voi una bussola).

Ci sono vari modi per orientarsi. Uno di questi è fare uso di un semplice orologio da polso. Vediamo come è possibile ricavare il nord geografico grazie alle lancette di un orologio.

In mancanza di un orologio ci sono altri sistemi per conoscere l’ora, che in questo articolo non tratteremo, per esempio osservando la posizione del Sole, analizzando la Luna o cercando la Stella Polare. In gran parte di questi casi, però, leggere l’ora diventa inutile perché è possibile determinare il Nord in altri sistemi. Qui vi illustro semplicemente un sistema rapido per crearvi “una bussola”.

L’orologio come una bussola – Trovare il Nord leggendo le lancette

Il disegno qui sopra mostra in modo chiaro come trasformare il nostro orologio in una bussola. Se avete al polso un orologio digitale, naturalmente, vi basta immaginare la posizione delle lancette come in un orologio analogico e seguire la stessa procedura.

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Una teoria per tutto

Si parla spesso, nella scienza, del desiderio di trovare una teoria che unifichi tutte le equazioni fisiche che conosciamo. Gli scienziati cioè stanno cercando una teoria o una formula capace di fungere da “punto di partenza” per descrivere tutte le particelle e tutte le forze fondamentali che hanno già dimostrato.

La ricerca non è per niente facile, soprattutto perché deve essere dimostrata senza possibilità di errore per poter essere considerata ufficiale. A ogni modo alcuni fisici si sono sbilanciati verso una direzione: la teoria delle stringhe.

Ma cos’è la teoria delle stringhe e perché se ne parla tanto? Tra tutti i documentari che ho visto e i libri che ho letto, una delle spiegazioni più efficaci è stata fatta dal fisico Brian Greene durante una breve conferenza. Conciso, divertente e ironico in certi punti, con un modo di parlare che anche un inesperto riuscirebbe a seguire con un minimo sforzo.

Vi propongo il suo video in fondo all’articolo. Tutta la parte di spiegazioni che trovate di seguito si fonda sul video, estesa con qualche parola in più per rendere comprensibili alcuni termini o alcune nozioni scientifiche.

Cos’è la teoria delle superstringhe?

Il nome corretto sarebbe «teoria delle superstringhe», ma visto che si tratta di una visione particolare della «teoria delle stringhe» di seguito per semplicità continueremo a chiamarle in questo modo.

Partiamo da due concetti che conosciamo bene. Il primo è che tutti noi siamo fatti in tre dimensioni spaziali – altezza, larghezza, profondità – alla quale andrebbe aggiunta una quarta dimensione: il tempo.

Il secondo è che qualsiasi materiale che ci circonda – dalla terra alle nuvole, al corpo umano – è composto di molecole, le quali possono essere divise in particelle sempre più piccole: le molecole sono formate da atomi; gli atomi sono formati da elettroni, neutroni e protoni; neutroni e protoni sono composti da quark.
Come abbiamo visto in un altro articolo, anche i quark sono composti di particelle più piccole ma sembra che una forza particolare ci impedisca di dividerli.

La teoria delle stringhe parte da questi due concetti e li estende. Ci dice, in pratica:
– che le dimensioni spaziali attorno a noi non sono tre ma addirittura 10;
– che i quark sono formati da un insieme di filamenti di energia e non da comuni particelle più piccole;
– che riuscendo a manipolare l’energia di cui sopra avremmo la possibilità di creare la materia che desideriamo.

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Le opere di Charlie Chaplin

Charlie Chaplin ha fatto la storia del cinema, non soltanto per la struttura dei film che produceva, ma anche e soprattutto per i significati che vi includeva al loro interno: critiche, illusioni, speranze e un senso di rivoluzione, senza rinunciare alla comicità.

Tra i suoi capolavori si trova “Il grande dittatore” (in inglese The Great Dictator), opera del 1940 che ottenne cinque candidature al premio Oscar. La trama ricalca le paure di quei tempi. È ambientato ai tempi del nazismo e del fascismo, dove un barbiere ebreo (Chaplin) si ritrova a fare i conti con i problemi tipici del suo popolo e con l’amore difficile della giovane Hannah.

Il monologo al popolo

La trama la potete leggere sulla scheda di Wikipedia linkata sopra, ma qui sotto trovate il dialogo che ha reso il film tanto famoso: il monologo finale rivolto al popolo.

Vi consiglio di recuperare il video o di leggere il testo che ho trascritto subito sotto, perché senz’altro è qualcosa su cui riflettere e che dà un senso di esaltazione. Vi basti pensare che, proprio per la sua critica, il film fu vietato dai nazifascisti fino al 1945. La versione originale, naturalmente, è migliore del doppiaggio italiano, quindi per chi se la cava bene con l’inglese propongo anche il video autentico.

Al di là del fatto che siate a favore della democrazia o della dittatura, è un puro concentrato di critica sulla condizione dell’uomo e sull’idea che la società sia “guidata” da poteri ambigui, che ci rendono uguali e schiavi di un sistema corrotto e discutibile. Chaplin fa leva sul senso di solidarietà e di libertà – condizioni che anche oggi fanno fatica a emergere.

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La tappa di decompressione

I subacquei sanno bene che per immergersi senza rischio è necessario trascorrere un po’ di tempo a determinate profondità. Superato questo periodo – chiamato tappa di decompressione – possono riprendere a nuotare fino alla profondità successiva, dove dovranno trascorrere dell’altro tempo.

Il motivo della sosta è la presenza dei gas inerti nel nostro corpo, microbolle di azoto ed elio che devono essere espulse. In fisica sono due le leggi che ci aiutano a capire come funziona:

Un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso.
– legge di Henry

La pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali, è uguale alla somma delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume.
– legge di Dalton (legge delle pressioni parziali)

In altre parole, il gas inerte cerca di compensare la pressione dell’acqua, ed è quindi indispensabile dare il tempo all’azoto di sciogliersi e ai nostri polmoni di farlo uscire. La profondità delle varie tappe di decompressione varia a seconda di quanto ci si immerge e della propria predisposizione fisica. In genere, comunque, per motivi di sicurezza i subacquei preferiscono fermarsi circa 5 minuti a 3-6 metri di profondità.

Una regola per evitare danni indesiderati è risalire gradualmente, nell’ordine di circa 9-10 metri al minuto. Un’altra cosa importante è lasciare al nostro corpo il tempo di “riposare” tra un’immersione e l’altra, tipicamente dalle 16 alle 24 ore.

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Quanto siamo ignoranti?

Lo affermavano Socrate e Platone: l’essere umano è ignorante e deve “risvegliarsi” da solo. E lo ha ribadito G.R. Stephenson, docente dell’Università di Stoccarda, in un libro diventato famoso anche in campo imprenditoriale.

L’ignoranza di cui si parla è intesa nel suo significato letterale («colui che ignora») e non certo come insulto. Il succo è questo: ognuno di noi è influenzato pesantemente dalla società che lo circonda. Le idee, il comportamento, i giudizi o pregiudizi che crediamo nostri in realtà sono un prodotto della società nel tempo. Per quanto possa sembrare difficile – e imbarazzante – da credere, quasi ognuno di noi vive come il riflesso della società moderna.

Se con Platone si parlava di filosofia, ed era quindi interpretabile, con Stephenson abbiamo invece una prova concreta. L’esperimento è stato eseguito con un gruppo di scimmie, ma non appena l’avrete letto fino in fondo vi renderete conto che è esattamente la situazione che ci si presenta davanti ogni giorno. Nel caso delle scimmie l’elemento che è causa del loro comportamento è la «paura». Per noi l’elemento scatenante è lo stesso, ma sotto un’altra chiave: «la paura di trasgredire alla legge».

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Uomo e natura

Sono stati diversi gli articoli che ho scritto a dimostrazione della potenza della natura e di quanto l’uomo si trovi impreparato a combatterla. Cito, per esempio, i sinkhole – le voragini che si aprono improvvisamente nel terreno – e la tempesta di ghiaccio che nel 1998 ha rischiato di congelare Montreal, una città del Canada.

Se nemmeno oggi, con la scienza che abbiamo, possiamo farvi fronte, figuriamoci al tempo del medioevo, quando gli uomini vedevano l’ira degli déi nelle manifestazioni delle catastrofi. E nel 536 d.C. giunse una catastrofe che se ricapitasse in tempi moderni metterebbe in ginocchio gran parte degli Stati del mondo.

Il Sole si eclissa: un anno di oscurità

Il primo segno della ribellione della natura fu l’oscuramento del Sole. Alcune mitologie antiche, per esempio quella dei norreni, raccontano che la fine dei tempi sarà segnata da un’eclissi di Sole che durerà anni e che farà piombare il mondo in una morsa di gelo. Forse fu un evento simile a quello accaduto nel 536 d.C. a dare vita a una leggenda tanto funesta.

Nel caso della nostra storia, il Sole non fu coinvolto da un’eclissi comune (cioè dovuta a una sovrapposizione con un corpo celeste), ma si trasformò in una pallida luce coperta da una cappa impenetrabile. Durò oltre un anno e provocò delle nevicate persino in estate.
Queste furono le parole del vescovo Zaccaria Scolastico:

Il Sole si oscurava di giorno così come la Luna di notte, mentre l’oceano era in tumulto con nebbie e vapori; dal 24 marzo di quell’anno al 24 giugno dell’anno successivo, ci furono freddo e neve in abbondanza, gli uccelli morivano, gli uomini erano in difficoltà.

Gli storici di quel tempo raccontano che il Sole assunse un colore bluastro, tanto da non gettare più ombre sul terreno.

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Come misurare la tossicità

Per determinare la potenza di un veleno negli animali, nelle piante e nelle sostanze in genere si misura la sua LD50 (acronimo per “Dose letale 50“): si tratta della dose necessaria a uccidere metà di una data popolazione (di solito di topi). Più nello specifico è la quantità di sostanza rapportata con il peso dell’animale, spesso espressa in milligrammi ogni 100 grammi di peso.

Ma questo sistema per stabilire la velenosità di una sostanza non è ottimale. A parte i motivi etici ed economici dei test, questa misurazione guarda l’effetto delle sostanze nel breve termine (si parla di tossicità acuta) e non sul lungo termine. La legge attualmente sta eliminando sperimentazioni simili, che comportano la morte di numerosi animali, in favore di tecniche meno invasive e che soprattutto non comprendano le cavie animali.

In ogni caso, i dati che seguono si basano sulle misurazioni di LD50.

Se dovessimo paragonare le dosi letali per un adulto umano di 90 kg dovremmo far rientrare nella classifica qualche altra sostanza, per esempio il Batrachotoxin, un veleno emesso da una specie di rana del Mesoamerica capace di uccidere con una quantità di soli 0,00012 grammi. Ricordiamo poi che diverse sostanze comunemente usate, se ingerite in grande quantità, possono essere altrettanto fatali: 18 grammi di caffè assunti in breve tempo non lasciano scampo – anche se una quantità simile di caffè è ben difficile da assumere involontariamente.

5. Mercurio

La tossicità di questa sostanza dipende dal tipo di mercurio che si prende in causa. Il mercurio puro è considerato meno tossico rispetto alla sua versione organica e inorganica, ma è comunque altamente velenoso.

Un esempio lo si è avuto nel tentativo di suicidio a opera di un assistente dentista, che ha spinto nelle vene 135 grammi di mercurio. Il tentativo non è andato a buon fine, ma da quel momento ha presentato problemi respiratori, tosse secca con sangue e tachicardia; il liquido, infatti, ha intaccato i polmoni, richiedendo oltre nove mesi di terapia.

Il mercurio nella forma di Dimethylmercury è però molto più velenoso: bastano 0,00015 grammi per portare alla morte.

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Definizione di estinzione di massa

Per estinzione di massa (chiamata nel tecnico transizione biotica) si intende la scomparsa di buona parte della vita sulla Terra in un periodo che dal punto di vista geologico è molto breve. Animali e piante dominanti cadono vittima di qualche catastrofe ambientale o cambiamento dell’ecosistema, e lasciano il posto a nuove specie che con il tempo diventeranno a loro volta dominanti.

Le specie animali e vegetali da sempre si estinguono per lasciare il posto a elementi che si adattano meglio all’ambiente, ma i geologi e i biologi hanno scoperto che nella storia della Terra si sono avute cinque grandi estinzioni di massa. In questi periodi, infatti, il numero delle famiglie biologiche scomparse è stato incredibilmente alto.

In questo articolo non tratterò delle scomparse più piccole (ma comunque apprezzabili) che avvennero nel periodo di riposo tra le varie estinzioni di massa maggiori.

450 milioni di anni fa: glaciazioni e raggi gamma

La prima estinzione di massa è avvenuta attorno a 450 milioni di anni fa, a cavallo tra i periodi geologici dell’Ordoviciano e del Siluriano. Sembra che la causa sia stata l’arrivo di glaciazioni e della conseguente riduzione dei mari, che prima hanno portato alla morte di varie specie marine e poi ha colpito il clima terrestre, raffreddandolo; un’altra tesi vede invece l’esplosione di una supernova come causa dell’estinzione, che avrebbe bombardato la Terra di raggi gamma.

In ogni caso, si calcola che circa l’85% tra invertebrati e pesci si siano estinti.

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Sommario

1. Diario di viaggio: Lago Maggiore – Orta San Giulio, Baveno, isola Bella.
2. Diario di viaggio: Lago Maggiore – Isola dei Pescatori, Verbania, Stresa

Isole Borromee: Isola dei Pescatori (o isola Superiore)

L’isola dei Pescatori (chiamata ufficialmente isola Superiore) è un piccolo antro turistico, denso di ristoranti, di bancarelle e di negozietti. È sempre affollato di gente in visita, oltre che dai residenti.

Dalla descrizione che vi ho appena offerto sembrerebbe un luogo da evitare, ma al contrario vi invito caldamente a visitarla. Si tratta di un luogo estremamente ameno. I vicoli, le case e le coste hanno un’aria particolare, che si differenzia da qualsiasi altro luogo sul Lago Maggiore.

Sarà l’aria che si respira, o forse le rocce che compongono le coste, o ancora la vista della città di Stresa sull’orizzonte, ma passeggiare su quest’isola dà un senso di rilassamento e di distacco, che porta persino a trascorrere delle ore seduti su una delle panchine o direttamente sui sassi erbosi della spiaggia.

Approfondimenti

Il sito ufficiale delle isole

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Sommario

1. Diario di viaggio: Lago Maggiore – Orta San Giulio, Baveno, isola Bella.
2. Diario di viaggio: Lago Maggiore – Isola dei Pescatori, Verbania, Stresa

Introduzione

Ci troviamo sul Lago Maggiore (chiamato anche Lago Verbano), il secondo bacino lacustre più grande d’Italia per estensione e il secondo più profondo. Si trova a metà tra Piemonte e Lombardia, e la sua forma allungata risale fin oltre l’Italia, raggiungendo i cantoni della Svizzera.

Nella mia breve vacanza ho avuto modo di visitare soltanto il lato piemontese del Lago Maggiore e sarà di questa zona che andremo a parlare. A causa del tempo atmosferico piuttosto anomalo in questo 2014, ho trascorso gran parte del tempo sotto la pioggia, in alcuni casi anche battente, che ha abbassato la temperatura sotto la media stagionale. Il maltempo, comunque, non ha influito più di tanto sulla mia vacanza.

Visto che il diario di viaggio è piuttosto lungo, divido l’articolo in due parti.

Informazioni generali

Periodo di riferimento: dal 18 al 21 agosto 2014 (3 notti)

Alloggio: Hotel Beau Rivage a Baveno

Clima: il clima di quest’anno è stato un’eccezione rispetto al solito, perché si è avuta un’estate piovosa con temperature basse fuori dalla norma. Generalmente, comunque, sul Lago Maggiore il clima estivo si assesta anche sui 30°C di giorno e sui 22°C di sera (con variazioni in base al luogo da visitare).

Come arrivare: prendere l’Autostrada A4 in direzione Milano. Dopo 154 km circa imboccare l’uscita per A8 verso “Varese/Aeroporto Malpensa/Gravellona T./Como/Chiasso” e, dopo circa 50 km, prendere l’uscita per “A26/E62” verso Gravellona. Per raggiungere Orta San Giulio, imboccare la SS229 in direzione di Via Panoramica.
Da Orta San Giulio, per arrivare a Baveno proseguire sulla SS229 e quindi voltare a destra verso la SS33, che è la strada costeggiante il Lago Maggiore.
Da Baveno, per arrivare a Stresa continuare sulla SS33 verso sud.

Percorso generale: Orta San Giulio – Baveno – Isole Borromee (isola Bella e isola dei Pescatori, o Superiore) – Stresa – Verbania

Orta San Giulio

Prima tappa del mio viaggio è il paesino di Orta San Giulio, sul lago d’Orta, appena qualche chilometro più a ovest del Lago Maggiore. Arrivarci è semplice e altrettanto semplice è raggiungere i parcheggi, ben indicati con la segnaletica.

Vale la pena visitare la parte storica del paesino, con le piccole vie interne che arrivano sin sulla costa del lago. Immancabile è poi la camminata sul lungolago: il sentiero è un po’ stretto, ma permette di scattare delle splendide foto.

Critica sui parcheggi

Nota importante per i parcheggi (e una doverosa critica): vi consiglio di usare i comodi parcheggi sotterranei a pagamento, che si trovano subito oltre al parcheggio esterno. Il parcheggio esterno, infatti, è soggetto a una sorta di “trucchetto” poco professionale: spesso i parchimetri per pagare il ticket sono fuori uso al momento dell’arrivo, mentre ritornano magicamente a funzionare durante il pomeriggio. Naturalmente le auto che al mattino hanno parcheggiato senza biglietto, impossibilitati ad acquistarlo, si ritrovano a fare i conti con la multa dei carabinieri.

Sembra una situazione che si ripete di frequente: è capitato ad alcuni miei conoscenti e ad altri con cui ho avuto modo di parlare. Se il parchimetro non è usabile, quindi, non lasciate l’auto nel parcheggio esterno, ma usufruite di quello sotterraneo.

(Questo mio avvertimento è valido per l’estate 2014: si augura che in futuro simili situazioni non si presentino.)

Approfondimenti

Il comune di Orta San Giulio

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