Introduzione

Per stabilire qual è l’animale più veloce al mondo dobbiamo rapportare le misure in base all’ambiente – terra, acqua e aria. Infatti non è possibile confrontare animali appartenenti a tipologie di ambienti diversi, sia per la loro struttura fisica e sia per la resistenza differente che si trovano ad affrontare.

Record su terra

Se consideriamo il terreno, il ghepardo detiene senz’altro il record di velocità sulla breve distanza: ben 115,5 km/h misurati su un tratto di 640 metri. Su una pista certificata dell’Ohio (USA) è stata eseguita una misura più accurata: il 20 giugno 2012, il ghepardo Sarah ha percorso 100 metri in 5,95 secondi.
Sotto trovate il video che documenta l’evento. Niente male, se consideriamo che Usain Bolt, attualmente l’uomo più veloce al mondo, il 16 agosto 2009 ha coperto i 100 metri in “soli” 9,58 secondi…

Ma il ghepardo non potrebbe mai mantenere una rapidità simile su distanze maggiori. Se ci riferiamo alla lunga distanza, il più veloce in assoluto sembra essere l’antilocapra, che su 6 km di strada può mantenere velocità medie di 56 km/h. Sulle brevi distanze, però, raggiunge l’ammirabile velocità di 90 km/h: stupefacente, anche se non abbastanza per sfuggire alle “grinfie” di un ghepardo lanciato alla corsa.

Il confronto dell’uomo non regge: il più veloce in assoluto sulla lunga distanza è Wilson Kipsang Kiprotich, che nella maratona di Berlino del 29 settembre 2013 ha percorso i 42,195 chilometri in 2 ore 3 minuti e 23 secondi, facendo registrare una velocità media di 20,52 km/h. Eccezionale per chiunque di noi, ma non per Madre Natura…

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Tra miti e realtà

Il Giappone è una terra senza tempo. Letteralmente, considerando che la sua cultura è legata a storie mitologiche appartenenti all’origine dei tempi.

Una magnifica leggenda racconta dell’origine dei Sanshu-no-Jingi («tre sacri tesori»), tre simboli imperiali legati agli déi e agli antichi albori giapponesi. Si tratta della Spada del paradiso, della Gemma e dello Specchio di forma ottagonale. Rappresentano rispettivamente il valore, la benevolenza e la saggezza del Giappone. Fu Ninigi-no-Mikoto, nipote della dea Amaterasu, a portare i tre oggetti nel periodo in cui arrivò per pacificare il Giappone.

Quando un nuovo imperatore ascende al torno, le tre insegne vengono mostrate in onore della cerimonia. L’ultima occasione è avvenuta il 7 gennaio 1989, quando Akihito fu decretato imperatore.
Ma soltanto pochi eletti possono assistere al rituale: l’imperatore stesso e alcuni sacerdoti. Di fatto, al pubblico non sono mai state rese note, alimentando l’idea della leggenda e il dubbio sulla loro esistenza.

Tracce poco chiare

Nei testi giapponesi troviamo anche delle tracce storiche di queste insegne. Nel Nihonshoki si dice che la spada fu trasferita nel 688 dal palazzo imperiale al Tempio di Atsuta, a Nagoya; altre informazioni affermano che fu persa in mare nel sesto secolo e recuperata dai monaci shintoisti di Ise.

La prova? Nessuna definitiva, ma un sacerdote shintoista del Periodo Edo (1603-1868) testimonia di averla vista proprio al Tempio di Atsuta: la descrisse come lunga 84 cm e di metallo bianco, ancora ben conservato.

Ama no Murakumo – La spada del paradiso

Come abbiamo visto, per la tradizione nipponica le katane non sono soltanto armi che si avvicinano alla perfezione, ma anche simboli di spiritualità e di mitologia. È la leggenda a spiegare che Susanoo, il dio del mare e delle tempeste, in tempi ancestrali incontrò una famiglia che aveva perduto ben sette figlie, sacrificate per placare il mostro a otto teste Yamata no Orochi.

Susanoo si innamorò dell’ultima figlia rimasta in vita, Kushinada, e per salvarla decise di affrontare il mostro di persona, facendo uso di uno stratagemma: per proteggere la giovane all’arrivo del mostro, Susanoo la trasformò temporaneamente in un pettine, quindi presentò a Orochi otto barili di sakè e lo portò a ubriacarsi.

Secondo una versione, Susanoo uscì dal nascondiglio e uccise subito il mostro. Ma esiste una seconda versione più avvincente: nonostante la sbornia, lo spaventoso Orochi si battè per ore, ma alla fine dovette capitolare a causa della stanchezza da ubriacatura. Susanoo gli recise le otto teste e le prime sette code. L’ottava coda (per alcuni la quarta), tuttavia, si dimostrò estremamente resistente.

Era questa coda a nascondere la spada Ama no Murakumo (la «spada del paradiso», chiamata anche Kusanagi).

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Cos’è il libero arbitrio?

Espressione usata per indicare la libertà dell’uomo, i cui atti non sono determinati da forze superiori (di tipo soprannaturale o naturale), ma derivano da sue autonome scelte.
L’espressione è nata sul terreno delle discussioni teologiche cristiane, in relazione alla conciliabilità tra onnipotenza e onniscienza divina e libertà umana. A sostenere la tesi del libero arbitrio con particolare calore sono stati soprattutto i protagonisti dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Libero arbitrio, Treccani

Il libero arbitrio è una questione spinosa. Da un punto di vista religioso, è difficile conciliarlo con l’idea di “onniscienza” di Dio: se Dio conosce già il futuro e sa quindi come agirà l’uomo, può l’uomo considerarsi libero di compiere delle scelte?

Mettiamo da parte la religione, visto che si tratta di un concetto personale e non oggettivo e che persino credenti di religioni diverse si trovano spesso in disaccordo a riguardo. Che cosa dice la scienza sul libero arbitrio?

La scienza è obiettiva: guarda i fatti, esegue esperimenti, trae conclusioni concrete. Se i dati e i test ripetuti danno sempre gli stessi risultati, significa che una “ipotesi” diventa “legge fisica”. Si tratta, quindi, di un metodo oggettivo, che non dipende cioè dal punto di vista e dalle idee di una persona.

Le particelle sono inanimate, eppure l’uomo è vivo

Fino a qualche decennio fa, la scienza non poteva sbilanciarsi: di fatto, mancavano delle prove che andassero pro o contro il libero arbitrio dell’uomo. Gli argomenti che cercano di negarlo sono parecchi ed alcuni li abbiamo già trattati: c’è chi lo nega attraverso la nuova concezione di “tempo” e chi invece propone l’esistenza di realtà virtuali in cui l’uomo sarebbe costretto senza possibilità di uscirne.

Ma al di là delle ipotesi, il vero problema è un altro e più concreto. Vediamo di spiegarlo in termini semplici.

Perché gli atomi si attraggono?

Abbiamo detto che, perché una legge sia ritenuta valida, deve essere sempre vera: questo significa che possiamo osservarla più volte e darà sempre un risultato che possiamo prevedere. Sappiamo cos’è che spinge un atomo a muoversi, a unirsi con altri atomi e a formare la materia – tanto che in laboratorio possiamo dividere e unire gli atomi con la giusta strumentazione.

Quello che la scienza ancora non sa è perché gli atomi si attraggono, cioè qual è la spinta “cosciente” che ordina, per esempio, a due atomi di idrogeno e a uno di ossigeno di unirsi per formare una molecola d’acqua.

Da un punto di vista religioso è facile: è Dio a ordinarlo.
Da un punto di vista scientifico non lo è: l’atomo, di suo, è inanimato. Non ha capacità di decisione “cosciente”. Però gli atomi possono unirsi e creare una mente pensante come l’uomo, che è al contrario cosciente. Da miliardi e miliardi di particelle senza coscienza, quindi, otteniamo un individuo cosciente. Razionalmente, sembra una cosa assurda.

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Uno su dieci

È opinione comune che i mancini siano rari nelle popolazioni del mondo. Se ci fate caso, però, con ogni probabilità avete già incontrato qualcuno che predilige l’uso della mano sinistra anziché della destra nelle azioni di tutti i giorni; forse sono mancini alcuni dei vostri amici e forse esistono sinistrorsi anche all’interno della vostra famiglia.

Niente di strano, perché in termini di numeri si è scoperto che circa una persona su dieci è mancina. E sembra che anche in passato, qualsiasi periodo storico si prenda come riferimento, ci siano stati mancini tra la popolazione, e con lo stesso rapporto di circa una persona ogni nove “destri”.

Tra i personaggi famosi più recenti che usavano la sinistra come mano preferita troviamo Napoleone Bonaparte, il grande musicista Beethoven, Albert Einstein, Gandhi e Paul McCartney. Metà dei presidenti degli Stati Uniti – sei su dodici – sono stati mancini, compreso l’attuale Barack Obama. E andando più indietro, troviamo Alessandro Magno, Giulio Cesare, Raffaello e Leonardo Da Vinci (che era ambidestro).

La lista dei famosi “sinistri” sarebbe ancora lunga.

Il diavolo e i dannati siedono sulla sinistra

Per lungo tempo i mancini non hanno avuto vita facile. Il lato destro è sempre stato il prediletto, mentre il fianco sinistro è stato a lungo ritenuto «sporco, infido, sbagliato».

A nessuno di noi sfugge il gioco di parole che utilizziamo spesso nei discorsi. Un luogo troppo silenzioso è detto “sinistro”, uno scherzo pesante è chiamato “tiro mancino”. Fino a qualche decennio fa, i nostri avi erano convinti che un nato mancino dovesse essere corretto e costretto a imparare l’uso della mano destra.

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Verità e ignoranza

Parlando di «ignoranza» intendo naturalmente il senso letterale del termine: chi non conosce, chi non ha completa padronanza della materia. E la materia in questione, in questo caso, è la vita stessa.

Platone era un filosofo greco e traeva conclusioni attraverso la logica e il ragionamento. Il suo scopo principale era di raggiungere la «verità universale», ovvero quella verità che non dipendeva dal soggetto, che era valida per chiunque nonostante la si guardasse da diversi punti di vista.

Perché era così importante la ricerca della verità? Ai suoi tempi la politica era estremamente complessa – può sembrarvi strano, ma era persino più complicata di quella moderna, basata sul nepotismo (oggi lo chiameremmo “favoritismi in famiglia”) e su un’idea molto semplice: la maggioranza aveva ragione. Un concetto che Platone non digeriva.

A suo avviso, il fatto che la maggioranza fosse d’accordo su un argomento non significava che “avesse ragione”. Se un’idea sbagliata prendeva piede e tutti la seguivano, significava forse che la maggioranza aveva fatto la scelta migliore?

Osservare il mondo con i propri occhi è l’unico modo per «conoscere»

Il problema era appunto questo: i luoghi comuni, il seguire una strada solo perché lo fa gran parte della gente. Si tratta di ideologie che l’essere umano si porta dalla nascita e che apprende dagli altri. Quasi niente di quello che un uomo apprende nella vita è farina del suo sacco: tutto quello che crede di conoscere, in realtà, è una “copia” trasmessa da qualcun altro.

Ho affrontato l’argomento in altro articolo, dove si parlava appunto di quanto fosse pericoloso vivere seguendo la folla perché «così fan tutti». Nessuno ne è immune: chi più, chi meno, siamo tutti ignoranti.

Per Platone esiste un modo per uscire dall’ignoranza. Bisogna abbandonare la propria identità, dimenticare quello che si è stato e si è appreso, e ripartire da zero. Osservare il mondo con i propri occhi, non appoggiarsi ai luoghi comuni e al sentito dire. Bisogna interagire, discutere, dialogare – non imporre la propria idea, perché anche il nostro pensiero può essere sbagliato quanto il pensiero degli altri.

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Introduzione

Da quando è nato il cinema e la fantascienza ha avuto la sua grande diffusione, gli autori hanno ipotizzato centinaia di modi in cui l’umanità potrebbe estinguersi nel giro di pochi anni. Si tratta di un argomento che intimorisce e affascina allo stesso tempo, probabilmente perché si fonda sulla sensazione che eventi simili non possano accadere nella realtà.

In questo articolo, però, non parliamo di fantascienza. Il CSER (Cambridge Centre for the Study of Existential Risk) è un centro di esperti di tutto rispetto: tra le sue file conta personaggi come Stephen Hawking, considerato uno dei più grandi scienziati del nostro tempo. Il 12 settembre 2013, Lord Martin Rees in una conferenza sull’andamento futuro ha affermato:

In future decades, events with low probability but catastrophic consequences may loom high on the political agenda.

Traduzione:
Nei prossimi decenni, eventi di bassa probabilità ma con conseguenze catastrofiche potrebbero mettersi in cima alla nostra agenda politica.

Le parole di Rees, che non è di certo il primo venuto visto la quantità di premi che ha conquistato in campo astrofisico, ha costretto il CSER ha un acceso dibattito su una questione spinosa: c’è davvero la possibilità che l’umanità si estingua nei prossimi decenni?

La risposta è semplice: certamente, la probabilità esiste e le cause ci circondano continuamente. Meno semplice è stabilire quando e come possa avvenire di preciso e soprattutto se abbiamo i mezzi a disposizione per proteggersi. Alle varie cause «naturali», negli ultimi anni si sono aggiunte quelle «tecnologiche» e dovute al progresso. Il CSER ha redatto una lista delle possibili (realistiche) minacce che potrebbero colpire l’umanità.

Attacchi informatici

Abbiamo visto che esiste la possibilità concreta – anche se difficile da realizzare – che il mondo rimanga improvvisamente senza l’accesso a internet. Se vi sembra una cosa da poco, rileggetevi l’articolo e forse cambierete idea.

Al giorno d’oggi siamo così legati al mondo informatico che non possiamo farne a meno: assuefatti alla tecnologia, gran parte di noi non saprebbero come sostituirla. Immaginate cosa succederebbe se un gruppo di terroristi informatici prendesse possesso su larga scala delle reti e dei computer…

Intelligenze artificiali fuori controllo

L’intelligenza artificiale è vicina, a detta di alcuni futuristi. Il che significa che in buona parte avremo a disposizione delle macchine capaci di pensare autonomamente ma con una sfera emozionale limitata. Poniamo il caso che abbiano la possibilità di accedere ai nostri sistemi informatici e che, a un certo punto, si dimostrino abbastanza intelligenti da superare i blocchi che gli imporremo.

A voi ipotizzare le conseguenze…

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Introduzione

Abbiamo parlato spesso di fisica quantistica, per esempio raccontando delle realtà virtuali, di viaggi nel tempo e di particelle che muoiono prima ancora di nascere. Sono concetti nuovi che possono spaventare, ma dopotutto dobbiamo farcene una ragione: la fisica quantistica è entrata nella nostra vita e sarà sempre più presente; pensate per esempio ai computer quantistici, diventati ormai una realtà (seppure ancora come prototipi in fase di studio).

In questo articolo vedremo che il concetto di base non è poi così difficile da capire. Anzi, alla fine della lettura scoprirete che la fisica quantistica è estremamente affascinante, piena di potenziale e che racchiude un mistero ancora da scoprire.

Spiegare le basi della fisica quantistica con parole semplici è possibile. Fabrizio Coppola, nel capitolo tre del suo Il Segreto dell’Universo, lo fa in modo ammirabile, con esempi così chiari che anche un «comune mortale» poco abituato alla scienza è in grado di seguire. Rendiamoci conto, però, che una questione è spiegare cosa sia la quantistica e un’altra questione è capire perché funziona come funziona. In questo caso si tratta di un’impresa di portata enorme, visto che anche gli scienziati sono in alto mare.

Di seguito dovrò usare qualche termine tipico della meccanica quantistica, ma sarà accuratamente spiegato con degli esempi. Proprio perché sto cercando di rendere l’argomento il più semplice possibile, i più esperti troveranno alcune approssimazioni e termini non del tutto appropriati, usati più che altro per dare un’idea comprensibile al lettore.

La fisica classica e la fisica quantistica: differenze

Sappiamo che ogni cosa esistente è composta di molecole, che a loro volta sono composte di atomi e così via. Se continueremo a dividere le particelle, arriveremo a un certo punto al quanto. Il quanto è una particella così piccola che non può essere divisa (a differenza, ad esempio, dell’atomo che può essere scisso in protoni, neutroni ed elettroni). Come concetto è stato introdotto da Planck ancora nel 1900, è stato ripreso poi da Einstein ed è tutt’oggi sotto studio, a causa dei paradossi che comporta.

Paradosso. Sembra un termine fuori posto nel campo della scienza, dove tutto viene sperimentato più volte e quindi dovrebbe portare a misure precise. In realtà, le sorprese sono dietro l’angolo.

Nella fisica classica – quella che studiamo a scuola, per intenderci – possiamo sempre misurare con precisione un oggetto: la sua velocità, la sua energia, la sua posizione in un certo momento, ecc.
Immaginate un corridore: a ogni giro di campo, possiamo fermare il cronometro e sapere esattamente quanto tempo ha impiegato per compiere il percorso. Attraverso delle formule fisiche, potremmo sapere precisamente a che velocità è andato e persino in quale punto del campo si troverà tra 10 secondi se mantiene la stessa velocità.

Con la fisica quantistica tutto questo non è possibile. Quando parliamo di quanti, possiamo descrivere solo una “rosa di possibilità”. Riprendendo l’esempio del corridore, non sapremo mai qual è esattamente la sua posizione usando delle formule (cioè senza misurarlo direttamente): avremo invece a disposizione una serie di posizioni in cui potrebbe trovarsi. Il corridore ha una certa probabilità di trovarsi in una di queste posizioni.
In fisica quantistica si dice che un quanto si trova in uno spazio di Hilbert, cioè in uno «spazio di possibilità» e in uno «stato indefinito». In altre parole, c’è la probabilità che il quanto si tovi nel punto A o nel punto B, ma non avremo mai la certezza di dove si trovi finché non lo misuriamo.

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La sopravvivenza ci rende egoisti

Può sembrare un controsenso affiancare le parole «egoista» e «buono» per definire l’essere umano. Se qualcuno pensa soltanto a se stesso, logica vuole che metta il proprio interessa al di sopra di chiunque altro e in ogni circostanza.

Che l’uomo sia egoista è indubbio. Abbiamo visto che i sono i geni stessi a renderlo tale e proprio in quell’articolo ho anticipato che, in fin dei conti, la natura non è né benevola né malevola: è semplicemente indifferente, cerca soltanto di raggiungere il suo scopo di sopravvivenza. Ma anche senza ricorrerere alla scienza genetica, ci rendiamo conto da soli che le azioni dell’uomo – di chiunque – sono rivolte ad accrescere la propria soddisfazione e il proprio benessere personali, in buona parte dei casi incuranti di danneggiare chi ci sta attorno.

Certo, soprattutto tra conoscenti capita di offrire il proprio aiuto senza richiedere nulla in cambio. Si tratta però di una “finta bontà”: inconsciamente – che sia questione di geni o di psicologia – l’uomo offre il suo aiuto sperando di ricevere in futuro altrettanto; non è detto che l’aiuto debba tornare indietro da chi si è aiutati, potrebbe essere benissimo un ritorno per vie indirette da parte di altre persone.

È come se l’uomo, inconsciamente, nutrisse il pensiero: «Oggi do una mano a te. In futuro, tu o la ruota del destino farà in modo di aiutarmi in caso di bisogno». In gran parte dei casi: questa è la frase chiave.

Nascosto nell’inconscio

In verità, non funziona sempre così. Capita che l’uomo si commuova davanti a particolari situazioni e decida di “privarsi” dei propri averi in favore di altri. Provate a pensare alle vostre emozioni di fronte alle immagini scioccanti di povertà dei Paesi africani; o a un mendicante che chiede l’elemosina. Provate a restare indifferenti se vi trovate davanti a una scena di maltrattamento o a un abuso di potere che non vi tocca direttamente.

In questo caso, se l’uomo agisce, lo fa cedendo qualcosa di suo senza ricevere niente in cambio. Non si aspetta certo di ricevere un favore in futuro, visto che si sta occupando di uno sconosciuto.Che lo desideri o meno, quindi, l’essere umano è portato per natura ad aiutare gli altri.

Ma perché l’uomo è buono nonostante sia egoista? Non va contro gli interessi dell’evoluzionismo?

Non è una questione di religione

I credenti tireranno in campo l’elemento «religione»: non ha importanza quale sia la natura evoluzionistica dell’uomo, è la sua anima e la spinta di un Dio a renderlo buono. Questa affermazione è irrealistica da vari punti di vista.

Innanzitutto, cozza con il concetto di libero arbitrio: se l’essere umano è stato costruito come “buono”, allora non ha libera scelta di fronte a un avvenimento e agirà sempre e comunque secondo benevolenza. Perché il libero arbitrio esista, l’uomo deve essere nato “neutrale”, con la possibilità di sviluppare allo stesso modo il bene e il male. Si deve quindi escludere il fatto che sia nato “buono”.

Prendiamo invece in esame il fatto che sia il credo religioso a obbligare l’uomo a essere buono. In pratica l’idea che l’uomo non sia stato costruito “buono”, ma che lo diventi per un timore reverenziale nei confronti di un Dio. È stato dimostrato con una ricerca statistica che atei e credenti si comportano esattamente allo stesso modo davanti a situazioni analoghe. Richard Dawkins, nel suo libro L’illusione di Dio, ci fornisce numerosi esempi concreti. Vediamone alcuni.

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Introduzione

Immaginate di svegliarvi una mattina, di sintonizzarvi su un telegiornale e di scoprire che l’ultima goccia di petrolio si è esaurita. Le ricerche delle Nazioni su nuovi giacimenti non hanno portato frutti: l’umanità ha perso la sua più grande fonte di energia.

Lo scenario non è per niente assurdo: consumiamo il petrolio a un ritmo spaventoso e la natura non riesce a ricrearlo in tempo per permettere di sostituire le perdite. A meno di trovare nuovi giacimenti, si stima che il petrolio possa esaurirsi entro poche decine di anni (con qualche parere discordante).

Ci si aspetta che l’uomo trovi altre fonti di energia da cui attingere, perché nonostante abbia poco tempo a disposizione sta comunque affrontando il problema “esaurimento” da qualche anno; in verità non ci sono garanzie: le fonti naturali – eolica, solare, marina, ecc. – sembrano al momento insufficienti, proprio perché ci siamo mossi tardi.

Cosa succederebbe se domani ci svegliassimo e scoprissimo di non avere più il petrolio a disposizione?
La situazione è più terribile di quanto si possa immaginare, ma non comporta la fine della razza umana come certi catastrofisti amano pensare: come sempre, riusciremo ad adattarci.

Dopo 1 giorno senza petrolio

La prima conseguenza della notizia è che i distributori di benzina sono presi d’assalto e che l’ultimo residuo di benzina ha un prezzo esorbitante. È uno dei motivi per cui il governo cercherà di nascondere la notizia – a mio avviso inutilmente, visto che comunque le notizie di questo genere finiscono sempre per trapelare.

In ogni caso, il riserbo iniziale darebbe il tempo alle Nazioni di ritirare le petroliere in viaggio e di accumulare il rimanente per scopi di “interesse nazionale”. La situazione in Paesi come gli Stati Uniti – che sono i principali importatori di petrolio – è critica già da subito: si bloccano aerei, treni e navi, e si impedisce il commercio di petrolio.

Si tratta di un effetto a catena. Migliaia di persone addette alla lavorazione del petrolio vengono licenziate in tronco, ma anche innumerevoli aziende licenziano personale per timore del futuro. La plastica cesserà ben presto di esistere.

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Un uomo comune e poco amato

Adolf Hitler non era di certo benvoluto, nemmeno al tempo in cui doveva ancora iniziare a mantenere il potere con il pugno di ferro. Con il trascorrere degli anni (e delle efferatezze) si era fatto numerosi nemici e l’odio nei suoi confronti era accresciuto, sia all’esterno della Germania e sia al suo interno. A differenza di come alcuni possono pensare, molti tedeschi seguivano gli ordini più per paura che per fedeltà.

La storia la conosciamo bene e non c’è bisogno di riprenderla. Più interessante sarebbe capire le motivazioni che hanno spinto Hitler a diventare un boia di prim’ordine: qui però servirebbe un intero articolo a parte per esaminare la situazione e per capire che, in realtà, la storia dell’uomo è piena di individui come (e peggiori) di lui.

Quello che forse non tutti sanno è che, nel corso della sua “carriera” di despota, gli attentati alla vita di Hitler furono oltre 40 e che tutti sistematicamente fallirono.

Duro da uccidere

Il primo attentato si ebbe nel marzo del 1932, quando un assassino cercò di ucciderlo mentre era in viaggio su un treno. A giugno e a luglio dello stesso anno ci furono altri due tentativi infruttuosi di spegnere la vita del futuro führer tedesco.

È l’inizio di un’odissea che ha dell’incredibile. Nei successivi cinque anni, si susseguirono ben 16 attentati (tra cui un tentativo di gettargli del veleno attraverso un mazzo di fiori). A quel tempo, Adolf Hitler era già divenuto prima Cancelliere del Reich (nel 1933) e quindi dittatore con il titolo che conosciamo di führer.

Nel 1938, durante un corteo a Monaco, un killer francese di ventidue anni riesce a superare indenne le perquisizioni e ad avvicinarsi al dittatore con una pistola semiautomatica; si tratta però di una pistola imprecisa, anche considerando che soltanto 8 metri separano l’arma dalla vittima. Il problema, caso mai, è la sfortuna: al momento dello sparo, la folla solleva le mani per il saluto e il killer è costretto a rinunciare. Non molto tempo dopo, il francese viene catturato, torturato e condannato a morte.

È il ventesimo tentativo di uccidere Hitler.

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