L’esperienza conta

«L’amore» è davvero un qualcosa di soggettivo?

Se chiedete a un adulto che cosa sia l’amore, potete raggruppare le risposte in due categorie:
– gli individui “emozionali” vi diranno che si tratta di un sentimento, a volte nobile e a volte insidioso, da cui comunque è difficile sfuggire;
– gli individui “logici” affermeranno che si tratta di semplice chimica, che è tanto violenta e capace di invadere il corpo da ottenebrare la mente.

In entrambi i casi, le risposte derivano dall’esperienza tipica di chi ha già trascorso qualche anno di vita. Ma cosa direbbero i bambini, che di esperienza ne hanno avuta ben poca, se chiedessimo loro cosa significa la parola «amore»?

Un gruppo di studiosi ha rivolto la domanda a bambini dai 4 agli 8 anni. Il risultato è che dai bambini non si smette mai di imparare, perché osservano il tutto da un punto di vista completamente diverso, che gli adulti spesso hanno dimenticato. Vedono i dettagli e non si perdono soltanto nell’insieme.

L’articolo originale (in inglese) lo trovate nelle fonti a fondo pagina: di seguito potete leggere la mia traduzione letterale. Le risposte vi sorprenderanno.

Che cosa significa “amore”?

“Quando mia nonna si ammalò di artrite, non era più capace di piegarsi e di dipingersi le unghie dei piedi. Così mio nonno lo fece per lei tutte le volte, anche quando lui stesso si ammalò di artrite alle mani. Questo è amore.”
[Rebecca, 8 anni]

“Amore è quando una ragazza mette il profumo e quando un ragazzo mette l’acqua di cologna e insieme escono e sentono il profumo dell’altro.”
[Karl , 5 anni]

“Amore è quando vai a mangiare e dai a qualcuno gran parte delle tue patatine fritte senza aspettarti che l’altro ti dia qualcuna delle sue.”
[Chrissy, 6 anni]

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Introduzione

La Terra non smette mai di stupirci. Può sembrare una frase fatta, ma in verità gli esseri umani raramente se ne rendono conto. Il motivo è semplice: la abitano da sempre e la percorrono in ogni momento, al punto che alcune meraviglie sono diventate “ordinaria amministrazione”. Altre caratteristiche sono meno evidenti e le possiamo avvertire solo grazie alla scienza.

Navigando per il web mi sono trovato tra le mani un’infografica che elenca 50 fatti sulla Terra e su quello che la circonda, che potrebbero strappare una certa meraviglia persino a chi già li conosceva: perché un’altra qualità dell’uomo è quella di «mettere da parte» per lasciare spazio alle novità e spesso dimentica di elementi che sarebbe bene, ogni tanto, riportare allo scoperto.

L’infografica la potete aprire su una nuova pagina cliccando su questo link (in inglese). In fondo avete un elenco delle fonti da cui sono stati recuperati i dati. Di seguito trovate la traduzione in italiano delle varie aree elencate, con qualche precisazione dove serve.

Spazio

L’International Space Station (ISS) è costata dai 36 ai 160 miliardi di dollari: l’oggetto celeste più costoso mai realizzato.

Il punto più lontano fotografato dalla terra dista quasi 6 miliardi di chilometri da noi.

I tardigradi sono capaci di sopravvivere nel vuoto dello spazio per un totale di 10 giorni…

… un periodo abissale, se contiamo che un essere umano può sperare di sopravvivere, nello spazio e senza protezione, per non più di 2 minuti (dopodiché il suo corpo diventa vittima di danni irreparabili).

L’aria inquinata dalla Cina è visibile dallo spazio. La Grande Muraglia cinese, invece, non è possibile vederla al di là dell’atmosfera.

Il giorno è formato da 24 ore? Niente di più falso. Un giorno ha la durata approssimativa di 23 ore 56 minuti e 4 secondi. La durata del giorno dipende dal tempo impiegato dalla Terra a ruotare lungo il suo asse. La rotazione rallenta con il trascorrere dei secoli, per cui anche la durata del giorno è in continuo cambiamento.

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Una capacità unica

È piccola, con una forma a campana che non supera il diametro di 5 millimetri. Vive nei mari e passa da otto tentacoli (quando è giovane) fino a circa novanta nello stadio adulto. Come gran parte degli idrozoi, nasce come polipo e si tramuta in seguito in medusa.

Il suo nome scientifico è Turritopsis nutricula, ma sarebbe più adatto chiamarla con il nome comune: «medusa immortale».

Non si tratta solo di un nome altisonante o di una metafora, perché questo piccolo animale marino è l’unico – in tutto il pianeta, almeno per quanto si conosce – a riuscire a ringiovanire una volta raggiunta l’età adulta; nella pratica, una volta raggiunto il massimo stadio di medusa, ritorna a essere un polipo e a ricrescere, fino a diventare di nuovo una medusa. E non lo fa una sola volta, ma infinitamente. Ecco perché non è un abuso definirlo «immortale».

Per correttezza, c’è da aggiungere che la medusa immortale è ancora allo studio e non si ha la conferma, quindi, che possa svolgere questo ringiovanimento fino alla fine dei tempi: potrebbe essere in qualche modo programmata per ringiovanire un certo numero di volte, magari perché nel processo perde una “parte di sè” (qualche informazione che, alla lunga, finisce per essere logorata in modo irrimediabile).

Resta il fatto che si tratta di un animale assolutamente unico e che, se studiato, potrebbe permettere all’uomo di capire un po’ più i meccanismi dell’evoluzione – e magari di creare per sé stesso un elisir di lunga vita.

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Introduzione

Quello che segue può essere descritto come un «fenomeno paranormale» o, meglio, un poltergeist. Sono sempre stato molto scettico su argomenti di “spiritismo”, visto che le prove certe mancano sempre, nonostante spesso entrino in gioco testimoni diretti (senza prove definitive) e fenomeni fisici apparentemente inspiegabili anche dagli esperti. Chi è più religioso, naturalmente, è più incline ad accettare il fenomeno come «opera del diavolo».

In questa storia ci sono tutti gli ingredienti – compresa una storia travagliata per il protagonista -, ma racchiude un elemento che la rende particolarmente interessante: la pioggia.

I numerosi miti legati alla pioggia

Facciamo una breve parentesi ed entriamo per un attimo nel mito. I miti antichi sono pieni di creature fantastiche in grado di portare la pioggia, specie se il loro umore è “nero”: alcune sirene, per esempio, avevano la fama di portare tempesta quando si arrabbiavano o si rattristavano – in genere con conseguenze poco piacevoli per i marinai che si avventuravano in mare.

Si tratta di un sistema per personificare le emozioni, per portarle allo stremo e rendere gli altri partecipi del proprio stato d’animo. In psicologia potremmo scrivere fogli e fogli sulle sirene – o su creature fantastiche simili -, anche perché sono state inventate da uomini lontani secoli da noi e con mentalità del tutto diversa. E sulla pioggia potremmo occupare una vita intera a parlarne, perché da sempre è la nostra fonte di vita e sembra racchiudere un mistero indecifrabile, tanto che illustri autori ci hanno dedicato delle poesie meravigliose (come La pioggia nel pineto di d’Annunzio).

Testimoni e cacciatori di misteri

In questo caso, però, parliamo di una vicenda che è avvenuta soltanto qualche decennio fa. La pioggia c’entra, la trance mistica anche, ma il protagonista non è che un ragazzo.

Una montatura ben orchestrata tra i numerosi testimoni? Un fenomeno fisico non ancora inspiegato? Un’allucinazione di massa, accentuata dalla superstizione e dalla tensione? Oppure è davvero un fenomeno di possessione demoniaca? I ricercatori di casi paranormali, Peter Jordan e Chip Decker (che, a dispetto del cognome, non ha nessuna relazione di parentela con il protagonista) studiarono il caso e ascoltarono i testimoni, rimanendo stupefatti e senza una spiegazione.

Di sicuro i testimoni sono molti: nove in tutto. Ognuno si senta libero di dare la propria opinione, visto che – testimoni a parte – non esistono prove definitive.

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La pressione atmosferica

I venti che si creano sulla Terra sono legati a due elementi: le massa d’aria e la pressione atmosferica.

Immaginate una colonna d’aria alta dal suolo alla fine dell’atmosfera. La «forza peso» che questa colonna genera su un metro quadro di terreno è chiamata, appunto, pressione atmosferica e si misura in millibar (mb) o in ettopascal (hPa). Possiamo misurare facilmente questa pressione, perché è la stessa che viene creata da una colonna di mercurio alta 76 cm.

Nell’atmosfera si formano zone di bassa pressione (se la pressione è minore rispetto a quella delle aree vicine) e di alta pressione (se è maggiore). Quando le masse d’aria si spostano da una zona di alta pressione a una zona di bassa pressione, ecco che si formano i venti.

Ma come fanno a spostarsi le masse d’aria? Lo dobbiamo prima di tutto alla temperatura dell’aria: l’aria più calda tende a salire al di sopra di quella fredda. Se non ci fossero altre forze in gioco, le masse d’aria tenderebbero soltanto a salire e a scendere. La rotazione terrestre, però, crea una forza (la forza di Coriolis) che porta queste masse d’aria a deviare.

I tipi di vento

Come ben sappiamo, a seconda delle condizioni – umidità dell’aria, temperatura, presenza del mare, ecc. – si possono creare venti più o meno forti, fino agli spaventosi tornado che si abbattono in America ogni anno, causando quasi sempre dei disastri.

Partiamo dai venti più comuni.

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(se vuoi leggere tutti gli articoli pubblicati sull’argomento “Natale” segui questo link)

Introduzione

Chiamatelo Babbo Natale, Nonno Gelo, Santa Claus o con il suo nome originario di Saint Nicholas (San Nicola). Immaginatevelo vestito di rosso, di azzurro o di verde. Oppure, se siete puntigliosi, pensatelo come il protagonista storico della vicenda, San Nicola di Bari, vescovo di Myra (che, come ho spiegato in un altro articolo, è il personaggio reale a cui si ispira la figura di Babbo Natale).

È indubbio che il paffuto signore dalla barba bianca sia il protagonista indiscusso nel periodo natalizio. Se non ci fosse lui, la vigilia di Natale perderebbe gran parte del suo fascino “magico”. Ma a St. Nicholas ci sono numerose figure che fanno da contorno, alcune largamente conosciute – come le immancabili renne – e altre un po’ meno note, come “Peter il Nero”.

Wikipedia cita numerosi esempi di aiutanti di Babbo Natale, che spesso si ripetono nei vari Paesi con nomi diversi:
– Krampus in Austria, Baviera, Croazia, Slovenia, Friuli, Ungheria
– Klaubauf in Bavaria, Austria
– Bartel in Stiria
– Pelzebock, Pelznickel, Belzeniggl o Belsnickel in Pennsylvania
– Schmutzli in Svizzera
– Buzebergt ad Augusta
– Cert (Diavolo) e Anděl (Angelo) nella Reppublica Ceca
– e ancora Rumpelklas, Bellzebub, Hans Muff, Drapp

Vediamone alcuni tra i più conosciuti, a cui si rifanno spesso quelli elencati qui sopra.

Le renne volanti che trainano la slitta

Partiamo dalle renne. Una creatura tanto esotica e così diversa dai soliti animali trainante è dovuta a due questioni principali: innanzitutto, il luogo freddo tipico del periodo, che richiede necessariamente una “figura” a tema, capace di resistere sotto la neve invernale; in secondo luogo, il bisogno di un animale “aggraziato” e abbastanza robusto da trasportare un carro carico di doni.

Ecco quindi che le renne sono senz’altro il candidato più valido: belle da vedere grazie alle loro corna, fiere, e più adatte al trasporto di altri animali tipici delle steppe. Non che ci sia bisogno di grande forza: la tradizione spiega che, grazie alla magia, la slitta di Babbo Natale è in grado di spiccare il volo e di diminuire notevolmente il suo peso, per cui le renne hanno soltanto il compito di trascinare il carico alla velocità di un battito di ciglia.

E che dire del sesso delle renne? Se qualcuno si fosse posto dei dubbi, la scienza ce li scioglie immediatamente: i maschi perdono le corna durante il periodo invernale, per cui le renne di Santa Claus devono essere per forza tutte femmine. Teniamo conto, però, che stiamo entrando nel campo del mito e della leggenda, dove scienza e magia cozza non poco tra loro.

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Introduzione

La storia giapponese è densa di mitologia, di leggenda e di ambizione. Lo dimostra il nutrito pantheon della religione nipponica e le superstizioni che accompagnano, ancora oggi, le tradizioni giapponesi. Ma il Giappone è anche terra di racconti, di guerrieri onorevoli e di storia straordinaria.

Uno di questi racconti narra della competizione tra due fabbri leggendari di nome Muramasa e Masamune, differenti tanto nel carattere quanto nelle straordinarie spade che forgiavano (per informazioni dettagliate sulle spade giapponesi, potete leggere la scheda sulle katane giapponesi che ho scritto tempo fa). Le qualità delle loro lame erano impeccabili, capaci di tagliare quello che non poteva essere tagliato da altro acciaio, ma i loro scopi erano del tutto opposti: distruzione e morte il primo, perfezione e rispetto il secondo.

L’eterna lotta tra lato oscuro e spiritualità.

Muramasa: le spade maledette

Muramasa era un fabbro capace di costruire lame di altissima qualità. Quando pregò affinché le sue spade portassero «grande distruzione», le divinità le imbevvero con uno spirito assetato di sangue che, se non soddisfatto in battaglia, avrebbe portato all’omicidio o al suicidio del portatore. Da quel giorno furono innumerevoli le storia di guerrieri che, brandendo le sue spade, finirono per diventare pazzi o per essere uccisi. Al punto che le spade di Muramasa furono bandite attraverso un editto imperiale.

L’editto fu promulgato dallo shogun Tokugawa Ieyasu, che vide quasi la sua intera famiglia perire a causa delle lame maledette: sua moglie e i suoi figli adottivi furono giustiziati da quelle spade, il nonno fu ucciso dallo stesso Muramasa e Ieyasu stesso fu ferito da esse. Era chiaro, quindi, che la forgia di Muramasa rappresentava un pericolo.

La realtà nel mito

C’è qualche verità nella leggenda? Ci furono davvero quelle morti dovute alle spade maledette? In questo caso, siamo sul confine tra il mito e la storia, e i racconti devono essere presi con le pinze. Le morti ci furono, ma al tempo del giappone feudale era già troppo per un guerriero sopravvivere oltre i 30-40 anni (soprattutto se ronin, cioè un vagabondo non legato a un signore).

Comunque sia, quando si parla di “Muramasa” non ci si riferisce a un solo fabbro, ma all’intera scuola di fabbri da lui fondata; ed è innegabile, quindi, che le spade da lui derivate furono la causa di tante «morti e distruzioni».

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Introduzione

Sono anni che in rete circolano storie di complottismo, che cercano di “smontare” lo sbarco sulla Luna avvenuto nel 1969. Autori, giornalisti e ricercatori si sono datti da fare per confermare o smentire i retroscena. Paolo Attivissimo, in particolare, ha pubblicato un libro sul web liberamente scaricabile in cui tratta uno per uno gli elementi di complotto, offrendo solide argomentazioni e spiegazioni che non sembrano lasciare dubbi sul fatto che lo sbarco sulla Luna sia effettivamente avvenuto.

Una delle obiezioni tanto care ai complottisti si può riassumere in una domanda: « Non è strano che la missione sia riuscita al primo colpo e non abbia riscontrato nessun problema, soprattutto visto che si trattava del primo sbarco “umano”? ».

La domanda è lecita, ma non tiene conto di un elemento fondamentale: l’interesse delle parti in gioco. La “corsa alla Luna” non è stato altro che una questione di prestigio e di economia da parte delle superpotenze americana e russa, che a quel tempo si divertivano a “buttare” denaro pur di dimostrare un ruolo di preminenza nei confronti dell’avversaria. Anche a costo di rischi non calcolati e di vite umane (sulla rampa di lancio dell’Apollo 1 morirono i tre astronauti White, Grissom e Chaffee), a volte evitate soltanto grazie all’abilità dell’equipaggio.

Paolo Attivissimo mette in chiaro, senza mezzi termini, che non fu affatto una missione semplice e senza problemi: quasi tutte le missioni precedenti hanno dovuto confrontarsi con gravi anomalie, provocate spesso alla scarsità di controlli e alla fretta.

Riporto qui sotto, estratti pari pari dal suo libro, i disastri riscontrati dai vari Apollo. Leggete soprattutto i dati relativi all’Apollo 11, il modulo lunare che portò l’uomo a compiere il primo passo sulla Luna (e l’ultimo per numerosi anni avvenire): vi accorgerete che la perfezione dello sbarco, in realtà, è stata soltanto un’illusione accuratamente nascosta dalla NASA.

Apollo 7

In cabina si formarono accumuli d’acqua provenienti dagli impianti di raffreddamento: rischio grave, in un ambiente pieno di circuiti elettrici. L’equipaggio fu colpito dalla stitichezza e da un raffreddore che bloccò le vie nasali: problema serio in una missione spaziale, perché in assenza di peso il muco si accumula invece di defluire e soffiarsi il naso causa forti dolori alle orecchie.

Durante il rientro, con la testa incapsulata nel casco, gli astronauti non avrebbero potuto soffiarsi il naso e l’accumulo di pressione non compensata avrebbe potuto sfondare i loro timpani. Nonostante il parere contrario della NASA, gli astronauti eseguirono il rientro senza casco e non subirono danni.

L’equipaggio, inoltre, litigò con il Controllo Missione, parlando apertamente di «esperimenti mal preparati e concepiti frettolosamente da un idiota» e rifiutandosi ripetutamente di eseguire gli ordini da Terra. Fu una delle varie ribellioni poco pubblicizzate degli equipaggi.

Apollo 8

La prima circumnavigazione umana della Luna fu disturbata dal vomito e dalla diarrea degli astronauti, in particolare Frank Borman. Il sigillante di alcuni finestrini ebbe delle perdite che offuscarono la visuale, guastando le osservazioni necessarie per la navigazione, e si ripresentarono gli accumuli d’acqua in cabina.

Durante il volo, l’astronauta James Lovell cancellò per errore parte della memoria del computer, per cui il sistema di misurazione inerziale della posizione (IMU) credette che la capsula fosse ancora sulla rampa di lancio e accese automaticamente i motori di manovra per tentare di correggere il problema. Gli astronauti dovettero calcolare e reimmettere manualmente i dati corretti.

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Misteri nella vita

Ci sono giorni incredibilmente perfetti o terribilmente sbagliati, dove tutti gli eventi sembrano incastrarsi in successione nel bene o nel male come se fossero spinti da una forza invisibile (chiamiamola «destino»). Ci sono momenti in cui il telefono squilla e siete certi di chi sia all’altro capo della linea prima ancora di alzare la cornetta; oppure avete quella sensazione di dejà vu di fronte a uno scenario che, ne siete convinti, avete già vissuto in un tempo che non ricordate.

Aggiungiamo le storie di spiriti che infestano le case, di presenze che avvertite ma non vedete, di capacità umane “oltre il limite”, di misteri – scientifici o meno – che sembriamo ancora essere lontani dallo svelare…

Tutto questo potrebbe essere spiegato con una semplice comprensione: stiamo vivendo in un mondo irreale. Come la prendereste se scopriste che la vostra intera esistenza, la vostra vita, non è per niente “vera“? L’idea non è soltanto una fantasia e non è per niente nuova.

I libri e i film ci aiutano

Alcune opere di fantascienza e di fantasia ce l’hanno messa sotto gli occhi sotto diverse forme: Ghost in the shell, per esempio, è un manga-anime ambientato in un mondo dove l’uomo è sempre connesso a una sorta di internet globale. Con la velocità di un pensiero è possibile recuperare informazioni ed entrare nei sistemi informatici. Il pericolo è di rimanere “chiusi” con la mente in questa rete e non distinguere più la realtà dalla virtualità.

Ma il film che senz’altro ha diffuso l’ipotesi su larga scala è Matrix. In questo caso, gli esseri umani non sono coscienti di trovarsi in una realtà virtuale. Schiavizzati dalle macchine, gli uomini e le donne sin da neonati vengono cresciuti connessi a dei cavi: il loro corpo si trova nel mondo reale, ma la loro mente è in un mondo virtuale, costruito appositamente per loro.

Parliamo in questo caso di fantascienza perché si tratta di film, di cartoni animati, di fumetti. Eppure, per quanto possa sembrare assurdo, sono scenari assolutamente plausibili e c’è chi è fermamente convinto che potrebbero non essere solo fantasticherie.

Muoversi in un mondo virtuale

Prendiamo Matrix, per esempio. Fingiamo che alcuni esseri – robot o altre creature, non ha importanza – vi abbiano presi appena nati e vi abbiano collegato con dei cavi a “una rete globale” (un’internet su larga scala, per capirci). Sin da quando siete nati, la vostra mente crede di trovarsi nel mondo reale, ma in verità sta ricevendo impulsi da una «Terra fasulla», costruita apposta per voi come si potrebbe costruire la città in un videogioco.

In un ambiente simile, non è possibile accorgersi di essere in un mondo fittizio. Quello che sentite, provate e pensate deriva da impulsi del vostro cervello. Se la vostra mente crede di camminare, voi siete certi di muovere un passo dopo l’altro; anche se non è così, anche se siete sdraiati con il corpo e collegati a dei macchinari con dei cavi. A meno che qualcuno non vi liberi, voi sarete costretti in questo mondo virtuale fino a quando la vostra mente si spegnerà per la vecchiaia o si “rovinerà” per qualche malattia.

Qua sorge una domanda: che significato diamo alla parola reale? Secondo il dizionario è reale «tutto ciò che esiste, che si può osservare tangibilmente». Una definizione senz’altro corretta, ma che dobbiamo associare alle capacità della nostra mente. È il cervello a stabilire cosa esiste e cosa si può osservare: tutto quello che il cervello non registra, per noi non esiste. Di fatto, nello scenario visto sopra il mondo virtuale sarebbe per noi reale, perché non conosceremmo altro.

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Parte tutto dall’Africa

Che ci crediate o meno, veniamo tutti dall’Africa. Asiatici, australiani, europei e americani provengono tutti da un unico punto di origine: l’Africa. È da qui che, circa 60 mila anni fa, l’uomo ha cominciato a spostarsi per trovare condizioni di vita più favorevoli, visto il deserto che sopravanzava.

National Geographic, avvalendosi di esperti, nel 2005 ha dato il via al suo Genographic Project (vedete il link a fondo articolo) il cui scopo è di scoprire esattamente l’origine dell’uomo analizzando il DNA delle varie razze sparse per il mondo. Il risultato è che parlare di razza non ha alcun senso, perché il nostro genoma non mente: siamo tutti cugini.

Il diverso aspetto fisico

Perché allora tanta differenza di aspetto, per esempio, tra un europeo e un africano, o tra un cinese e un americano? La risposta sta nel luogo in cui la relativa migrazione si è stabilita.

In Africa, dove il Sole batte tutto il giorno, è essenziale che la pelle si protegga producendo più melanina e colorando quindi la pelle. Al contrario, nelle montagne dell’Asia, dove la luce del Sole è minore, i nostri antenati si sono visti “scolorire” la loro pelle, rendendola pallida. Ancora, l’aspetto degli orientali è dovuto molto probabilmente agli effetti dell’ambiente: gli occhi più socchiusi, per esempio, sono serviti per proteggersi dalla luce delle nevi.

Si è trattato di un lungo processo, durato millenni, e non certo di un’azione di una manciata di anni. Come sappiamo, l’uomo si adatta all’ambiente in cui vive. Nei tempi moderni gli orientali non hanno più bisogno di occhi a mandorla e gli africani emigranti in America non hanno necessità di una pelle scura, ma questi tratti distintivi possono scomparire soltanto con centinaia di anni di permanenza nel nuovo territorio.

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